In questo mese di marzo, in cui si festeggia la Giornata Internazionale delle Donne, non posso non parlare delle donne coraggiose che ho conosciuto in molti paesi del mondo. Nel 1986 ho pubblicato, in Germania, un libro con il titolo “Sorelle”, dove racconto la vita di 6 donne di 6 paesi diversi; donne che hanno lasciato nella mia mente e nel mio cuore un’impressione indelebile. Una di queste donne si chiamava Margharita, con la “a” in vece della “e”, perché era spagnola. L’ho conosciuta nel 1983 a La Spezia, nella sua casa, dove viveva da sola, perché suo marito era morto 3 mesi prima. Mi ha raccontato la sua vita, mi ha parlato del suo grande amore, e voglio condividere con voi, cari lettori, parte di quella storia.
Margharita è nata nel 1917 ed ha passato una infanzia tranquilla e felice insieme ai suoi fratelli. È stata molto coccolata, perche era l’unica femmina, e non aveva nessun compito da svolgere in casa. Poteva dedicare tutto il suo tempo ai giochi e, dopo, alla scuola. Insieme ai parenti ha festeggiato, il 16 febbraio 1936, la vittoria elettorale della repubblica spagnola, ed insieme ai parenti ha visto svanire tutti i suoi sogni quando, il 18 giugno dello stesso anno, è scoppiata la guerra fra le forze repubblicane ed i militari che seguirono il generale Francisco Franco, che avevano organizzato un colpo di stato.
Margharita ha vissuto tutta la guerra nella sua città, Madrid. Ha conosciuto la fame, ha conosciuto la paura quando sono cadute le bombe, e non ha potuto godere di tutti quei piaceri che, in tempi normali, accompagnano la vita di una ragazza di 19, 20, 21 anni.
Un giorno venne a casa dei genitori un giovane, un membro delle Brigate Internazionali, uno di quelli che avevano lasciato il loro paese ed erano venuti in Spagna per difendere la Repubblica Spagnola. Quel giovanotto era italiano, era stato ferito in un combattimento e doveva passare il tempo della convalescenza a Madrid. Non conosceva nessuno in quella città, e così, poco a poco, divenne un ospite regolare in casa di Margharita. Con il tempo conquistò la fiducia dei genitori di Margharita ed i due giovani potevano andare al cinema o al teatro e trovare le occasioni per conversare a lungo.
Quando Margharita mi parla di quel tempo, dice che non sa se era il famoso “amore a prima vista”; lei ancora non sapeva che cosa era l’amore e che cosa si sentiva quando si amava. Ma Renato sì lo sapeva, ed un giorno, nel 1938, chiese alla madre di Margharita se gli davano il permesso di sposare la figlia. La madre prima, ed il papà dopo, non avevano niente in contrario, ma dicevano che era meglio aspettare la fine della guerra, ed i due fidanzati pensarono che questa era una buona idea, una idea sensata.
Un giorno, all’inizio del 1939 Renato non si presentò all’ora concordata, e neanche nei giorni successivi Margharita ricevette le sue notizie. Passarono le settimane, e la guerra finì con la sconfitta della Repubblica. Margharita non trovò nessun modo per cercare notizie di Renato, e la famiglia aveva anche altri problemi: dovevano organizzare la vita quotidiana in un mondo esterno avverso, un mondo in cui i fascisti imperavano mentre gli antifascisti come loro sparivano nelle carceri di Franco. Il papà ed i fratelli di Margharita avevano perso il lavoro, e Margharita era l’unica che poteva trovare un posto di lavoro in una fabbrica che produceva divise per l’esercito. “Questo”, mi diceva Margharita, “è stata l’unica cosa che ho dato a Franco: la mia forza lavoro”. Ed è vero. Fino alla morte di Franco nel 1975, Margharita ha vissuto nel suo piccolo, piccolo mondo, cercando di evitare qualsiasi contatto con il mondo di fuori. Anche quando doveva andare a comprare il pane prendeva la strada più lunga, per non dover passare davanti ad un grande palazzo dove i passanti erano obbligati a salutare la bandiera della Spagna fascista. La famiglia non accettò nessuna elemosina dal regime, e Margharita rifiutò le proposte di parecchi uomini che lavoravano nella stessa fabbrica. “Io non volevo, non potevo tradire il ricordo di Renato”. Cosi, Margharita ha preferito la solitudine anche dopo che gli era arrivata, dalla Croce Rossa, la notizia che Renato era morto.
