La cicuta (Conium maculatum), dal greco kṓneion e dal latino maculatum, “macchiettato”, è una pianta erbacea biennale, appartenente alla famiglia delle Ombrellifere, che cresce spontanea presso ruderi e orti, preferibilmente umidi e ricchi di sostanze organiche, fino a 1800 metri di altitudine. Può raggiungere anche i due metri di altezza e il suo fusto, cavo e tipicamente arrossato verso la base, presenta delle macchie porporine, da cui il nome latino maculatum. Le foglie, di forma triangolare, sono di grandi dimensioni, fino a 50 cm di lunghezza e 40 di larghezza, e al loro interno sono finemente suddivise in un gran numero di foglioline a bordi dentati: si tratta infatti di una foglia composta. I fiori, bianchi e non particolarmente belli, appaiono al secondo anno di vita, da aprile ad agosto, e sono riuniti in infiorescenze a ombrelle.
Tutta la pianta, soprattutto quando viene spezzata, presenta un odore sgradevole e nauseabondo, simile all’urina di gatto. Questa sua caratteristica consente di individuarla facilmente e di non confonderla con altre piante della stessa famiglia, commestibili e di uso molto comune, come ad esempio il prezzemolo. Uno scambio potrebbe rivelarsi un errore gravissimo, poiché la cicuta è una pianta fortemente tossica.
La sua notorietà è infatti legata a ricordi scolastici più che ad una conoscenza diretta: nel 399 a.C. il filosofo greco Socrate, come si accennava all’inizio, fu costretto, mentre si trovava nelle carceri di Atene perché condannato a morte, a bere un infuso di cicuta, oppio e datura. Diversi sono gli alcaloidi presenti in tutte la parti della pianta, fra cui la conina, ma la concentrazione dei loro principi attivi, che è massima nei frutti verdi, va dallo 0,73 allo 0,98%. Si ritiene che a provocare la morte di un essere umano sia sufficiente solo qualche grammo di questi frutti. E sembra che la cicuta non dia affatto una morte indolore. Essa è infatti preceduta da mente oscurata, vista deformata, gola attanagliata, diminuzione della forza muscolare e infine una paralisi ascendente, culminante con la paralisi respiratoria. La conina esplica la sua azione nel midollo spinale, provocando, dopo una breve fase eccitante, violenti attacchi di vomito e dolori di testa, seguiti poi dalla morte. Commoventi sono le ultime parole del grande filosofo: “Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio: dateglielo, non scordatevene!” Socrate suggerisce di offrire un sacrificio ad Asclepio, dio della medicina, per ringraziarlo di avergli dato la possibilità di guarire dalla “malattia” della vita corporea, attraverso la morte.
Parla di cicuta anche Giovanni Pascoli, riferendosi alla tradizione secondo cui i vecchi di Ceo, un’isola delle Cicladi, si avvelenavano con la cicuta per lasciare posto ai giovani. Ma nella Grecia antica, questo veleno serviva soprattutto per l’esecuzione capitale dei cittadini condannati, che la legge impediva di colpire, ma che il loro onore obbligava al suicidio in pubblico, per ingestione di tale pozione. Shakespeare, nel Macbeth, ricorda la cicuta come pianta estremamente velenosa e maleodorante, e quale componente dell’infuso delle streghe.
La pianta è tossica anche per il bestiame e per questo motivo viene ignorata dagli erbivori. Tuttavia, proprio a Bonefro, negli anni ’50, si è verificato un caso di avvelenamento di alcuni capi di bovini da latte, che si diceva avessero ingerito piante di cicuta. Ma questa versione dei fatti, data dai proprietari delle vacche, contrasta con quanto si diceva sopra, e cioè che gli animali evitano di alimentarsi con le piante velenose. Invece i volatili in genere ne sono immuni. In primavera le allodole si cibano anche dei germogli della cicuta, in quanto particolarmente ricchi di sostanze nutritive. A rischiare sono i cacciatori, che, mangiando le allodole, finiscono per ingerire anche la cicuta.
