Anzitutto la terra
3 Febbraio 2015 Share

Anzitutto la terra

Le immagini di Netanyahu alla marcia di Parigi dimostrano come si sia lontani da una soluzione della questione israelo-palestinese. Ma una opinione pubblica consapevole può essere decisiva per la fine di un conflitto. Con questa speranza mi accingo a continuare il racconto sul coinvolgimento delle donne palestinesi in guerra.

La naksa del ’67 e il potenziamento della resistenza: le donne iniziano a vedere la prigione come una forma di resistenza. Donne di tutte le età vengono imprigionate con l’accusa di: partecipare a organizzazioni illegali (in realtà il più delle volte si tratta di associazioni studentesche o unioni delle donne); essere membri di Al Fatah o del FPLP; nascondere l’attività dei parenti; spostarsi senza permesso; partecipare a operazioni militari; dare cibo ai combattenti; nascondere armi; partecipare alle manifestazioni; esibire la bandiera palestinese o indossare i colori della bandiera; cantare inni palestinesi.

Prende piede anche la detenzione amministrativa. Il processo è concesso raramente e, quando c’è, esso è in ebraico, non sono presenti traduttori e alla fine le donne palestinesi sono costrette a firmare documenti in ebraico. Nelle prigioni le donne sono sottoposte alle più atroci torture da parte dei soldati israeliani. L’ideale della madre palestinese viene intaccato in ogni modo: in una testimonianza si può leggere come i soldati costringono la donna sotto tortura ad avere un rapporto sessuale con il padre!

Gli anni ’70 e ’80 rappresentano una svolta per l’attività delle donne: si diffonde la coscienza delle disuguaglianze di genere, nonostante la causa femminista continui a rivestire un ruolo di secondo piano rispetto alla lotta di liberazione; le donne partecipano alla guerriglia in Giordania e in Libano, alla formazione dei comitati affiliati ai quattro maggiori partiti, alla prima Intifada. In seno al FDLP si afferma la coscienza femminista nonviolenta. È proprio l’avvicinamento di numerose donne al partito a dare vita, nel ’78, alla Federazione Palestinese per i Comitati d’Azione delle Donne. L’agenda femminista della Federazione Palestinese incoraggia le donne all’indipendenza e all’autosufficienza e attribuisce loro caratteristiche di leadership, chiede un adeguato livello di istruzione per tutte le donne e incoraggia la produzione e la vendita di cibi e prodotti tradizionali che possano comportare un ricavo per le donne. Le femministe riflettono sulla subordinazione delle donne e sulla differenza tra lavoro pagato e non pagato soprattutto in ambito domestico e si schierano contro la proletarizzazione degli uomini che ha reso le donne “schiave del lavoro domestico”. La Federazione crede che liberazione nazionale e liberazione delle donne viaggino di pari passo.

Il periodo libanese corrispondente al trasferimento dell’Olp in Libano vede cambiare il motto che identifica la partecipazione delle donne in guerra: da “honour before land” a “land before honour”. Le fasi di crisi del periodo libanese sono rappresentate dalla guerra civile del ’75-’76 e dall’assedio del campo di Tel al Zater, dalle invasioni israeliane del ’78 e dell’82 e dal massacro di Sabra e Shatila. In questi momenti di crisi predomina il desiderio delle donne di combattere rispetto ad altre cause: donne analfabete e istruite (come quelle appartenenti alla Brigata degli Studenti) combattono fianco a fianco.

Le donne che hanno accesso all’istruzione superiore in Libano ricevono vere e proprie lezioni di guerriglia. Donne come Dalal Mughrabi che combatte nel ’76 contro l’esercito siriano entrato in Libano a sostegno delle milizie falangiste e che nel ’78 partecipa a un raid contro un bus israeliano e Amneh, prigioniera degli israeliani per 10 anni, sottoposta a torture e stupri, diventano eroine per il popolo palestinese ed esempi per altre donne. L’ampia partecipazione militare delle donne infonde ottimismo nei palestinesi: se le donne sono preparate psicologicamente e fisicamente a sopportare gli attacchi, questo vuol dire che i palestinesi non possono essere espulsi dai territori libanesi. Inoltre presentare al mondo donne armate dimostra come l’atrocità della guerra abbia cambiato anche gli aspetti più conservatori della società palestinese facendo entrare direttamente in guerra anche gli esseri più protetti della società palestinese. L’immagine di una madre incinta combattente evidenzia la severità del peso palestinese, la pervasività della lotta nazionale nella vita quotidiana e il coinvolgimento di tutta la popolazione.

L’invasione israeliana del Libano dell’’82 ed il massacro di Sabra e Shatila rappresentano il picco della violenza israeliana: tutti i beni palestinesi vengono sottratti, il materiale che può permettere la ricostruzione della storia palestinese viene distrutto così come le case, donne e bambini sono target specifici di stupri.

Le donne arretrano: pensano a salvaguardare gli uomini dalla prigione e le donne e i bambini dagli stupri. Un ritorno delle donne sulla scena militare si avrà solo durante la Prima Intifada.☺

 

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