Annamaria a-dio
7 Marzo 2019
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Annamaria a-dio

Caro Dario,

da quando ci siamo incrociati in questa rivista per portare il nostro contributo di lotta e tenerezza nel nostro amato ma tormentato Molise, a causa della pochezza degli amministratori, più volte ci siamo ritrovati in lacrime per la prematura scomparsa di compagne e compagni di strada: da Piergiorgio Acquistapace a Giulia D’Ambrosio, da Leo Leone a Maria Concetta Barone, a Mario Travaglini, per ricordare solo le firme più diffuse sulle nostre pagine. Oggi la imprevedibile e improvvisa morte di Annamaria, tua moglie e mia cara amica fin dalla prima giovinezza, mi ha lacerato profondamente. Per noi, nel lavoro oscuro di redazione, era riferimento e più spesso confronto insostituibile per stile e cultura. Dietro giudizi trancianti o improvvise alzate di scudo, dove la discussione avrebbe stentato a proseguire, sapevamo che mascherava uno spirito sensibile, un afflato umano, una partecipazione convinta. Voleva essere, o meglio, mostrarsi impenetrabile. Per molti, forse per i più, non per noi. La sua cultura classica era tutt’altro che elitaria. Per diversi numeri fu intenta a tradurre i miti in linguaggio e categorie attuali poi, di tanto in tanto, impreziosiva la rivista con qualche scritto, sempre più intenta a ridare un’ultima lettura ai nostri articoli perché fossero contestabili o anche detestabili per le idee, non per gli strafalcioni.

La nostra situazione di terremotati in cerca di giustizia la coinvolse da subito e presto insieme con te entrò nella cabina di regia della rivista e nell’associazione che costituimmo, per editare in libertà e senza censure i nostri scritti, perché fosse chiaro a tutti da che parte stava e, man mano che il nostro campo visivo si allargava sui problemi della società, la sua passione si dilatava, consapevole che un mondo in cui anche un solo uomo soffre di meno è già un mondo migliore. Con lei abbiamo affrontato e discusso gli argomenti cogenti della politica locale, incapace di creare sviluppo compatibile con l’ambiente. Abbiamo criticato con eguale forza le varie amministrazioni regionali susseguitesi in questi anni di immobilismo perché non ci interessa averli amici e meno ancora essere sul loro libro paga. A costo di sacrifici personali non abbiamo mai cercato né tantomeno avuto finanziamenti pubblici. Abbiamo scelto di vivere senza padroni e senza padrini! Il suo debole erano le pagine in cui trattiamo di cultura e scuola ma leggeva con grande deferenza gli articoli di spiritualità sempre in cerca di spunti utili al suo cammino interiore. Nelle battaglie sociali ci seguiva con trasporto, desiderosa di fondere lotta e contemplazione, preghiera e impegno, perché una fede che non si invera nella storia è alienante mentre l’inverso tarperebbe le ali all’uomo che è sempre più delle sue azioni.

Caro Dario,

con quale soddisfazione brindavamo, anche per lei, pericolosamente astemia, alla chiusura di ogni numero, perché ogni fascicolo era una sfida vinta, era dare alla luce una nuova creatura per contribuire a cambiare la società, era una sfornata di pane fresco da offrire in pasto ai lettori, consapevoli che gli avversari l’avrebbero masticato amaramente. Ignari del dolore che avrebbe portato il nuovo giorno, l’ultimo quaderno con il suo nome, il n. 158, lo chiudemmo, con la grinta di sempre, la notte che per lei diventerà l’ultima. Per noi sarà il chicco di grano che, caduto in terra, marcisce per dare vita. La sua assenza di visibilità non sarà pertanto un vuoto di presenza, proseguiremo anche nel suo nome a tormentare le coscienze assopite.

Dovremmo parlare della risibile ascesa di un uomo che anziché cambiare testa si accontenta di cambiare divise, della farlocca ostinazione a voler realizzare l’inutile TAV per bucare una incolpevole montagna, della necessità di accogliere immigrati per dare loro una terra e ai nostri spopolati paesi una opportunità di sopravvivenza, di sanità che non sia attentato alla salute, di lavoro che non c’è, di rinnovo di consigli comunali e di Europa come casa dei popoli, temi tutti condivisi da Annamaria, ma preferisco ricordare ancora la sua passione per un vangelo letto, approfondito e vissuto. Partecipava molto volentieri agli approfondimenti biblici guidati dal nostro comune amico Michele Tartaglia, ai nostri confronti teologici sempre rispettosi dell’altrui punto di vista. Si sentiva terra di mezzo tra cattolici ed evangelici, tra la tua e la nostra chiesa. Il suo ecumenismo era sincero perché per tutti noi, al di là delle divisioni, c’era e c’è il fascino per il vangelo.

Un accenno alle nostre uscite estive non posso tacerlo. Amava viaggiare, scoprire altre culture, studiare mete e percorsi, la sua fatica più grande era organizzare valigie e borsoni. Sarà anche per questo che per l’ultimo viaggio senza ritorno è partita dolcemente, si è abbandonata senza preoccupazione, con un sorriso sornione sapendo che lasciava a noi l’incombenza di raccogliere le sue cose.

Caro Dario,

ho parlato di Annamaria al passato solo per rispetto di formule convenzionali ma sia tu che io sappiamo che l’amore non muore, anzi trova pienezza proprio quando la vita sboccia nell’eternità. Il Dio che adoriamo non è il Dio dei morti ma dei vivi e nelle sue mani e con il suo soffio tutto vive per sempre. “Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono dovunque noi siamo”, mi ha scritto Giulia, una cara amica, e questa certezza voglio consegnare a te in questo momento cruciale ma pieno di speranza mentre con un sospiro profondo scrivo un ultimo a-Dio Annamaria.☺

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