Sebbene sia nota per la tossicità, la cicuta possiede anche proprietà medicamentose che sono conosciute fin dai tempi più antichi, quando era impiegata come narcotico, antispasmodico e antitetanico, contro i dolori cancerosi e come antirabbico. ☺
La cicuta (Conium maculatum), dal greco kṓneion e dal latino maculatum, “macchiettato”, è una pianta erbacea biennale, appartenente alla famiglia delle Ombrellifere, che cresce spontanea presso ruderi e orti, preferibilmente umidi e ricchi di sostanze organiche, fino a 1800 metri di altitudine. Può raggiungere anche i due metri di altezza e il suo fusto, cavo e tipicamente arrossato verso la base, presenta delle macchie porporine, da cui il nome latino maculatum. Le foglie, di forma triangolare, sono di grandi dimensioni, fino a 50 cm di lunghezza e 40 di larghezza, e al loro interno sono finemente suddivise in un gran numero di foglioline a bordi dentati: si tratta infatti di una foglia composta. I fiori, bianchi e non particolarmente belli, appaiono al secondo anno di vita, da aprile ad agosto, e sono riuniti in infiorescenze a ombrelle.
Tutta la pianta, soprattutto quando viene spezzata, presenta un odore sgradevole e nauseabondo, simile all’urina di gatto. Questa sua caratteristica consente di individuarla facilmente e di non confonderla con altre piante della stessa famiglia, commestibili e di uso molto comune, come ad esempio il prezzemolo. Uno scambio potrebbe rivelarsi un errore gravissimo, poiché la cicuta è una pianta fortemente tossica.
La sua notorietà è infatti legata a ricordi scolastici più che ad una conoscenza diretta: nel 399 a.C. il filosofo greco Socrate, come si accennava all’inizio, fu costretto, mentre si trovava nelle carceri di Atene perché condannato a morte, a bere un infuso di cicuta, oppio e datura. Diversi sono gli alcaloidi presenti in tutte la parti della pianta, fra cui la conina, ma la concentrazione dei loro principi attivi, che è massima nei frutti verdi, va dallo 0,73 allo 0,98%. Si ritiene che a provocare la morte di un essere umano sia sufficiente solo qualche grammo di questi frutti. E sembra che la cicuta non dia affatto una morte indolore. Essa è infatti preceduta da mente oscurata, vista deformata, gola attanagliata, diminuzione della forza muscolare e infine una paralisi ascendente, culminante con la paralisi respiratoria. La conina esplica la sua azione nel midollo spinale, provocando, dopo una breve fase eccitante, violenti attacchi di vomito e dolori di testa, seguiti poi dalla morte. Commoventi sono le ultime parole del grande filosofo: “Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio: dateglielo, non scordatevene!” Socrate suggerisce di offrire un sacrificio ad Asclepio, dio della medicina, per ringraziarlo di avergli dato la possibilità di guarire dalla “malattia” della vita corporea, attraverso la morte.
Parla di cicuta anche Giovanni Pascoli, riferendosi alla tradizione secondo cui i vecchi di Ceo, un’isola delle Cicladi, si avvelenavano con la cicuta per lasciare posto ai giovani. Ma nella Grecia antica, questo veleno serviva soprattutto per l’esecuzione capitale dei cittadini condannati, che la legge impediva di colpire, ma che il loro onore obbligava al suicidio in pubblico, per ingestione di tale pozione. Shakespeare, nel Macbeth, ricorda la cicuta come pianta estremamente velenosa e maleodorante, e quale componente dell’infuso delle streghe.
La pianta è tossica anche per il bestiame e per questo motivo viene ignorata dagli erbivori. Tuttavia, proprio a Bonefro, negli anni ’50, si è verificato un caso di avvelenamento di alcuni capi di bovini da latte, che si diceva avessero ingerito piante di cicuta. Ma questa versione dei fatti, data dai proprietari delle vacche, contrasta con quanto si diceva sopra, e cioè che gli animali evitano di alimentarsi con le piante velenose. Invece i volatili in genere ne sono immuni. In primavera le allodole si cibano anche dei germogli della cicuta, in quanto particolarmente ricchi di sostanze nutritive. A rischiare sono i cacciatori, che, mangiando le allodole, finiscono per ingerire anche la cicuta.
Sebbene sia nota per la tossicità, la cicuta possiede anche proprietà medicamentose che sono conosciute fin dai tempi più antichi, quando era impiegata come narcotico, antispasmodico e antitetanico, contro i dolori cancerosi e come antirabbico. ☺
Comunemente detta cicuta di Socrate, questa pianta è stata resa tristemente celebre da Platone, che ha narrato la morte del suo maestro nel Fedone. È passata infatti alla storia quale leggendaria bevanda che diede la morte al filosofo, condannato a berla sotto forma di infuso. Tuttavia, con ogni probabilità - dati i sintomi descritti da Platone -, a uccidere Socrate fu una mistura di veleni.
