abitare l’esilio
1 Ottobre 2011 Share

abitare l’esilio

 

Il 16 ottobre noi molisani siamo chiamati a rinnovare il consiglio regionale. Mi sento costretto a parlarne, più per dovere di cronaca che per entusiasmo e passione, frustrato terribilmente e irrimediabilmente dalle scelte a dir poco insensate operate da un’ammucchiata di sinistrati senza nessun’altra prospettiva che la conquista del “palazzo”. Non diversamente dalla parte avversa, accomunata anch’essa da un solo grande progetto: non farsi scippare il “palazzo”.

Due i motivi di incontenibile rabbia. A livello nazionale ogni giorno di più – ed è proprio vero che al peggio non c’è limite – dobbiamo vergognarci del presidente del consiglio, che per decenza non nomino, e dei suoi accoliti, occupati a imputtanire sempre più l’Italia in un momento di grande difficoltà economica e di conseguente accresciuta povertà individuale e collettiva. A causa degli irresponsabili nostrani, all’alba del 18 ottobre, ci toccherà vedere su tutti i canali nazionali la maschera italiana, che oggi più fa ridere il mondo, annunciare che il popolo non l’ha abbandonato, che sta con lui e che una nuova ondata di fiducia nei suoi confronti riparte proprio dal Molise, terra su cui poggia, è bene non dimenticarlo, il suo seggio parlamentare.

A livello regionale, di mese in mese, abbiamo contestato metodo e contenuti della politica del presidente della giunta regionale che ha contribuito grandemente a rendere invivibile e clientelare il Molise. In questi giorni gli amministratori uscenti non fanno che sparare, come fuochi pirotecnici, somme di denaro (in gran parte presunte) avute dal governo: ricostruzione delle zone terremotate, sviluppo, autostrade, agricoltura, sanità. Tutto fatto e risolto. È il paese dei balocchi. L’importante è non uscire dalla fiaba. E un pool di sciagurati, incapaci di un’altra analisi, un’altra pratica conflittuale, un’altra proposta, ci costringe in ogni caso a rimanerci, mentre Iorio, con le forbici appese al collo come uno stetoscopio, passa a tagliare nastri e ad inaugurare tutto quello che gli capita a tiro.

La sinistra nostrana, e c’è il fondato sospetto che quella nazionale sia in piena sintonia, non ha capito, e sarà difficile farglielo intendere, che non è la faccia o la camminatura di Iorio ad essere oggetto di contestazione, ma la sua politica, frutto anche del suo schieramento che si è guardato bene dal rimpiazzarlo. Di conseguenza contrapporgli una brutta copia che coalizza intorno a sé tutti quelli che cercano spasmodicamente un posto al sole, non importa da dove vengono, dove vogliono andare e che cosa vogliono realizzare, unicamente con lo scopo di sostituirsi al presidente uscente, incanterà e sedurrà ben pochi. Facce nuove o liftate non servono senza un progetto politico diverso e alternativo a quello che abbiamo subìto per dieci anni. A sfogliare nomi e liste viene lo sconforto. Purtroppo abbiamo avuto ragione nell’anticipare come sarebbero andate le primarie e non ci vuole la zingara a sapere come finirà la consultazione elettorale. Saremo tacciati di essere affetti dalla sindrome di Stoccolma, di essere quinte colonne assoldate da Iorio; pazienza, ma questa sfida ci lascia indifferenti.

Una certa sinistra ha concordato l’appoggio tecnico con il candidato presidente; tradotto significa: tu non sei il nostro tipo, ma ci sei necessario perché senza di te nessun culo nostro riscalderà poltrone; e di rimando: non è che voi mi siete simpatici, ma che ben vengano i vostri voti. Per regolare i conti c’è di tempo tutta una legislatura. Come pecunia non olet (il denaro non manda odore) allo stesso modo il voto: sono state accolte persone di destra che, avendo trovato sovraffollate le liste di appoggio a Iorio e temendo soprattutto che il quoziente per essere eletti sarebbe stato più alto, hanno pensato bene di candidarsi nell’altro schieramento, salvo poi, dopo le elezioni, tornare all’ovile. Roberto Ruta, il grande traghettatore, che ora si prepara il posto per il senato, sa come far saltare i suoi da una parte all’altra.

Sono solo dei flash. Ma danno idea della ripulsa che campeggia nell’elettorato che ha chiesto invano un cambiamento. Se sono impresentabili i due candidati, l’ultima opportunità è salvare qualche possibile consigliere, perché faccia testimonianza, attraverso il voto disgiunto, appoggiandosi al candidato presidente del movimento cinque stelle.

“Rotta”. Forse non c’è parola polivalente più idonea di questa per esprimere la situazione creatasi. Avremmo desiderato un movimento, un partito, la coalizione che avesse una rotta, una direzione, e la seguisse in mare aperto, senza farsi incantare dalle sirene, anche durante la tempesta, con la consapevolezza che sotto costa è facile infrangersi contro imprevedibili scogli. E invece ci siamo ritrovati con movimenti, partiti, coalizione in rotta, sbaragliati, dove ciò che conta è salvare la propria pelle. Perciò si è rotta, infranta, la fiducia che con queste persone si possa costruire il cambiamento.

Continueremo ad abitare l’esilio, nostro malgrado, con tutta l’amarezza di chi non sa per quanto tempo ancora; ma la speranza indignata non ci renderà giammai dei rassegnati, pronti ad affidarci al meno peggio. Se oggi all’orizzonte non compare nessun segnale, ciò non significa che sarà così per sempre. Adda passà ‘a nuttata. ☺

 

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