Kαì συ, τέκνον, mi vien voglia di dirti con stupore ma lascerò questa battuta a qualcun altro che la pronuncerà con stupore aggiunto a dolore fra un migliaio e più di anni.
Vedo con piacere che durante la mia assenza sei andato a scuola invece di bighellonare per i locali di Itaca. Hai però preferito, ahimè, frequentare la scuola di Protosofisti specializzandoti in Eristica. Vuol dire che ti servirà per un’eventuale carriera politica. Non ti nascondo che ho avuto bisogno di leggere più volte il tuo intervento ma solo per mia mancanza, forse dopo venti anni fra Beoti e Focesi, Locresi e Abanti, Calcidiensi, Lestrigoni e Lotofagi, non sono più abituato alla lingua madre.
Mi par dunque di aver capito che mi fai una colpa per aver criticato la reazione dell’ex amico. Devo ammettere che leggendo il tuo scritto, così finemente elaborato, mi sono meravigliato di me. “Caspita” ho pensato, “io avrei detto e fatto tutto ciò?”. Mi è sembrato di assistere ad una critica di un’opera d’arte in cui l’esperto vede tante cose che probabilmente l’autore non aveva nemmeno avuto in mente. E meno male che avevi “analizzato superficialmente la vicenda”! Comunque, caro figlio, hai dato per scontato che io non abbia cercato di rassicurare lo sfortunato passante dell’innocuità del quadrupede, cosa che invece è avvenuta, e lui mi rispose in modo volgare “eh, si, non morde il c….”. E hai dato per scontato che tutta la scena sia avvenuta senza soluzione di continuità. Invece ci sono stati due momenti: quello dell’abbaio e quello della sentenza. Difatti “l’impaurito” venne successivamente da me, mi chiamò attraverso il suono del clacson ed io, convinto che volesse scusarsi per la volgarità, mi avvicinai per sentirmi dire : “So che ci tieni come ad un figlio ma io te lo uccido lo stesso”.
In quel biglietto al giornale volevo mostrare la sproporzione di una reazione. Non sono stato io a declassare un’amicizia. Volevo suggerire di non buttare via un’amicizia per futili motivi e di riflettere prima di parlare. Volevo invitare le persone che frequentano la Casa del Signore ad essere più osservanti delle sue dirette raccomandazioni, i Comandamenti. Volevo raccomandare più disponibilità ed amore per gli animali. Invece come è finita? Il crudele sono io. Se prima avevo pensato che non era un paese per cani ora penso che non lo sia nemmeno per i proprietari di cani (detto in itacense non si rispetta né il cane né il padrone).
Ulisse, paternamente
Caro figlio ti scrivo.
Kαì συ, τέκνον, mi vien voglia di dirti con stupore ma lascerò questa battuta a qualcun altro che la pronuncerà con stupore aggiunto a dolore fra un migliaio e più di anni.
Vedo con piacere che durante la mia assenza sei andato a scuola invece di bighellonare per i locali di Itaca. Hai però preferito, ahimè, frequentare la scuola di Protosofisti specializzandoti in Eristica. Vuol dire che ti servirà per un’eventuale carriera politica. Non ti nascondo che ho avuto bisogno di leggere più volte il tuo intervento ma solo per mia mancanza, forse dopo venti anni fra Beoti e Focesi, Locresi e Abanti, Calcidiensi, Lestrigoni e Lotofagi, non sono più abituato alla lingua madre.