La cicuta (Conium maculatum), dal greco kṓneion e dal latino maculatum, “macchiettato”, è una pianta erbacea biennale, appartenente alla famiglia delle Ombrellifere, che cresce spontanea presso ruderi e orti, preferibilmente umidi e ricchi di sostanze organiche, fino a 1800 metri di altitudine. Può raggiungere anche i due metri di altezza e il suo fusto, cavo e tipicamente arrossato verso la base, presenta delle macchie porporine, da cui il nome latino maculatum. Le foglie, di forma triangolare, sono di grandi dimensioni, fino a 50 cm di lunghezza e 40 di larghezza, e al loro interno sono finemente suddivise in un gran numero di foglioline a bordi dentati: si tratta infatti di una foglia composta. I fiori, bianchi e non particolarmente belli, appaiono al secondo anno di vita, da aprile ad agosto, e sono riuniti in infiorescenze a ombrelle.
Tutta la pianta, soprattutto quando viene spezzata, presenta un odore sgradevole e nauseabondo, simile all’urina di gatto. Questa sua caratteristica consente di individuarla facilmente e di non confonderla con altre piante della stessa famiglia, commestibili e di uso molto comune, come ad esempio il prezzemolo. Uno scambio potrebbe rivelarsi un errore gravissimo, poiché la cicuta è una pianta fortemente tossica.
La sua notorietà è infatti legata a ricordi scolastici più che ad una conoscenza diretta: nel 399 a.C. il filosofo greco Socrate, come si accennava all’inizio, fu costretto, mentre si trovava nelle carceri di Atene perché condannato a morte, a bere un infuso di cicuta, oppio e datura. Diversi sono gli alcaloidi presenti in tutte la parti della pianta, fra cui la conina, ma la concentrazione dei loro principi attivi, che è massima nei frutti verdi, va dallo 0,73 allo 0,98%. Si ritiene che a provocare la morte di un essere umano sia sufficiente solo qualche grammo di questi frutti. E sembra che la cicuta non dia affatto una morte indolore. Essa è infatti preceduta da mente oscurata, vista deformata, gola attanagliata, diminuzione della forza muscolare e infine una paralisi ascendente, culminante con la paralisi respiratoria. La conina esplica la sua azione nel midollo spinale, provocando, dopo una breve fase eccitante, violenti attacchi di vomito e dolori di testa, seguiti poi dalla morte. Commoventi sono le ultime parole del grande filosofo: “Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio: dateglielo, non scordatevene!” Socrate suggerisce di offrire un sacrificio ad Asclepio, dio della medicina, per ringraziarlo di avergli dato la possibilità di guarire dalla “malattia” della vita corporea, attraverso la morte.
Parla di cicuta anche Giovanni Pascoli, riferendosi alla tradizione secondo cui i vecchi di Ceo, un’isola delle Cicladi, si avvelenavano con la cicuta per lasciare posto ai giovani. Ma nella Grecia antica, questo veleno serviva soprattutto per l’esecuzione capitale dei cittadini condannati, che la legge impediva di colpire, ma che il loro onore obbligava al suicidio in pubblico, per ingestione di tale pozione. Shakespeare, nel Macbeth, ricorda la cicuta come pianta estremamente velenosa e maleodorante, e quale componente dell’infuso delle streghe.
La pianta è tossica anche per il bestiame e per questo motivo viene ignorata dagli erbivori. Tuttavia, proprio a Bonefro, negli anni ’50, si è verificato un caso di avvelenamento di alcuni capi di bovini da latte, che si diceva avessero ingerito piante di cicuta. Ma questa versione dei fatti, data dai proprietari delle vacche, contrasta con quanto si diceva sopra, e cioè che gli animali evitano di alimentarsi con le piante velenose. Invece i volatili in genere ne sono immuni. In primavera le allodole si cibano anche dei germogli della cicuta, in quanto particolarmente ricchi di sostanze nutritive. A rischiare sono i cacciatori, che, mangiando le allodole, finiscono per ingerire anche la cicuta.
Sebbene sia nota per la tossicità, la cicuta possiede anche proprietà medicamentose che sono conosciute fin dai tempi più antichi, quando era impiegata come narcotico, antispasmodico e antitetanico, contro i dolori cancerosi e come antirabbico. ☺
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