Azzurro approdo
Tornai con gli occhi a carezzare il mare,
la mia Terra e lì rimasi, farfalla,
tra scogli e cielo sospeso cent’anni,
forse mille nell’istante d’abbandono.
Tornai, così, fanciullo a eterno latte,
alle meraviglie d’innocenza
ai giochi assaporati sulla spiaggia
le conchiglie, dono di Nettuno,
i bianchi gigli sulle aspre dune
la casamatta del primo nascondino.
Come Ulisse alla sua petrosa Itaca
sostai implume nell’incanto di natura.
Sospeso pasteggiai al desco di Minerva
tra ulivi e sole, pampini e ginestre
posando l’elmo ai beneamati sassi,
atteso figlio andato, mai perduto.
Sorrise il pescatore, d’un sorriso lieve
notando il rossore di me bambino,
il rigo trasparente sulle gote,
col palmo al petto salutò il mio sguardo,
e l’altro al remo, all’usurato scalmo,
prendeva il largo nella calma d’onde.
Altre vele, intorno, d’arcobaleno
a benedir l’approdo all’orizzonte.
Sognai, chino alla terra, Dio pregando
un mondo sereno, d’azzurro pieno,
universo di pace, senza guerra.