capaci di futuro
30 Aprile 2011 Share

capaci di futuro

 

Siamo ancora capaci di futuro? In un frangente così triste e squallido tre tentazioni sono da rifuggire: anzitutto quella di rimpiangere i tempi andati come migliori, perché non è da persone intelligenti, direbbe quel simpaticamente pessimista di Qoelet (7,10); altrettanto inopportuno è estraniarsi dalla storia col pretesto che tanto i furbi e i prepotenti hanno la meglio; peggio ancora la rassegnazione, con la scusa che in fondo noi siamo così insignificanti da non poter cambiare giammai il corso degli eventi.

Siamo realisti, vogliamo l’utopia (da eu-topos cioè dolce luogo) e dunque ci indigniamo, proponiamo, lottiamo, ma anzitutto non restiamo alla finestra a guardare. La strada della libertà è irta e faticosa, spesso tortuosa, piena di pericoli e depistaggi, non impossibile però. In ogni caso nessuno può tracciarla e percorrerla al posto nostro, pena il rimanerne tagliati fuori.

Siamo schifati dalle porcate proposte a getto continuo dal governo e ratificate da un parlamento, tutt’altro che onorevole, nella maggioranza nutrito da Berlusconi e dunque succube, con ministri e sottosegretari emuli del presidente del consiglio che sparano cazzate tali da farci supporre che sia la guttura inferior, per dirla con Plauto, commediografo dell’antica Roma, a produrre quel fiato puzzolente e nauseabondo con cui infestano l’aria che respiriamo. Nello stesso tempo il grido di libertà che arriva dai popoli dell’altro versante del Mediterraneo ci fa ben sperare. Nessuno potrà soffocarlo, perché quando le persone prendono coscienza, il potere vacilla e presto crolla. Siamo accanto a loro, pieni di ammirazione e con un debito di riconoscenza, perché da loro prendiamo nuovo vigore per lottare e abbattere la nostra dittatura mediatica, non meno micidiale di quella dispotica che ha tenuto loro soggiogati per decenni.

Non saranno le armi e la violenza a cambiare la storia né tantomeno potremo lavarci la coscienza, per i danni causati dalla nostra insaziabile avidità, con le guerre umanitarie che intraprendiamo, perché di umanitario non hanno assolutamente nulla. Uccidono con la stessa turpe e cieca violenza e non c’è ONU o Nato che possa moralmente legittimarle o renderle necessarie. La strada possibile è una sola: la solidarietà. Nei giorni scorsi mi è capitato tra le mani Dialogo sulla solidarietà, un agile volumetto a firma di Massimo Cacciari e Carlo Maria Martini (ed. Esperienze) da cui attingo volentieri. L’assenza di una politica di solidarietà reale, internazionale e urbana, non può che generare conflitti perché è assodato che politiche egoistiche dettate dal ciclo di produzione-consumo generano alla lunga instabilità e ingovernabilità. “Io devo assumere dentro di me il volto dell’altro che soffre”. L’altro mi riguarda. “In me c’è una società di individui che hanno bisogno l’uno dell’altro, che si dividono l’uno con l’altro, fanno la guerra l’uno con l’altro. Io non posso ignorare l’altro perché io ‘sono’ l’altro, perché io mi sono straniero”. La solidarietà non è commozione sentimentale, va sottratta alla dimensione utilitaristica. “L’idiota (in greco il privatismo si dice idiozia) è tale, perché alla fine non conosce realmente il proprio interesse. L’idiota oggi, nella sua totale mancanza di riconoscimento dell’altro e dei valori della solidarietà, minaccia di distruggere se stesso e di portare alla catastrofe tutto il suo mondo. Che naturalmente è anche il nostro”.

Sugli immigrati dobbiamo fugare i molti pregiudizi alimentati da luoghi comuni perciò ci torniamo spesso, per fare controinformazione e per creare un clima di accoglienza, visto che ora ospitiamo a Campochiaro un centro di immigrati che presto saranno liberi di rimanere o andare altrove. Ci siamo rivolti come associazione Primomarzo anche ai sindaci molisani perché adottino politiche tali da inglobarli nei nostri centri sempre più spopolati. Sono una risorsa, non un problema. Un solo dato che dovrebbe farci riflettere seriamente e viene dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: entro il 2020 l’Italia, per necessità, dovrà aver assorbito un milione e 800 mila lavoratori stranieri in più.

La nostra voglia di abitare il futuro ci porta a lottare per un presente a misura d’uomo. Due sono le armi nelle nostre mani: lo sciopero e il voto. Siamo in strada accanto ai precari e a tutti quelli che lottano per un posto di lavoro dignitoso come insieme a quelli che vogliono un ambiente accogliente non deturpato dal nucleare o dall’eolico selvaggio; vicini a quelli che rivendicano i diritti negati, come con quelli che protestano perché la giustizia torni ad essere uguale per tutti; perché l’Italia non sia affossata dall’imbecillità egoistica della lega e per impedire che la Costituzione venga stravolta. E poi il voto. Siamo prossimi al rinnovo del consiglio provinciale di Campobasso e purtroppo i nostri politicanti non si sono accorti che il vento sta cambiando. Partecipiamo senza entusiasmo perché i loro giochetti ci interessano poco, ma vigileremo per denunciare ogni stortura. A cuore ci stanno soprattutto i referendum che il governo ha deciso di rimandare al 12 giugno anziché farli svolgere con le amministrative, nell’illusione che non si raggiunga il quorum. È importante andare a votare e sommergerli con i nostri quattro sì abrogativi in modo che l’acqua torni pubblica, le centrali nucleari non si costruiscano e si elimini il legittimo impedimento per il presidente del consiglio e i ministri. ☺

 

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