Arbitro perché
17 Gennaio 2016
laFonteTV (3191 articles)
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Arbitro perché

Mi hanno spesso chiesto perché arbitro? In effetti è una domanda a cui si possono dare molte risposte, alcune semplicistiche: “Per poter decidere io chi vince”; “perché qualcuno deve farlo”; o ancora “perché mi pagano”; ma la mia risposta preferita è quella che mi diede un collega che aveva partecipato alle Olimpiadi: “Perché così gareggio anche io”. Cosa voleva dire? Semplicemente che in campo non vanno mai due squadre ma sempre tre, e la terza è la squadra composta dall’arbitro o dagli arbitri. Anche la terza squadra deve giocare, anzi deve giocare sempre senza fare errori, nessuno tifa per loro, ai giocatori è permesso sbagliare, agli arbitri, no!

È per evitare di sbagliare che un arbitro studia a seconda degli sport regolamenti che possono essere composti da una dozzina di articoli come il Calcio o, come dicono gli americani, il Soccer, oppure regolamenti che comprendono pagine e pagine di articoli, commi ed esempi fino a formare riga dopo riga, un volume di 150 pagine scritte fitte, e questo è il Regolamento del Football Americano, così come il regolamento del Baseball che ha quasi 200 pagine e ogni anno viene aggiornato con le casistiche occorse durante le partite e i campionati. Ma non basta studiare per diventare buoni arbitri, occorre sapere decidere quando usare il regolamento oppure far parlare il cuore e la mente, a volte occorre essere duri, inflessibili, a volte si può lasciare fare alla propria sensibilità, e questa parte non sempre viene facile o si può materializzare in un campo di gara.

Eppure nulla è più avvincente che entrare in campo per una partita giovanile, quando le squadre ancore non smaliziate ti obbediscono perché rappresenti il Regolamento del Gioco, tu sei l’Arbitro e quando entri  senti quasi il bisbiglio dei giovani giocatori: “C’è l’arbitro…”. Specie a chi inizia a giocare fai quasi paura, sei rispettato e tocca a te mantenere quel rapporto. Come diciamo noi anziani agli arbitri giovani: “Il rispetto un arbitro non lo guadagna con la paura o con gli sguardi truci o le espulsioni, ma con il proprio comportamento”.

È bellissimo insegnare ai bambini a stare in campo, al rispetto delle regole, a onorare l’avversario, e a comportarsi sempre sportivamente. Tocca a noi Arbitri fare la nostra parte, siamo noi che diamo i primi insegnamenti, è una cosa di cui andare fieri perché anche anni dopo gli stessi ragazzini ricorderanno come quell’uomo in grigio, o a righe bianche e nere, o con la maglia gialla… abbia loro fatto comprendere che la sportività sta alla base di ogni comportamento civile.

In questi anni quanti episodi di vita più che di gioco ho avuto modo di vedere o vivere in prima persona, ricordi meravigliosi che mi hanno dato modo di resistere nei momenti più biechi dell’antisportività vissuti in campo. Che mi hanno fatto andare avanti anche dopo aggressioni verbali e  fisiche. Campo della periferia di una grande città, due squadre di Baseball (quello sport giocato con le mazze su un campo in terra rossa) con ragazzini di 12 anni, alla prima partita; azione di gioco convulsa, il difensore vede arrivare l’avversario, non sa cosa fare e lo carica, lui che è più grosso, facendo cadere il nemico, piccolino ma molto veloce. Pubblico di genitori, allenatore avversario, giocatori, un unico urlo: “Fuori, espulso, non può….”.  L’arbitro vede, ferma il gioco, tiene lontano tutti, si siede su quella terra rossa, vicino a quel ragazzino che tutti vorrebbero espulso, e che ora piange perché ha sentito le urla e sa di aver sbagliato, parla con lui, gli allunga un fazzoletto per asciugarsi le lacrime, con voce pacata, paterna gli spiega dove e perché ha sbagliato. Nessuno sente le sue parole, sono solo loro due in quel momento in campo. Il ragazzino si alza, si asciuga le lacrime e lentamente, ma con fare sicuro, si dirige verso l’altra panchina nel silenzio del pubblico, porge la mano al suo avversario lo abbraccia poi torna verso la sua postazione di gioco, passa davanti all’arbitro, si ferma e timidamente gli porge la mano, prontamente stretta dall’arbitro stesso e mentre il giocatore si allontana, dal pubblico di genitori si alza un timido applauso che diventa sempre più forte. Un applauso che resterà inciso nel cuore di tutti, giocatori, dirigenti, allenatori, manager, e arbitro.

Questa storia non è inventata, è realmente avvenuta quindici anni fa, ma ha un epilogo quasi incredibile; undici anni dopo, su un treno che va a Milano un uomo, quasi un ragazzo, si ferma all’improvviso e guardando un uomo di una certa età seduto, che sta leggendo, timidamente lo saluta: “Arbitro si ricorda di me? Io non l’ho mai dimenticata sa? Quel giorno a B. il ragazzino dello sgambetto ero io, ancora grazie!” e giratosi si allontana sorridendo.

Sì è bellissimo arbitrare!☺

 

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