Caino dov’è abele tuo fratello
15 Aprile 2019
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Caino dov’è abele tuo fratello

Avevo fame e mi avete comprata.

Avevo sete e mi avete venduta.

Ero nuda e mi avete stuprata.

Ero straniera e mi avete massacrata.

Ero malato e mi avete fatto morire.

Ero carcerato e mi avete giudicato.

Liberarsi dal “complesso di Caino” è difficile. Perché accada occorre una massiccia dose di esorcismo per immunizzarsi contro di esso. È necessario assumere anticorpi per evitare ulteriori e gravi contagi. Il “complesso di Caino” è una brutta e grave malattia che ha delle variazioni sul tema: fratricidio, indifferenza, menefreghismo, disfattismo, disimpegno, scarsa attenzione all’altro, miopia relazionale. Tutte queste derivazioni o ramificazioni sono cugine del ceppo principale.

Anche san Giovanni Paolo II mise il mondo in guardia da questi atteggiamenti e lo fece in un luogo particolare. Quando andò in visita in Africa, precisamente in Angola, nel porto da cui partivano le flottiglie di esseri umani alla volta dell’America, venduti come schiavi, ebbe a dire: “Da questo santuario africano del dolore nero imploriamo il perdono del cielo”. Nella “Casa degli schiavi” dell’isola di Gorée, di fronte all’Oceano, Giovanni Paolo II ha chiesto perdono a Dio e agli uomini per i cristiani che, nei secoli passati, si sono macchiati del “crimine enorme” della tratta dei negri. “Sono venuto qui per rendere omaggio a tutte queste vittime, vittime senza nome”, disse Wojtyla, in piedi, nella polvere del cortiletto della “Casa degli schiavi”. “È l’ingiustizia, è il dramma, di una società che si diceva e che si dice cristiana”, commentò il papa, “la stessa che, nel nostro secolo, ha ricreato la medesima situazione di schiavi anonimi nei campi di concentramento. La nostra è una civiltà piena di debolezze, piena di peccati”. “Ma la schiavitù non è finita”, ha gridato ancora il pontefice. Anche oggi si sfrutta l’Africa, si sfrutta il mondo dei poveri. Ci sono nuove forme di schiavitù, come “la prostituzione organizzata, che sfrutta vergognosamente la povertà delle popolazioni del Terzo Mondo”. Per certi versi è rimasta una preghiera inascoltata e un invito inevaso. In altre circostanze, sempre san Giovanni Paolo II ebbe a dire che lasciare qualcuno nell’ indigenza, non prendersi cura delle ferite e delle necessità significa vivere “un’ indifferenza fratricida”.

Ogni volta che un uomo soffre accanto ad un altro uomo, ogni volta che qualcuno è umiliato con la complicità di un simile, ogni volta che i diritti di taluni sono rispettati e di altri ignorati, ogni volta che qualcuno prende una medicina e c’è chi non può, ogni volta che esiste chi si veste sontuosamente e chi non ha stracci da mettersi addosso, ogni volta che c’è chi si riempie lo stomaco e chi muore perché lo ha vuoto, ogni volta che esiste chi riceve carezze ed altri schiaffi. Ogni volta che qualcuno può leggere e qualche altro deve chiedere spiegazioni: in tutti questi casi, ed altri analoghi, si registra il trionfo del “complesso di Caino” e la sinfonia del distillato egoismo. Vuol dire che ci siamo dimenticati, abbiamo ignorato, non ci siamo mossi a compassione, abbiamo lasciato nell’indigenza e nell’abbandono i meno abbienti di salute, indipendenza, cultura, affetto, patria, risorse ecc.

Allora come eco dall’antico mondo biblico della Parola di Dio deve giungere, fino a romperci gli orecchi, quel grido di Dio: “Caino dov’è Abele tuo fratello?”. Non possiamo nasconderci dietro il disfattismo, o il mal celato perbenismo, o, peggio, scrollandoci di dosso ogni responsabilità adducendo la scusa poco giustificativa e molto indiziale nel rispondere: “Sono mica il custode di mio fratello?”.

Come il grembo materno, custodendo le vite che lo hanno abitato, ha reso i suoi temporanei residenti fratelli, così la storia umana, la geografia mondiale, grembi dell’umanità, hanno reso fratelli coloro che li abitano, ugualmente, in modo temporaneo e passeggero. Fratello, dalla lingua greca, adelfòs significa provenire dallo stesso utero. La storia umana, la geografia mondiale ci fanno provenire dagli stessi ambienti e dalla stessa finitudine. Lo spazio e il tempo. Se da una parte ci limitano dall’altra ci uniscono. Abbiamo lo stesso abito: quello dell’umanità debole e fragile. Ma lo stilista di questo meraviglioso abito è Dio stesso. Tanto è vero che pure lui lo ha indossato, nascendo uomo tra gli uomini. E di essi si è interessato, anzi per essi si è immolato, salvandoli. Figlio tra i figli, fratello tra fratelli. La sua nascita aveva un fine, un punto di interesse: l’uomo nella sua debolezza e nella sua fragilità.

La preghiera del Padre nostro, che Gesù ha insegnato a chi gli chiedeva di imparare a pregare, ci consegna una verità elementare: ciò di cui necessito io lo devo volere anche per gli altri. È una preghiera al plurale. Chi si presenta al Signore e, in se stesso e con se stesso, non presenta il mondo intero, tutti i propri fratelli, è inutilmente un bambino capriccioso, superbamente pretenzioso e insaziabile egoista.

“Caino, dov’è Abele tuo fratello?” deve diventare una domanda persecutoria, quasi vessatoria, per scuoterci dai nostri indolenzimenti, dalle nostre paralisi e, soprattutto, dalla nostra accomodante e soporifera indifferenza. Alla domanda scomoda ed imbarazzante: “dov’è tuo fratello affamato, assetato, malato, forestiero, carcerato, nudo?” non possiamo rispondere: “Ci pensano la Caritas, le istituzioni, le politiche sociali, le strutture preposte, gli ospedali, i ricoveri”. Se così ci pronunciassimo vorrebbe dire che li abbiamo sfrattati dal nostro cuore, quanto mai li avessimo accolti, oppure dichiariamo che sono cittadini indesiderati e indesiderabili. Occorre fare ecologia umana, spirituale, relazionale. Fare del bene bonifica se stessi e benefica gli altri. Piccola, flebile scintilla. Ma i grandi incendi nascono sempre e tutti da piccole, apparentemente fragili e inutili scintille. Avevo fame e mi avete comprata. Avevo sete e mi avete stuprata. Ero nudo e mi avete venduta. Ero straniero e mi avete massacrato☺

 

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