Allerta cinghiali
13 Maggio 2020
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Allerta cinghiali

Il problema cinghiali in Molise, e a ragion veduta in gran parte del nostro Paese, è diventato un sempre più ricorrente tema di discussione e senza alcun dubbio motivo di preoccupazione da parte di crescenti fasce di cittadini. Definirne il numero, la loro provenienza e/o individuare le più appropriate modalità per controllare un fenomeno di tale portata, è assurto a oggetto di dibattito che, seppur ampio, è stato per lo più mal supportato dalle necessarie informazioni atte a fornire le più utili conoscenze al riguardo.
Una prima fondamentale considerazione, a detta degli esperti, pare sia proprio quella dell’estrema difficoltà di poterne stimare il numero complessivo presente sull’intero territorio nazionale. A causa, infatti, della loro larga diffusione areale, non esisterebbero tecniche di censimento, oltretutto piuttosto costose, in grado di fornire dati attendibili, circa il loro numero, sia su scala nazionale, che locale.
La possibilità di poter ipotizzare quanti animali di una certa specie, nel caso i cinghiali, un determinato territorio può sostenere, in considerazione delle risorse disponibili, quali cibo e spazi liberi, si scontra, di fatto, con lo stretto rapporto che la specie ha con le attività umane. Infatti, un conto è calcolare la quantità possibile di sopravvivenza di una determinata specie in un territorio silvestre e uno è farlo in un contesto in cui è inevitabile una convivenza conflittuale con la presenza umana e soprattutto con le sue attività economiche. Si crea, cioè, in questa seconda evenienza, sia un conflitto relativo alla conservazione della biodiversità animale e vegetale dei luoghi, sia una competizione per la salvaguardia delle colture agronomiche presenti.
È evidente che, nei centri urbani, la disponibilità di cibo è rintracciabile, sia nei contenitori di rifiuti urbani, spesso poco protetti, circa la possibilità di potervi accedere da parte degli animali, sia nei casi di volontaria somministrazione di cibo per cani e gatti che vagano liberamente in ambito urbano ed extraurbano. Si crea, oltretutto, in tal modo, un’alterazione in seno alla catena alimentare, nel senso che contrariamente a quanto avviene in natura, la disponibilità di cibo, diventa, pressoché, costante durante l’intero anno e non più legato all’ordinaria disponibilità stagionale. Tale possibilità ovvero quella di poter reperire con facilità e costantemente cibo di origine antropica, è un elemento di grande vantaggio, sia in relazione alla sopravvivenza che alla naturale prolificità propria della specie interessata.
Altro tema di discussione nei riguardi della larga presenza dei cinghiali nei nostri territori è quello relativo alla loro natura e provenienza. È possibile parlare ancora di specie autoctone e non solo o esclusivamente di specie provenienti dall’est europeo, quale fattore non secondario, intimamente legato alla loro condotta etologica, compresa quella riproduttiva?
Anche in questo caso, sempre a detta degli esperti, pare si possa affermare che se è pur vero che ci siano state, in un ultratrentennale passato, introduzioni di specie alloctone, è pur vero che dai primi anni ’90, è iniziata, almeno in alcune aree, una progressiva immissione di cinghiali di allevamento locale. È evidente che, di conseguenza, non potevano non crearsi situazioni d’incroci, anche con maiali, in aree circoscritte ed isolate da contesti ambientali più ampi. Comunque sia, pare si possa affermare che il patrimonio genetico della specie, nella sua interezza, possa essere considerato integro.
Infine, la domanda: “è possibile attuare un efficace controllo del numero dei cinghiali presenti, non solo per la salvaguardia dei fondi agricoli coltivati, ma anche per difendere, durante i quotidiani spostamenti, i cittadini residenti nelle aree contermini interessate”? Tra le diverse modalità tecnico-scientifiche, sviluppate e suggerite, a livello europeo, atte a contenere il numero di esemplari di una determinata popolazione animale, per mitigare gli impatti sulle colture e la biodiversità, la più convincente e maggiormente presa in considerazione sembra essere quella, altresì prevista dalla legge, che si affianca ad una controllata, non sportivo-ricreativa, attività venatoria. Si prefigura, cioè, un’operazione di utilizzo della caccia non per riempire i carnieri come da tradizione ma tesa a costituire, sotto la guida di un qualificato ente pubblico e in seguito ad un’adeguata preparazione, tra il mondo venatorio e quello degli agricoltori, un patto d’onore finalizzato al contenimento delle popolazioni in esubero.☺

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