Quando Franco morì, Margharita aveva 58 anni. Era l’unica della sua famiglia che era ancora in vita, tutti erano morti prima della fine del regime franchista. Margharita non cambiò vita. La sua vita era trascorsa in totale solitudine, e lei si sentiva vecchia.
Aveva 60 anni quando, un giorno, sentì le grida dei suoi vicini: “Margharita, Margharita, esci, vieni, ti cercano…”. Due uomini si avvicinarono alla sua porta, e Margharita riconobbe, subito, il modo di camminare di uno di loro: era Renato!
“Sai di cosa abbiamo parlato nelle prime ore? Della nostra salute! Proprio come due vecchietti!” Margarita ride quando lo racconta, ma vedo le lacrime nei suoi occhi.
Questo re-incontro avvenne 6 anni prima del mio incontro con Margharita. Renato non era morto, il problema era stato che Margharita lo conosceva con il suo nome di combattente e non con il suo nome vero. Renato aveva vissuto la prigione, prima in un campo di internamento in Francia, e dopo nel campo di concentramento di Buchenwald, in Germania. Era stato membro del comitato dei prigionieri che organizzarono la insurrezione nel campo, prima della liberazione. Dopo, in Italia, si era sposato, era stato Segretario della Federazione Internazionale dei combattenti della Resistenza. Sua moglie era morta e Renato Bertolini (questo era il suo nome) riuscì a convincere Margharita a venire con lui in Italia, dove i due hanno vissuto insieme per 6 anni, fino alla morte di Renato nel febbraio del 1983.
Ho chiesto a Margharita se pensava di rimanere in Italia, adesso che era sola, nuovamente sola. “No” mi ha detto, “rimarrò solo il tempo che occorre per poter portarmi Renato a Madrid. È stata la terra di Madrid che lui ha difeso quando era giovane, e voglio, quando io muoio, riposare nello stesso cimitero, accanto a Renato. La guerra ci ha separato, ma adesso non permetterò a nessuno e a niente di separarci, neanche alla morte.”
Margharita è morta anni fa. Non so se è riuscita a portare i resti di Renato a Madrid. Ma lo spero, lo spero di tutto il mio cuore.☺
In questo mese di marzo, in cui si festeggia la Giornata Internazionale delle Donne, non posso non parlare delle donne coraggiose che ho conosciuto in molti paesi del mondo. Nel 1986 ho pubblicato, in Germania, un libro con il titolo “Sorelle”, dove racconto la vita di 6 donne di 6 paesi diversi; donne che hanno lasciato nella mia mente e nel mio cuore un’impressione indelebile. Una di queste donne si chiamava Margharita, con la “a” in vece della “e”, perché era spagnola. L’ho conosciuta nel 1983 a La Spezia, nella sua casa, dove viveva da sola, perché suo marito era morto 3 mesi prima. Mi ha raccontato la sua vita, mi ha parlato del suo grande amore, e voglio condividere con voi, cari lettori, parte di quella storia.
Margharita è nata nel 1917 ed ha passato una infanzia tranquilla e felice insieme ai suoi fratelli. È stata molto coccolata, perche era l’unica femmina, e non aveva nessun compito da svolgere in casa. Poteva dedicare tutto il suo tempo ai giochi e, dopo, alla scuola. Insieme ai parenti ha festeggiato, il 16 febbraio 1936, la vittoria elettorale della repubblica spagnola, ed insieme ai parenti ha visto svanire tutti i suoi sogni quando, il 18 giugno dello stesso anno, è scoppiata la guerra fra le forze repubblicane ed i militari che seguirono il generale Francisco Franco, che avevano organizzato un colpo di stato.