Mi par dunque di aver capito che mi fai una colpa per aver criticato la reazione dell’ex amico. Devo ammettere che leggendo il tuo scritto, così finemente elaborato, mi sono meravigliato di me. “Caspita” ho pensato, “io avrei detto e fatto tutto ciò?”. Mi è sembrato di assistere ad una critica di un’opera d’arte in cui l’esperto vede tante cose che probabilmente l’autore non aveva nemmeno avuto in mente. E meno male che avevi “analizzato superficialmente la vicenda”! Comunque, caro figlio, hai dato per scontato che io non abbia cercato di rassicurare lo sfortunato passante dell’innocuità del quadrupede, cosa che invece è avvenuta, e lui mi rispose in modo volgare “eh, si, non morde il c….”. E hai dato per scontato che tutta la scena sia avvenuta senza soluzione di continuità. Invece ci sono stati due momenti: quello dell’abbaio e quello della sentenza. Difatti “l’impaurito” venne successivamente da me, mi chiamò attraverso il suono del clacson ed io, convinto che volesse scusarsi per la volgarità, mi avvicinai per sentirmi dire : “So che ci tieni come ad un figlio ma io te lo uccido lo stesso”.
In quel biglietto al giornale volevo mostrare la sproporzione di una reazione. Non sono stato io a declassare un’amicizia. Volevo suggerire di non buttare via un’amicizia per futili motivi e di riflettere prima di parlare. Volevo invitare le persone che frequentano la Casa del Signore ad essere più osservanti delle sue dirette raccomandazioni, i Comandamenti. Volevo raccomandare più disponibilità ed amore per gli animali. Invece come è finita? Il crudele sono io. Se prima avevo pensato che non era un paese per cani ora penso che non lo sia nemmeno per i proprietari di cani (detto in itacense non si rispetta né il cane né il padrone).
Kαì συ, τέκνον, mi vien voglia di dirti con stupore ma lascerò questa battuta a qualcun altro che la pronuncerà con stupore aggiunto a dolore fra un migliaio e più di anni.
Vedo con piacere che durante la mia assenza sei andato a scuola invece di bighellonare per i locali di Itaca. Hai però preferito, ahimè, frequentare la scuola di Protosofisti specializzandoti in Eristica. Vuol dire che ti servirà per un’eventuale carriera politica. Non ti nascondo che ho avuto bisogno di leggere più volte il tuo intervento ma solo per mia mancanza, forse dopo venti anni fra Beoti e Focesi, Locresi e Abanti, Calcidiensi, Lestrigoni e Lotofagi, non sono più abituato alla lingua madre.
Mi par dunque di aver capito che mi fai una colpa per aver criticato la reazione dell’ex amico. Devo ammettere che leggendo il tuo scritto, così finemente elaborato, mi sono meravigliato di me. “Caspita” ho pensato, “io avrei detto e fatto tutto ciò?”. Mi è sembrato di assistere ad una critica di un’opera d’arte in cui l’esperto vede tante cose che probabilmente l’autore non aveva nemmeno avuto in mente. E meno male che avevi “analizzato superficialmente la vicenda”! Comunque, caro figlio, hai dato per scontato che io non abbia cercato di rassicurare lo sfortunato passante dell’innocuità del quadrupede, cosa che invece è avvenuta, e lui mi rispose in modo volgare “eh, si, non morde il c….”. E hai dato per scontato che tutta la scena sia avvenuta senza soluzione di continuità. Invece ci sono stati due momenti: quello dell’abbaio e quello della sentenza. Difatti “l’impaurito” venne successivamente da me, mi chiamò attraverso il suono del clacson ed io, convinto che volesse scusarsi per la volgarità, mi avvicinai per sentirmi dire : “So che ci tieni come ad un figlio ma io te lo uccido lo stesso”.
In quel biglietto al giornale volevo mostrare la sproporzione di una reazione. Non sono stato io a declassare un’amicizia. Volevo suggerire di non buttare via un’amicizia per futili motivi e di riflettere prima di parlare. Volevo invitare le persone che frequentano la Casa del Signore ad essere più osservanti delle sue dirette raccomandazioni, i Comandamenti. Volevo raccomandare più disponibilità ed amore per gli animali. Invece come è finita? Il crudele sono io. Se prima avevo pensato che non era un paese per cani ora penso che non lo sia nemmeno per i proprietari di cani (detto in itacense non si rispetta né il cane né il padrone).
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