Termoli – Bocciati i referendum: la favola del “principe” Sbrocca e della democrazia partecipata
23 Settembre 2016
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Termoli – Bocciati i referendum: la favola del “principe” Sbrocca e della democrazia partecipata

Una Termoli da favola

C’era una volta una città piccola piccola, sonnacchiosa e tranquilla: molto antica, certo cambiata con il passare degli anni, ma con un volto ancora familiare a chi la viveva.

C’erano un grappolo di viuzze strette, un castello massiccio che non intimidiva nessuno, come un vecchio albero centenario messo a guardia del bosco retrostante, un a chiesa di pietra bianca bella come un dipinto antico e un porto pieno di pescherecci. E poco distante c’era poi la città “nuova”, con le sue strade a reticolo squadrato, fiancheggiate da oleandri.

La vita vi scorreva senza troppi scossoni, governata da principi che si succedevano senza lasciare grandi tracce: non accendevano la scintilla per far diventare la piccola città più famosa e importante, ma nemmeno appiccavano l’incendio che ne snaturasse l’essenza.

L’avvento del “principe” Sbrocca

Un brutto giorno, però, da non si sa dove arrivò un nuovo principe, che pronunciò la parola magica, “riqualificazione”; cosa significasse nessuno lo sapeva, ma suonava tanto moderna, e del resto l’Imperatore del paese dove si trovava la piccola città aveva mandato messi a cavallo per intimare ai suoi vassalli di  ”cambiare tutto e rottamare il vecchio”.

Così il principe andò nella sala del trono e insieme ai 4 maghi che lo sostenevano decise di sventrare la piccola città e venderne una parte, in nome del “nuovo millennio”.

Gli abitanti della piccola città, anche se abituati a vedere i principi andare e venire senza neanche più fare molta attenzione, cominciarono a chiedersi quali benefici questa magica “riqualificazione” avrebbe portato loro; e pur avvezzi a non scomporsi più di tanto, si arrabbiarono molto quando scoprirono che i benefici della magia andavano tutti in una sola direzione. E non era la loro.

Si resero conto anche che la piccola città avrebbe cambiato faccia per sempre; la loro pacifica esistenza sarebbe stata stravolta per anni, e solo per un pugno di monete d’oro.

I “cavalieri” del Referendum

Così molti si riunirono, studiarono carte e pergamene ufficiali, trovando tante irregolarità che misero per iscritto, appellandosi al Tribunale del Regno e a tutti i grandi dignitari coinvolti. Prepararono una pergamena con tremila firme per chiedere che tutti i cittadini fossero chiamati a dire la loro sulla “riqualificazione”: quella magia era magia nera, e loro non la volevano.

Figuratevi il principe e i 4 maghi: non furono per niente contenti. Ma cosa si erano messi in mente quei quattro straccioni di sudditi, di contare qualcosa? Credevano davvero che bastasse riempirsi la bocca con quella stupida paroletta neanche più di moda, la democrazia? Ah, i bei tempi andati, quando bastava tagliare qualche testa per ridurre tutti al silenzio! Ora bisognava anche far finta di ascoltarli, i villani.

Quindi il principe convocò i suoi 15 scudieri maggiori, che collaboravano con lui nell’amministrazione “illuminata”, e fece nominare un Gran Consiglio di Tecnici Esperti, il quale si affrettò a dire che la domanda su cui far votare gli abitanti era inammissibile.

Gli abitanti ribelli, però, non si fermarono: fu tutto un susseguirsi di riunioni, incontri pubblici, consultazioni di esperti di legge, distribuzioni di pergamene informative. E infine, con l’aiuto degli scudieri minori, quelli che nella sala del Trono sedevano dalla parte sbagliata perché avevano contrastato l’arrivo in città del Principe, fecero convocare la Gran Tavola Rotonda dei Rappresentanti del Popolo, dove i 24 scudieri tutti insieme potevano dire l’ultima parola sulla possibilità di far votare gli abitanti.

Il “gran consiglio” comunale

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Quando il gran giorno arrivò, il popolo invase la sala e c’erano tanti visi giovani, venuti a capire come funzionasse davvero il governo del paese.

E lo capirono, ahimé: quando videro tante guardie nei corridoi del Palazzo, e non volevano nemmeno farli entrare. Lo capirono quando sentirono urla, quando la seduta fu sospesa, quando si cercò di impedire agli abitanti perfino di ridere, perché il dissenso non fosse manifestato in alcun modo.

Ma soprattutto lo capirono quando i 15 scudieri maggiori, obbedienti, alzarono la mano per dire che no, non era il caso di dare la parola al popolo, tanto la domanda che si voleva rivolgere al popolo era inammissibile: l’avevano detto i quattro Esperti, e i quattro esperti erano uomini d’onore.

Così la favola bella della democrazia partecipata divenne una storia triste… ma come tutte le favole aveva insegnato qualcosa. Perché le favole ce le ricordiamo tutti, anche quando diventiamo vecchi; e un giorno, quando meno i principi arroganti se lo aspettano, diventeranno realtà.

I “cavalieri” indignati

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