25 anni sono trascorsi dal quel maggio del 1991 nel quale alcune famiglie approvarono uno statuto per dire che “Accoglienza” è una parola per cui vale la pena vivere. Cominciammo con i tossicodipendenti, ma ci facemmo carico del grande rischio che correva la nostra coscienza di benpensanti, tutta dedita ad alzare muri verso i drogati, i migranti, gli omosessuali, i malati di aids, i detenuti, le vittime della tratta. Eravamo animati dai volti dei nostri fratelli e sorelle che avevano subìto la schiavitù della droga, ma ce l’avevano fatta grazie all’accoglienza ed oggi direi grazie alla misericordia che è il ridare a tutti opportunità di vita. Non voglio raccontare i numeri, ma i tanti volti che tratteggiano un’umanità sofferente, ferita, responsabile dei propri sbagli e tesa a trovare una strada, una vita possibile. Vorrei raccontare delle notti insonni, delle lacrime che ho asciugato, della paura per ciò che non conoscevamo perché chi si mette sulla strada e sulle frontiere non conosce l’inedito e l’imprevedibile, ma quello che ricordo è anche quello che vivo oggi con tanta difficoltà e tanti debiti. Ma vantiamo anche un grande credito di umanità donata e ricevuta perché abbiamo accompagnato chi faceva fatica e restava da solo. Abbiamo anche affrontato il saccheggio e la devastazione di un sistema che usa il volto buono del volontariato per poi abbandonarlo al proprio destino. Spiccano però, su tutte, le storie a lieto fine di quei volti fieri e timorosi che si riaffacciavano alla vita con tremore e un fremito di incoscienza vitale.
Vorrei dire che tanti hanno abusato della nostra accoglienza per disonestà e calcolo, soprattutto chi non ha capito e chi ha contrastato con le petizioni, con gli attacchi personali; ma molti di più hanno fatto strada con noi nella semplicità e nella disponibilità perché comprendevano che nonostante la nostra apparente ingenuità e fragilità c’era qualcosa che il mondo stava smarrendo e che noi custodivamo, investendolo ogni giorno in abbracci, sorrisi, parole e sostegno pratico. Questo qualcosa si chiama: Accoglienza. Questa parola è il vero volto di questo quarto di secolo che porta una grande speranza con sé. Abbiamo visto le lacrime tramutarsi in sorrisi, il dolore in gioia, la disperazione in speranza, la sfiducia in fiducia, la morte nella vita. Ho visto il patire, il morire e la risurrezione nei volti dei senza volto, nei nomi dei senza nome e ho conosciuto ciò che il paradiso può rappresentare: un mondo al contrario in cui gli ultimi, i vulnerabili, i poveri diventano i primi, i coraggiosi, i ricchi e i privilegiati. Ne è valsa la pena per quanti hanno creduto, lottato e vissuto per un ideale che è diventato pratica di accoglienza, di ascolto e di protagonismo anonimo. Sotto la cenere c’è vita! In ciò che scartiamo c’è il fondamento di una nuova umanità che ogni tanto fa capolino per dire al mondo che la costruzione dei muri sta facendo paura e che solo chi tende la mano fa la storia. ☺
25 anni sono trascorsi dal quel maggio del 1991 nel quale alcune famiglie approvarono uno statuto per dire che “Accoglienza” è una parola per cui vale la pena vivere. Cominciammo con i tossicodipendenti, ma ci facemmo carico del grande rischio che correva la nostra coscienza di benpensanti, tutta dedita ad alzare muri verso i drogati, i migranti, gli omosessuali, i malati di aids, i detenuti, le vittime della tratta. Eravamo animati dai volti dei nostri fratelli e sorelle che avevano subìto la schiavitù della droga, ma ce l’avevano fatta grazie all’accoglienza ed oggi direi grazie alla misericordia che è il ridare a tutti opportunità di vita. Non voglio raccontare i numeri, ma i tanti volti che tratteggiano un’umanità sofferente, ferita, responsabile dei propri sbagli e tesa a trovare una strada, una vita possibile. Vorrei raccontare delle notti insonni, delle lacrime che ho asciugato, della paura per ciò che non conoscevamo perché chi si mette sulla strada e sulle frontiere non conosce l’inedito e l’imprevedibile, ma quello che ricordo è anche quello che vivo oggi con tanta difficoltà e tanti debiti. Ma vantiamo anche un grande credito di umanità donata e ricevuta perché abbiamo accompagnato chi faceva fatica e restava da solo. Abbiamo anche affrontato il saccheggio e la devastazione di un sistema che usa il volto buono del volontariato per poi abbandonarlo al proprio destino. Spiccano però, su tutte, le storie a lieto fine di quei volti fieri e timorosi che si riaffacciavano alla vita con tremore e un fremito di incoscienza vitale.
