azzardi linguistici
2 Luglio 2012 Share

azzardi linguistici

 

Ha fatto la sua comparsa nel linguaggio contemporaneo una espressione composita, e non poco pretenziosa, costituita da una parola inglese affiancata da un’altra italiana: desk di ascolto.

La nostra lingua sembra ormai adusa non solo ad accogliere vocaboli stranieri, ma anche a combinarli in locuzioni sempre originali. Virtuosismi linguistici degni di nota, secondo alcuni, scelte infelici, per altri, quando contribuiscono poco all’intelligibilità del significato che si vuole veicolare, quantomeno non in entrambe le lingue adoperate. Prendiamo ad esempio “Luna park” – espressione inesistente nella lingua inglese – molto suggestiva, forse un po’ desueta: nonostante il suo fascino, che senz’altro può rievocare fiabe e ricordi d’infanzia, essa è del tutto priva di valore semantico: provate ad invitare un inglese al “Luna park” e verificate se vi ha compreso!

Ed “azzardi linguistici” continuano a costellare il nostro idioma.

Desk, la parte anglofona dell’ espressione su cui voglio riflettere, è un vocabolo molto conosciuto perché è uno di quelli appartenenti al campo semantico della scuola: il termine traduce infatti “cattedra” o “banco”, ed è uno dei più utilizzati nella conversazione scolastica quotidiana. Inoltre tutti coloro che adoperano un computer hanno acquistato familiarità con un composto del vocabolo desk, con cui si indica la schermata che compare all’avvio del computer, il desktop, che praticamente  ha la funzione di una scrivania – ovviamente la parte superiore (top) di essa.

Di derivazione latina, dal vocabolo discus che traduce “piatto”, il termine è poi diventato in italiano desco, sinonimo di “mensa, tavola”, conservando in inglese soltanto il significato di piano di appoggio. Ma la parola desk è utilizzata nel mondo anglosassone anche per definire il reparto di un’azienda oppure un ufficio particolare, più propriamente uno sportello, cui accedere per informazioni o richieste. Ed è proprio in quest’ultima accezione che il termine è stato inserito nella recente locuzione italiana.

Di fronte alla ormai notoria crisi economica, che investe tutti i settori produttivi, da qualche mese l'Agenzia delle Entrate sta allestendo in tutte le sedi dei desk di ascolto, vale a dire uffici che riserverebbero alle situazioni più difficili maggiore attenzione, riservatezza e tempi di consultazione più lunghi, con funzionari che forniranno assistenza e consulenza personalizzata. È innegabile che, come la cronaca ci ha ormai abituati con casi anche drammatici, chi è in grandi difficoltà economiche non disponga neppure delle risorse necessarie per pagare il commercialista o l'avvocato la cui assistenza viene a mancare improvvisamente e nel momento di maggiore crisi. Una bella sfida, quindi: un ufficio specifico cui rivolgersi… per farsi ascoltare!

Una delle azioni più complicate nei rapporti umani è senza dubbio quella dell’ascolto. Un’arte alla quale non tutti dedichiamo la necessaria applicazione. Come suggeriscono gli esperti di comunicazione, le parole che ascoltiamo, prima di raggiungere la nostra mente, compiono un percorso lungo e tortuoso. Il messaggio da emittente a ricevente passa obbligatoriamente attraverso numerosi filtri: dapprima quello del linguaggio che chi sta parlando adopera per rappresentare ciò che gli sta a cuore; da parte di chi ascolta, poi, spesso si recepisce soltanto una parte di ciò che si è ascoltato, se ne ricorda un’altra porzione, si assimila e si utilizza a proprio fine solo ciò che può interessare. Di ciò che è stato detto non resta che una piccolissima parte, magari anche con qualche deformazione!

Barriere culturali, pregiudizi, pa- ure condizionano l’atto di ascoltare, e si affiancano sempre più spesso alla mancanza di disponibilità e di tempo, alla convinzione illusoria di rincorrere giornate sempre in attività e in movimento. Quando ci poniamo in ascolto dovremmo essere preparati a queste difficoltà e tentare di ridurle al minimo.

Ciò che dimentichiamo, o forse volutamente ignoriamo, è che ascoltare vuol dire spostare il centro di attenzione che non è più rappresentato da noi stessi bensì dall’altro che, parlando, ci “costringe” ad ascoltare.

Il primo sevizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo, scriveva Dietrich Bonhoeffer. Ben vengano allora i desk di ascolto, e non solo all’Agenzia delle Entrate!☺

dario.carlone@tiscali.it

 

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