Margharita ha vissuto tutta la guerra nella sua città, Madrid. Ha conosciuto la fame, ha conosciuto la paura quando sono cadute le bombe, e non ha potuto godere di tutti quei piaceri che, in tempi normali, accompagnano la vita di una ragazza di 19, 20, 21 anni.
Un giorno venne a casa dei genitori un giovane, un membro delle Brigate Internazionali, uno di quelli che avevano lasciato il loro paese ed erano venuti in Spagna per difendere la Repubblica Spagnola. Quel giovanotto era italiano, era stato ferito in un combattimento e doveva passare il tempo della convalescenza a Madrid. Non conosceva nessuno in quella città, e così, poco a poco, divenne un ospite regolare in casa di Margharita. Con il tempo conquistò la fiducia dei genitori di Margharita ed i due giovani potevano andare al cinema o al teatro e trovare le occasioni per conversare a lungo.
Quando Margharita mi parla di quel tempo, dice che non sa se era il famoso “amore a prima vista”; lei ancora non sapeva che cosa era l’amore e che cosa si sentiva quando si amava. Ma Renato sì lo sapeva, ed un giorno, nel 1938, chiese alla madre di Margharita se gli davano il permesso di sposare la figlia. La madre prima, ed il papà dopo, non avevano niente in contrario, ma dicevano che era meglio aspettare la fine della guerra, ed i due fidanzati pensarono che questa era una buona idea, una idea sensata.
Un giorno, all’inizio del 1939 Renato non si presentò all’ora concordata, e neanche nei giorni successivi Margharita ricevette le sue notizie. Passarono le settimane, e la guerra finì con la sconfitta della Repubblica. Margharita non trovò nessun modo per cercare notizie di Renato, e la famiglia aveva anche altri problemi: dovevano organizzare la vita quotidiana in un mondo esterno avverso, un mondo in cui i fascisti imperavano mentre gli antifascisti come loro sparivano nelle carceri di Franco. Il papà ed i fratelli di Margharita avevano perso il lavoro, e Margharita era l’unica che poteva trovare un posto di lavoro in una fabbrica che produceva divise per l’esercito. “Questo”, mi diceva Margharita, “è stata l’unica cosa che ho dato a Franco: la mia forza lavoro”. Ed è vero. Fino alla morte di Franco nel 1975, Margharita ha vissuto nel suo piccolo, piccolo mondo, cercando di evitare qualsiasi contatto con il mondo di fuori. Anche quando doveva andare a comprare il pane prendeva la strada più lunga, per non dover passare davanti ad un grande palazzo dove i passanti erano obbligati a salutare la bandiera della Spagna fascista. La famiglia non accettò nessuna elemosina dal regime, e Margharita rifiutò le proposte di parecchi uomini che lavoravano nella stessa fabbrica. “Io non volevo, non potevo tradire il ricordo di Renato”. Cosi, Margharita ha preferito la solitudine anche dopo che gli era arrivata, dalla Croce Rossa, la notizia che Renato era morto.
Quando Franco morì, Margharita aveva 58 anni. Era l’unica della sua famiglia che era ancora in vita, tutti erano morti prima della fine del regime franchista. Margharita non cambiò vita. La sua vita era trascorsa in totale solitudine, e lei si sentiva vecchia.
Aveva 60 anni quando, un giorno, sentì le grida dei suoi vicini: “Margharita, Margharita, esci, vieni, ti cercano…”. Due uomini si avvicinarono alla sua porta, e Margharita riconobbe, subito, il modo di camminare di uno di loro: era Renato!
“Sai di cosa abbiamo parlato nelle prime ore? Della nostra salute! Proprio come due vecchietti!” Margarita ride quando lo racconta, ma vedo le lacrime nei suoi occhi.
