Accogliere la sacra scrittura
23 Marzo 2018
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Accogliere la sacra scrittura

Ci sono due libri nel Nuovo Testamento che sembrano delle vere “cenerentole”, in quanto sono quasi sempre ignorati. Si tratta della seconda lettera di Pietro e della lettera di Giuda (l’altro Giuda, non il traditore!), che tra loro sono molto simili perché parlano degli ultimi tempi della storia e si capisce anche, vedendo i due testi da vicino, che uno si è ispirato all’altro. L’ipotesi più diffusa è che la lettera di Giuda sia stata scritta prima e che l’autore della seconda lettera di Pietro (attribuita al grande apostolo da un anonimo scrittore) abbia ripreso quasi letteralmente l’altra, eliminando però alcuni elementi che rendono particolare quella di Giuda. La stranezza di questo breve libro (appena un capitolo), infatti, è che cita alcuni testi apocrifi come se fossero Sacra Scrittura. Parla, ad esempio, della contesa tra il diavolo e san Michele riguardo all’anima di Mosè appena morto (racconto tratto da un apocrifo perduto) e cita alla lettera il Libro di Enoch, forse l’apocrifo più importante tra quelli scritti nel giudaismo prima di Cristo e che è stato molto letto sia dai primi padri della chiesa sia dagli autori del Nuovo Testamento e probabilmente dallo stesso Gesù. Abbiamo la fortuna di poterlo avere nella sua interezza grazie al fatto che è considerato sacro dalla chiesa etiopica, che ha percorso per secoli un cammino autonomo dovuto al suo isolamento dalla cristianità mediterranea. Il fatto che un libro biblico citi un apocrifo come testo sacro, forse dovrebbe far guardare con più attenzione questa grande letteratura della tradizione ebraica.

La seconda lettera di Pietro riprende il testo di Giuda eliminando i riferimenti agli apocrifi e mantenendo la stessa descrizione degli ultimi tempi, cercando di rassicurare i cristiani che, se Dio ancora non è tornato, non devono preoccuparsi perché comunque tornerà e manifesterà la sua vittoria sul male. Nel frattempo i cristiani hanno lo strumento per rimanere fedeli a Dio: le Scritture dei profeti (quello che noi chiamiamo Antico Testamento) e il comandamento di Gesù, probabilmente i vangeli che, all’epoca della stesura di questa lettera, erano già scritti e forse già raccolti insieme. L’anonimo scrittore, infatti, mostra di conoscere i racconti evangelici perché cita alla lettera l’episodio della Trasfigurazione, narrato dai primi tre vangeli (1,16-18). Le lettere di Paolo, inoltre, sono considerate allo stesso livello delle Scritture, quindi sacre (3,15-16), anche se devono essere ben interpretate perché sono difficili e molti le travisano.

In questa lettera, in sintesi, abbiamo una carrellata di tutte quelle raccolte di testi che oggi costituiscono la nostra bibbia; molti ritengono che questo sia l’ultimo libro del Nuovo Testamento, scritto probabilmente agli inizi del secondo secolo, intorno al 120-130. Siamo ormai nella quarta generazione cristiana, quando si sente la necessità di ritornare alle fonti della propria fede attraverso gli scritti lasciati in eredità dai primi testimoni e dai loro diretti discepoli. Questo libro può essere considerato una vera guida alla giusta interpretazione delle Scritture viste come un unico corpo dalle molte membra, dove le profezie dell’Antico Testamento ricevono piena comprensione alla luce degli eventi e degli scritti del Nuovo Testamento creando insieme quell’armonia alla base dell’identità cristiana, quando anche le divergenze degli antichi protagonisti (Pietro, Paolo, Giacomo) sono ricomposte nell’unità della visione di un Dio che ha creato il mondo e non vuole distruggerlo, ma piuttosto ricrearlo di nuovo attraverso l’azione di Gesù Cristo. In questo i cristiani non sono semplici spettatori ma collaboratori attivi e preparati attraverso la meditazione continua delle Scritture viste come un unico grande libro che rivela il senso ultimo della storia.

La seconda lettera di Pietro costituisce quindi un ponte tra l’epoca della Scrittura ispirata e il tempo successivo della Chiesa; tra questi tempi tuttavia non c’è divisione netta, ma un passaggio sfumato, perché mentre veniva scritto questo libro erano scritti altri testi che oggi noi conosciamo come “padri apostolici”. Il cammino della fede non è fatto di salti ma di intrecci tra uomini e idee che si ispirano a vicenda. Si può dire che il nostro autore volge uno sguardo globale retrospettivo al cammino che il cristianesimo ha fatto fino a quel momento per rilanciare quello stesso cammino verso una meta più lontana (mille anni sono come un giorno solo, dice il nostro citando un salmo) ma non meno certa.

Questi due testi (2 Pietro e Giuda) ci insegnano che, avendo come pietra angolare la Scrittura nella sua globalità, non dobbiamo dimenticare né l’ambiente in cui la Scrittura è sorta (compresi gli apocrifi), né i nuovi contesti in cui accogliere questa Scrittura, che danno nuovo significato a ciò che la tradizione antica ci consegna, per evitare di fossilizzarci in un solo punto di vista, riducendo così la forza e la fantasia della Parola ad un’unica e sterile scelta. ☺

 

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