313-2013 fine di un’epoca? di Silvio Malic
8 Marzo 2013 Share

313-2013 fine di un’epoca? di Silvio Malic

 

Nella storia dei grandi sistemi politici, economici, religiosi, la dinamica tipica della lingua – strumento principe della comunicazione umana – tende a fossilizzarne le espressioni perché, si dice, custodiscono e garantiscono i contenuti di una cultura divenuta sistema consolidato (ortodossia). Non appare subito che invece imponendo termini, concetti e riti, si uniformano le coscienze ad un unico modo di pensare, agire e vivere; ciò che è “altro” viene svalutato, bandito o, semmai, tollerato. La preoccupazione nascosta è quella di obbligare l’altro ad apprendere il linguaggio e il sistema concettuale del comunicatore. L’e-vento inatteso di un testimone il cui fascino non poggia su propria conquista intellettuale (gnosi) né ha forza di proprio esclusivo potere ma che semplicemente manifesti (testimoni) una visione di vita, di libertà, di fede o di senso, mette in allarme le strutture consolidate. Il testimone per primo ha visto sconvolgere la propria struttura spirituale consolidata perché ri-generato ad un nuovo statuto di sé (pensiero, cuore, azioni, senso della vita), non per potere di “gnosi” ma per incontro d’amore vivificante. È, per sommi capi, l’esperienza vissuta dalle comunità cristiane dei primi secoli alle quali l’impero romano, che pur onorava le fedi dei popoli sottomessi, in alcuni periodi, con estrema violenza persecutoria, nega libertà di parola, di fede, di convocazione, di riti, di convinzioni. Ciò nonostante non riesce ad impedire che la fede cristiana, nascosta e senza strutture, si diffonda nella diverse regioni. Nel 313 con l’editto di Milano l’imperatore Costantino concede la libertà religiosa. I testimoni vituperati divengono sciolti da limiti e in un secondo momento, a breve distanza, l’impero ne assume la fede facendola propria, si allea con la nuova religione. Da quel momento inizia una lenta trasformazione un meticciato tra impero e cristiani: questi soprattutto assumono lingua, codici di governo, o, come scrive un giurista moderno, chiesa e impero si scambiano il mantello.

il testimone

Il testimone assume la lingua e la struttura comunicativa dell’interlocutore, si cala nella storia di lui, con l’unica urgenza di partecipargli una gioia incontenibile che rompe le paure e schiude gli orizzonti. L’esclusivo interesse è permettere che l’altro possa godere e partecipare alla speranza nuova goduta dal testimone che traspare dal di lui viso, gesti e vita. Si assume tutto dell’altro cui ci si rivolge (linguaggi, tradizioni…) perché tutto può essere abitato dal Dio sorprendente che comunica e svela il suo volto nei dialetti degli uomini. Il messaggio del potere, invece, è bando, ordine, legge: si rappresenta come l’unico legittimato ad abitare le coscienze e le menti, richiede quiescenza non risveglio creativo né risposta originale; questa deve essere pre-vista (codificata) o almeno prevedibile.

Mentre la relazione comunicativa tra istituzione e singolo é senza sconto, in quanto non si ammette ignoranza, esigendosi solo l’assenso incondizionato, la relazione tra testimone e l’altro ha la tonalità amichevole dell’offerente una buona notizia (vangelo) in quanto toglie il velo alla non conoscenza incolpevole per aprire il cuore a orizzonti impensati; non gongola nel vanto di una propria conquista ma solo ne decanta lo splendore sorprendente del dono: egli è un conquistato non un conquistatore. L’incontro con Cristo, luce alla propria ignoranza, via ad un percorso che assume e nobilita la storia della persona ri-generandola ad una vita in pienezza è sempre dono anche per la persona che l’accoglie fiduciosa. Tutto si configura sul dono accolto o rifiutato, sebbene esiga libera e personale risposta accogliente e vitale.