Questo re-incontro avvenne 6 anni prima del mio incontro con Margharita. Renato non era morto, il problema era stato che Margharita lo conosceva con il suo nome di combattente e non con il suo nome vero. Renato aveva vissuto la prigione, prima in un campo di internamento in Francia, e dopo nel campo di concentramento di Buchenwald, in Germania. Era stato membro del comitato dei prigionieri che organizzarono la insurrezione nel campo, prima della liberazione. Dopo, in Italia, si era sposato, era stato Segretario della Federazione Internazionale dei combattenti della Resistenza. Sua moglie era morta e Renato Bertolini (questo era il suo nome) riuscì a convincere Margharita a venire con lui in Italia, dove i due hanno vissuto insieme per 6 anni, fino alla morte di Renato nel febbraio del 1983.
Ho chiesto a Margharita se pensava di rimanere in Italia, adesso che era sola, nuovamente sola. “No” mi ha detto, “rimarrò solo il tempo che occorre per poter portarmi Renato a Madrid. È stata la terra di Madrid che lui ha difeso quando era giovane, e voglio, quando io muoio, riposare nello stesso cimitero, accanto a Renato. La guerra ci ha separato, ma adesso non permetterò a nessuno e a niente di separarci, neanche alla morte.”
Margharita è morta anni fa. Non so se è riuscita a portare i resti di Renato a Madrid. Ma lo spero, lo spero di tutto il mio cuore.☺
In questo mese di marzo, in cui si festeggia la Giornata Internazionale delle Donne, non posso non parlare delle donne coraggiose che ho conosciuto in molti paesi del mondo. Nel 1986 ho pubblicato, in Germania, un libro con il titolo “Sorelle”, dove racconto la vita di 6 donne di 6 paesi diversi; donne che hanno lasciato nella mia mente e nel mio cuore un’impressione indelebile.
In questo mese di marzo, in cui si festeggia la Giornata Internazionale delle Donne, non posso non parlare delle donne coraggiose che ho conosciuto in molti paesi del mondo. Nel 1986 ho pubblicato, in Germania, un libro con il titolo “Sorelle”, dove racconto la vita di 6 donne di 6 paesi diversi; donne che hanno lasciato nella mia mente e nel mio cuore un’impressione indelebile. Una di queste donne si chiamava Margharita, con la “a” in vece della “e”, perché era spagnola. L’ho conosciuta nel 1983 a La Spezia, nella sua casa, dove viveva da sola, perché suo marito era morto 3 mesi prima. Mi ha raccontato la sua vita, mi ha parlato del suo grande amore, e voglio condividere con voi, cari lettori, parte di quella storia.
Margharita è nata nel 1917 ed ha passato una infanzia tranquilla e felice insieme ai suoi fratelli. È stata molto coccolata, perche era l’unica femmina, e non aveva nessun compito da svolgere in casa. Poteva dedicare tutto il suo tempo ai giochi e, dopo, alla scuola. Insieme ai parenti ha festeggiato, il 16 febbraio 1936, la vittoria elettorale della repubblica spagnola, ed insieme ai parenti ha visto svanire tutti i suoi sogni quando, il 18 giugno dello stesso anno, è scoppiata la guerra fra le forze repubblicane ed i militari che seguirono il generale Francisco Franco, che avevano organizzato un colpo di stato.
Margharita ha vissuto tutta la guerra nella sua città, Madrid. Ha conosciuto la fame, ha conosciuto la paura quando sono cadute le bombe, e non ha potuto godere di tutti quei piaceri che, in tempi normali, accompagnano la vita di una ragazza di 19, 20, 21 anni.
Un giorno venne a casa dei genitori un giovane, un membro delle Brigate Internazionali, uno di quelli che avevano lasciato il loro paese ed erano venuti in Spagna per difendere la Repubblica Spagnola. Quel giovanotto era italiano, era stato ferito in un combattimento e doveva passare il tempo della convalescenza a Madrid. Non conosceva nessuno in quella città, e così, poco a poco, divenne un ospite regolare in casa di Margharita. Con il tempo conquistò la fiducia dei genitori di Margharita ed i due giovani potevano andare al cinema o al teatro e trovare le occasioni per conversare a lungo.
