Sport per tutti
19 Febbraio 2016
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Sport per tutti

Qualche anno fa, mentre ero in sede fra i miei colleghi arbitri di baseball, mi si avvicina un collega più anziano. Era stato un grande giocatore a livello europeo e da quando aveva smesso di giocare si era messo ad arbitrare per una federazione con uno strano nome: AIBXC. Acronimo di cui non conoscevo il significato. Mi si siede accanto e sorridendo mi chiede se avevo voglia di arbitrare una cosa nuova, lo guardo e gli chiedo cosa intendesse e lui sorridendo: “Ti va di arbitrare baseball per ciechi?”

Mi ricordo ancora la sua risata a vedere la mia espressione: avevo sempre saputo che esistevano molti sport praticati da ipovedenti o inabili, ma certamente non avrei mai pensato che esistesse un campionato di baseball per ciechi. Credo proprio che devo aver fatto la stessa espressione di quando mi parlarono di hockey subacqueo, canottaggio indoor o altri sport simili che, tanto per chiarire le idee, esistono e vengono praticati ad alto livello in molte piscine italiane o in palestre per quanto riguarda il canottaggio indoor.

Mi spiegò che a Bologna, in un campo dove si gioca a baseball, la domenica c’era il campionato italiano di baseball per ciechi e che, se volevo, mi aspettava per spiegarmi le regole in campo. Detto fatto, la domenica ero là e sono rimasto a bocca aperta: una partita tiratissima, con gesti atletici unici ma che avrebbero provocato applausi a scena aperta anche nei campi americani, tempio del baseball mondiale.

Come si gioca? Con palline vuote con dentro un sonaglio che fa il rumore che serve ai giocatori per sapere dov’è, e che viene colpita da un battitore totalmente non vedente, ragazzi e ragazze, uomini e donne adulti che si tuffano nell’erba per prendere la pallina battuta, che lottano, che imprecano più e peggio di giocatori “normodotati”.  Sì in campo vi sono anche persone vedenti, sono di supporto agli altri, ma il gioco viene fatto per la maggior parte da loro e vi assicuro che la prima volta che li vidi mi emozionai immensamente.

Sentire giocatori che urlano all’arbitro perché non sono d’accordo con la decisione, poi sentire un giocatore rivolgerglisi, dopo una decisione contestatissima, con la frase che è diventata famosa su tutti i campi italiani: “Ma arbitro, era out! Ma almeno, lei, ci vede?”: giuro che mentre l’arbitro ammoniva il giocatore rideva tutto lo stadio! Superato il primo impatto emotivo mi sono abituato a considerarli a tutti gli effetti giocatori, con le conseguenze che tutti si possono immaginare. La cosa più importante che si impara è trattarli come gli altri, perché loro non sono diversi e lo dimostrano in campo ad ogni partita.

Sono andato in trasferta con loro, sul pulmino della squadra, così si limitavano i costi dato che la federazione non ha molti fondi, e se ci ripenso ricomincio a ridere ricordando i vari aneddoti che si raccontavano, dal giocatore (le squadre sono miste) che, entrato nello spogliatoio delle ragazze se ne era accorto solo quando glielo avevano detto. Dopo, quando ne era uscito, aveva commentato così: “Ma porco cane, non poteva capitarmi 15 anni fa, quando ancora ci vedevo almeno un po’ !!!” Oppure la ragazza che ricordava come, la partita precedente l’arbitro l’aveva fatta battere dalla postazione degli uomini e, quando se ne era accorta, lei gli aveva detto: “Arbitro guardi che nonostante tutto sono ancora una donna…” e mentre il coach le sussurrava che io ero con loro sul pulmino, girandosi verso di me con un sorriso mi disse: “Embè? Quale è il problema … sbagliano anche gli arbitri no?”

Parlare di sport praticato da inabili è facile, ho diretto gare di atletica leggera per ragazzi sulle sedie a rotelle: provate a immaginare 400 metri corsi… perché anche sulle carrozzine si corre… facendo le curve su due ruote, con il pubblico che si alza in piedi applaudendo lungo tutto il percorso, e l’arrivo che costringe noi giudici a utilizzare il fotofinish!

La cosa più difficile quando si parla di sport praticato da atleti disabili è non cascare nel pietismo! Beh, vi assicuro che dopo aver visto partite di pallacanestro in carrozzina, partite di baseball per ciechi, o gare di atletica con gli atleti che fanno curve su due ruote vi passa la voglia di essere pietosi, non ne avete né voglia né ci pensate più, anzi al contrario vi appassionate come non mai e vi trovate a tifare anche senza volere. Non ci credete? Beh provate a chiedere ad Alex Zanardi se si sente un minorato quando sulla sua handbike (bicicletta speciale fatta per gareggiare) fa la Maratona di Berlino, o quando si è lanciato in una impresa che farebbe tremare le gambe a un normodotato, diventare un Iron-man. L’atleta bolognese termina la prova atletica più dura al mondo: 4 chilometri a nuoto, 180 in bicicletta e 42 di corsa. Il tempo finale dell’ex pilota è di 9h 47′ e 14″, mentre il primo arrivato, il tedesco Sebastian Kienle, ha impiegato 8h 14′ e 18″. Il vincitore di due ori paraolimpici Alex Zanardi: “Che emozione sentire migliaia di persone dire il mio nome all’arrivo”.

Secondo voi quale è lo Sport, questo o una partita di calcio?☺

 

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