relatività temporale del compito

La de-sacralizzazione del ruolo che Benedetto XVI ci consegna col gesto umile di rimettere il mandato non gli strappa il titolo divino di santo; tale é il nome di ogni discepolo, giustificato per grazia accolta nella fede, prima ancora di ogni ruolo affidato. Il compito assunto per l’unzione dello Spirito (karisma) è ulteriore e particolare servizio (ministero) per la vita dei fratelli e del mondo; compito spirituale perché generato dallo Spirito Santo che “dà la vita”. Lo Spirito non innalza a ruoli socialmente differenti – il popolo di Dio non si segmenta socialmente in gruppi separati – ma “elegge” e chiama a personalizzate responsabilità per la vita dell’unico corpo di Cristo convocato dalle genti (Ecclesìa). Il vivere dell’uomo spirituale (il battezzato) si incarna in una pro-esistenza per il fratello perché questi sia amato e servito, non si sedimenta in una pre-esistenza o post-esistenza autonoma. Solo Cristo possessore di pre-esistenza gloriosa se ne spoglia (kenosi) per assumere la povera condizione umana e spendersi (corpo dato e sangue versato) in una pro-esistenza per i fratelli a cui il Padre lo ha inviato; suo cibo è “fare la volontà del Padre”: che ogni uomo assurga alla dignità e alla libertà di figlio amato e prediletto. Solo dal Cristo risorto proviene la chiamata ad una post-esistenza gloriosa: “venite benedetti del Padre mio”. Criterio dirimente per tale dignità sarà il riconoscere laicamente (popolare, uguale per tutto il popolo dei discepoli) in ognuno, da parte di Cristo, l’aver fatto della propria vita una prossimità liberante e solidale al “fratello più piccolo”, a colui che non possiede nome proprio né ruolo in quanto definito solo dalla condizione particolare di bisognoso.

Il gesto di Benedetto XVI spiazza i poteri e i potenti, rallegra il cuore dei semplici: ne riscoprono la partecipazione alla comune condizione umana provvisoria, fragile e pellegrina, vaso di creta che custodisce il dono di Dio, “operaio nella vigna del Signore” come disse alla sua elezione. Ci aiuterà a capire meglio il superamento della cristianità voluta dal Concilio Vaticano II. Sarà coincidenza fortuita, potrebbe rivelarsi provvidenziale, il fatto che il suo gesto cada nel 1700° anniversario dell’editto di libertà di Costantino (313-2013). Il Vescovo di Roma, successore del Pescatore di Galilea, deposte le vesti regali della guida suprema, uscito dalla curia (termine assunto dall’impero romano), riprende il mantello e il cammino del pellegrino, fratello tra i fratelli, verso il Signore, il Primo e l’Ultimo, il Veniente.☺

 

Quest’anno si celebra anche il 17° centenario dell’Editto di Costantino. La libertà religiosa è cosa buona. È da rispettare, soprattutto quella altrui. Tutte le religioni la esigono, ma ben poche la concedono. Forse nessuna. La libertà cristiana nessuno ce la può togliere, neppure la persecuzione. Ce la toglie però il tradimento del Vangelo, quando diventiamo supporto dei potenti. Il cristianesimo, quando diventa religione di Stato, impone il Vangelo con leggi ed eventuali roghi, crociate, dittature e giochi vari per avere esenzioni e privilegi. Che abominio: da perseguitati a persecutori. Per difendere indebiti privilegi non riconosciamo più il Signore nei poveri!

Spero che il 313 si celebri con vergogna e rossore per la libertà pretesa per sé e negata agli altri. Unica è la fonte delle cinque piaghe della Chiesa: l’oblio della Parola che annuncia un Dio crocifisso. La Chiesa deve costantemente ripulire il suo volto di sposa se vuol essere come lo Sposo. È un volto molto offuscato: a livello pratico da pretese di dominio e a livello più profondo dalla dimenticanza del Vangelo.

Silvano Fausti, s.j.

biblista e scrittore

 

Com’è stato osservato, il più pericoloso nemico del cristianesimo non fu l’imperatore Diocleziano, che perseguitava i cristiani e ne faceva dei martiri, ma l’imperatore Costantino, perché da allora il potere si è costantemente intromesso nello spazio tra Dio e l’essere umano, contaminandolo. Lo scrittore inglese cattolico Chesterton ha scritto che Dio ha cominciato a morire nel momento in cui istituzioni antidemocratiche e illiberali, per meglio rafforzare il proprio prestigio e potere, si sono presentate alla gente sotto il suo nome, dicendo: “Noi parliamo a nome di Dio. Siamo i suoi servi e i suoi rappresentanti, dunque ci è dovuta obbedienza, perché obbedendo a noi in realtà obbedite a lui. Chi ci contesta e ci critica commette peccato di superbia e di blasfemia”. La lezione della storia offre un ricco e triste catalogo di dittatori sanguinari che in Europa e in America Latina sono stati definiti uomini della provvidenza o salvatori della patria dai vertici vaticani, nonostante si fossero resi responsabili di genocidi e di orrendi delitti.

Roberto Scarpinato,

Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo

 

 

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