Quando Margharita mi parla di quel tempo, dice che non sa se era il famoso “amore a prima vista”; lei ancora non sapeva che cosa era l’amore e che cosa si sentiva quando si amava. Ma Renato sì lo sapeva, ed un giorno, nel 1938, chiese alla madre di Margharita se gli davano il permesso di sposare la figlia. La madre prima, ed il papà dopo, non avevano niente in contrario, ma dicevano che era meglio aspettare la fine della guerra, ed i due fidanzati pensarono che questa era una buona idea, una idea sensata.
Un giorno, all’inizio del 1939 Renato non si presentò all’ora concordata, e neanche nei giorni successivi Margharita ricevette le sue notizie. Passarono le settimane, e la guerra finì con la sconfitta della Repubblica. Margharita non trovò nessun modo per cercare notizie di Renato, e la famiglia aveva anche altri problemi: dovevano organizzare la vita quotidiana in un mondo esterno avverso, un mondo in cui i fascisti imperavano mentre gli antifascisti come loro sparivano nelle carceri di Franco. Il papà ed i fratelli di Margharita avevano perso il lavoro, e Margharita era l’unica che poteva trovare un posto di lavoro in una fabbrica che produceva divise per l’esercito. “Questo”, mi diceva Margharita, “è stata l’unica cosa che ho dato a Franco: la mia forza lavoro”. Ed è vero. Fino alla morte di Franco nel 1975, Margharita ha vissuto nel suo piccolo, piccolo mondo, cercando di evitare qualsiasi contatto con il mondo di fuori. Anche quando doveva andare a comprare il pane prendeva la strada più lunga, per non dover passare davanti ad un grande palazzo dove i passanti erano obbligati a salutare la bandiera della Spagna fascista. La famiglia non accettò nessuna elemosina dal regime, e Margharita rifiutò le proposte di parecchi uomini che lavoravano nella stessa fabbrica. “Io non volevo, non potevo tradire il ricordo di Renato”. Cosi, Margharita ha preferito la solitudine anche dopo che gli era arrivata, dalla Croce Rossa, la notizia che Renato era morto.
Quando Franco morì, Margharita aveva 58 anni. Era l’unica della sua famiglia che era ancora in vita, tutti erano morti prima della fine del regime franchista. Margharita non cambiò vita. La sua vita era trascorsa in totale solitudine, e lei si sentiva vecchia.
Aveva 60 anni quando, un giorno, sentì le grida dei suoi vicini: “Margharita, Margharita, esci, vieni, ti cercano…”. Due uomini si avvicinarono alla sua porta, e Margharita riconobbe, subito, il modo di camminare di uno di loro: era Renato!
“Sai di cosa abbiamo parlato nelle prime ore? Della nostra salute! Proprio come due vecchietti!” Margarita ride quando lo racconta, ma vedo le lacrime nei suoi occhi.
Questo re-incontro avvenne 6 anni prima del mio incontro con Margharita. Renato non era morto, il problema era stato che Margharita lo conosceva con il suo nome di combattente e non con il suo nome vero. Renato aveva vissuto la prigione, prima in un campo di internamento in Francia, e dopo nel campo di concentramento di Buchenwald, in Germania. Era stato membro del comitato dei prigionieri che organizzarono la insurrezione nel campo, prima della liberazione. Dopo, in Italia, si era sposato, era stato Segretario della Federazione Internazionale dei combattenti della Resistenza. Sua moglie era morta e Renato Bertolini (questo era il suo nome) riuscì a convincere Margharita a venire con lui in Italia, dove i due hanno vissuto insieme per 6 anni, fino alla morte di Renato nel febbraio del 1983.
Ho chiesto a Margharita se pensava di rimanere in Italia, adesso che era sola, nuovamente sola. “No” mi ha detto, “rimarrò solo il tempo che occorre per poter portarmi Renato a Madrid. È stata la terra di Madrid che lui ha difeso quando era giovane, e voglio, quando io muoio, riposare nello stesso cimitero, accanto a Renato. La guerra ci ha separato, ma adesso non permetterò a nessuno e a niente di separarci, neanche alla morte.”
Margharita è morta anni fa. Non so se è riuscita a portare i resti di Renato a Madrid. Ma lo spero, lo spero di tutto il mio cuore.☺
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.