Vorrei dire che tanti hanno abusato della nostra accoglienza per disonestà e calcolo, soprattutto chi non ha capito e chi ha contrastato con le petizioni, con gli attacchi personali; ma molti di più hanno fatto strada con noi nella semplicità e nella disponibilità perché comprendevano che nonostante la nostra apparente ingenuità e fragilità c’era qualcosa che il mondo stava smarrendo e che noi custodivamo, investendolo ogni giorno in abbracci, sorrisi, parole e sostegno pratico. Questo qualcosa si chiama: Accoglienza. Questa parola è il vero volto di questo quarto di secolo che porta una grande speranza con sé. Abbiamo visto le lacrime tramutarsi in sorrisi, il dolore in gioia, la disperazione in speranza, la sfiducia in fiducia, la morte nella vita. Ho visto il patire, il morire e la risurrezione nei volti dei senza volto, nei nomi dei senza nome e ho conosciuto ciò che il paradiso può rappresentare: un mondo al contrario in cui gli ultimi, i vulnerabili, i poveri diventano i primi, i coraggiosi, i ricchi e i privilegiati. Ne è valsa la pena per quanti hanno creduto, lottato e vissuto per un ideale che è diventato pratica di accoglienza, di ascolto e di protagonismo anonimo. Sotto la cenere c’è vita! In ciò che scartiamo c’è il fondamento di una nuova umanità che ogni tanto fa capolino per dire al mondo che la costruzione dei muri sta facendo paura e che solo chi tende la mano fa la storia. ☺
La Fa.C.E.D. al suo venticinquesimo anniversario offre uno sguardo aperto su i temi più ombrosi della società. Un cammino fatto di accoglienza. "Abbiamo anche affrontato il saccheggio e la devastazione di un sistema che usa il volto buono del volontariato per poi abbandonarlo al proprio destino. Spiccano però le storie a lieto fine di quei volti fieri e timorosi che si riaffacciavano alla vita con tremore e un fremito di incoscienza vitale"
25 anni sono trascorsi dal quel maggio del 1991 nel quale alcune famiglie approvarono uno statuto per dire che “Accoglienza” è una parola per cui vale la pena vivere. Cominciammo con i tossicodipendenti, ma ci facemmo carico del grande rischio che correva la nostra coscienza di benpensanti, tutta dedita ad alzare muri verso i drogati, i migranti, gli omosessuali, i malati di aids, i detenuti, le vittime della tratta. Eravamo animati dai volti dei nostri fratelli e sorelle che avevano subìto la schiavitù della droga, ma ce l’avevano fatta grazie all’accoglienza ed oggi direi grazie alla misericordia che è il ridare a tutti opportunità di vita. Non voglio raccontare i numeri, ma i tanti volti che tratteggiano un’umanità sofferente, ferita, responsabile dei propri sbagli e tesa a trovare una strada, una vita possibile. Vorrei raccontare delle notti insonni, delle lacrime che ho asciugato, della paura per ciò che non conoscevamo perché chi si mette sulla strada e sulle frontiere non conosce l’inedito e l’imprevedibile, ma quello che ricordo è anche quello che vivo oggi con tanta difficoltà e tanti debiti. Ma vantiamo anche un grande credito di umanità donata e ricevuta perché abbiamo accompagnato chi faceva fatica e restava da solo. Abbiamo anche affrontato il saccheggio e la devastazione di un sistema che usa il volto buono del volontariato per poi abbandonarlo al proprio destino. Spiccano però, su tutte, le storie a lieto fine di quei volti fieri e timorosi che si riaffacciavano alla vita con tremore e un fremito di incoscienza vitale.
Vorrei dire che tanti hanno abusato della nostra accoglienza per disonestà e calcolo, soprattutto chi non ha capito e chi ha contrastato con le petizioni, con gli attacchi personali; ma molti di più hanno fatto strada con noi nella semplicità e nella disponibilità perché comprendevano che nonostante la nostra apparente ingenuità e fragilità c’era qualcosa che il mondo stava smarrendo e che noi custodivamo, investendolo ogni giorno in abbracci, sorrisi, parole e sostegno pratico. Questo qualcosa si chiama: Accoglienza. Questa parola è il vero volto di questo quarto di secolo che porta una grande speranza con sé. Abbiamo visto le lacrime tramutarsi in sorrisi, il dolore in gioia, la disperazione in speranza, la sfiducia in fiducia, la morte nella vita. Ho visto il patire, il morire e la risurrezione nei volti dei senza volto, nei nomi dei senza nome e ho conosciuto ciò che il paradiso può rappresentare: un mondo al contrario in cui gli ultimi, i vulnerabili, i poveri diventano i primi, i coraggiosi, i ricchi e i privilegiati. Ne è valsa la pena per quanti hanno creduto, lottato e vissuto per un ideale che è diventato pratica di accoglienza, di ascolto e di protagonismo anonimo. Sotto la cenere c’è vita! In ciò che scartiamo c’è il fondamento di una nuova umanità che ogni tanto fa capolino per dire al mondo che la costruzione dei muri sta facendo paura e che solo chi tende la mano fa la storia. ☺
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