All’ombra del farfaraccio
14 Maggio 2022
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All’ombra del farfaraccio

“Fin laggiù nell’acqua crescevano grandi piante di farfaraccio, così alte che i bambini piccoli potevano stare in piedi all’ombra delle foglie più alte”. Così lo scrittore danese Andersen, nella celebre fiaba Il brutto anatroccolo, descrive una pianta che si riconosce con molta facilità grazie alla dimensione delle foglie e alla sua diffusione nelle zone umide come sponde di fiumi e ruscelli.

Si tratta del farfaraccio maggiore, Petasites hybridus, presente su tutto il territorio italiano, escluse le isole, dalla pianura alla montagna, fino a 1650 m di altitudine.

La famiglia di appartenenza è quella delle Composite o Asteracee, la più numerosa al mondo, con oltre 22.000 specie, delle quali solo quattro sono proprie della flora italiana e possono essere confuse tra loro, in particolare dopo la fioritura.

Sembra che sia stato Dioscoride, antico medico, botanico e farmacista greco, che esercitò a Roma ai tempi dell’imperatore Nerone, a chiamare per primo questa pianta col nome di Petasites, riferendosi proprio alle grandi foglie verdi simili al petasus, un cappello a grandi falde usato dai viaggiatori del suo tempo. Il nome specifico, hybridus, fa probabilmente riferimento a una possibile origine ibrida di questa specie. Mentre il nome comune (maggiore) sta a indicare che questa specie è quella che raggiunge le maggiori dimensioni in altezza, fino a 120 cm.

I rizomi, fusti sotterranei dai quali, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei, eretti e cavi, coperti da scaglie, sono inoltre caratterizzati da gemme che ne garantisco la longevità. Le foglie si distinguono in basali e cauline. Le prime sono le foglie radicali molto grandi e facilmente riconoscibili per la particolare forma a cuore, che possono raggiungere una larghezza di 80 cm e una lunghezza di 45 cm, e che si sviluppano dopo la fioritura; le cauline, sono invece quelle che abbracciano il fusto di colore bruno-rossastro e dalla forma lanceolata. Le infiorescenze sono formate da diversi capolini, tipici della struttura delle Asteracee; il colore dei fiori, quasi inodori, è bianco-rossastro tendente al violetto.

Del farfaraccio si raccolgono foglie e fiori in primavera; le radici si possono raccogliere in primavera oppure in autunno.

Nella pianta sono presenti olii essenziali, glucosidi, mucillagini, tannini e sali minerali vari, ma ne viene sconsigliato l’uso in cucina perché contiene alcuni alcaloidi epatotossici (alcaloidi pirrolizidinici).

Le foglie appena raccolte vengono applicate sulle ulcere per ottenere una rapida cicatrizzazione e possono essere usate per ottenere una maschera da applicare sul viso in caso di arrossamenti e irritazioni oppure per un’azione purificante della pelle. Nella medicina popolare vengono sfruttate anche le proprietà sedative per calmare stati nervosi e dolorosi in eccesso, bechiche per l’azione calmante della tosse, diaforetiche per agevolare la traspirazione cutanea. In omeopatia si attribuiscono all’estratto della radice numerosi successi nella cura delle balbuzie.

Nel nostro dialetto questa pianta è conosciuta col nome di ’u còppe, “il cartoccio”. Fino ad alcuni anni fa, ’u còppe veniva infatti utilizzato per avvolgere e trasportare le piantine degli ortaggi dal semenzaio al luogo del trapianto, al fine di mantenerle fresche e rigogliose.

Un’ultima curiosità: il farfaraccio non cresce da solo, ma dove ne nasce uno spuntano tante altre piantine quasi a formare un vero e proprio bosco. E La famiglia felice, un’altra fiaba di Andersen, racconta di due lumachine che vivono felici al riparo dalla pioggia sotto enormi foglie di farfaraccio.☺

 

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