care zie di bonefro   di Leonardo
29 Settembre 2012 Share

care zie di bonefro di Leonardo

 

Scusate se vi chiamo così come fanno i bambini, sono Leonardo di San Severo.

Mia madre mi racconta che alla mia nascita volevo già scoprire il mondo, tanto che non riuscì ad arrivare in ospedale per il parto. Ho trascorso un’infanzia tranquilla; quattro figli, papà che lavorava, mamma in casa con nonna. A otto anni già andavo in campagna per la raccolta dei pomodori, insieme ai miei fratelli. Finita la scuola media dissi a mamma che volevo lavorare perché non avevo la testa per studiare e speravo così di portare i soldi a casa. Ero un ragazzo, avevo voglia di fare esperienze; non potevo stare recluso, come voleva mio padre, che mi definiva “la pecora nera” della famiglia, e giù botte e castighi per raddrizzarmi. Ma io volavo.

E infatti da militare feci il paracadutista. Lì ho conosciuto la vita, l’emancipazione. Mi sono appassionato ai figli dei fiori, alla lotta degli studenti. Mi feci un tatuaggio e il mio primo spinello. È stato uno sbaglio perché, tornando a casa, mio padre mi vide e mi disse: “Tu non sei più mio figlio, vattene!”. Io pensavo che me lo dicesse per rabbia e invece non si è mai più calmato. Mi cacciò di casa e iniziò il mio calvario. Decisi di andare via dal mio paese. Credevo che la lontananza mi riavvicinasse; con la famiglia sì ma con lui ormai era guerra. Quando vidi che non si poteva far nulla iniziò la mia depressione, il cuore si spaccò in due, lasciai metà a mamma e metà a me. Dopo quindici anni cercai di ritornare come il figliol prodigo ma lui non ha mai ammazzato il vitello grasso. La depressione mi sconvolse e l’unica medicina che calmava il mio pianto era lo spinello purtroppo!

L’euro fece aumentare il costo della vita e così tornai di nuovo a casa, ma mio padre non ne volle sapere. Presi una casa in affitto ma certe amicizie mi fecero finire nei guai con la legge. Grazie a mia madre rientrai a casa con i domiciliari ma poi a causa di un litigio con mio fratello trascorsi la vigilia di Natale da solo. Mi convinsi che mio padre non mi voleva e capii che lo sbaglio era essere nato. C’erano situazioni intorno peggiori delle mie ma lui non mi riaccolse perché mi diceva che avevo disonorato il nome.

È un anno che sto in strada, l’unica forza che ho per andare avanti è che quando mi creo delle amicizie mi apprezzano. Loro vedono che io cerco di aiutare un po’ tutti almeno moralmente e mi chiamano zio Leo. Io non sono mai stato un santo: all’inizio ho pensato all’autodistruzione, volevo farla finita ma non è la mia natura. Il distruggermi mi ha portato in carcere e lì mi sono inventato la teoria del bambino appena nato: all’inizio piange sempre come mi capita, ma poi tutt’a un tratto si mette a ridere ed è quello che voglio iniziare a fare io. In carcere mi sono messo di fronte alle mie paure più brutte ma lì ho trovato degli uomini che mi hanno fatto da padre insegnandomi la teoria del carcerato: quando stai male, ma veramente male, guarda chi soffre e aiutalo perché il dolore che tu togli a lui è lo stesso che togli a te.

 L’avventura durò venti giorni e tutto ad un tratto mi sono ritrovato a Bonefro; pensavo di andare in una comunità di recupero e invece mi ritrovo in una casetta da solo, nel villaggio dei terremotati, senza nemmeno la radio e la televisione. Comunque devo ringraziare Giuliana l’avvocato e Francesca di Pax Christi. Il giorno dopo viene don Antonio e mi dice: “Qua non devi fare niente, devi solo respirare il profumo della libertà e guardarti i tramonti”. Mi sono detto: “Sempre solo sono!” e Dio mi ha mandato il migliore amico dell’uomo per compagnia, anche se per voi care zie è un po’ fetentone, e con lui ho visto tutti i tramonti. Mi teneva compagnia e veniva a prendersi le carezze. Il secondo giorno ho detto: “Ho poco cibo” e Dio mi manda le migliori mamme che un figlio possa desiderare: ognuno di voi mi porta qualcosa da mangiare. Antonietta, Teresa, Carolina, la signorina Rosetta e tante altre di cui non so neanche il nome, ma che importa saperlo avendo conosciuto la vostra bontà di cuore. Non mi conoscevate, sarebbe stato giusto se dicevate: “Ma quello è un delinquente, restiamo a casa, se la veda il prete!”. Ma in questo posto anche i bambini sanno dare amicizia e bontà: Antonio, la sua sorellina, il padre Carlo, Giuseppe. Voi non mi conoscevate, è vero, ma mi avete accolto. Ero in una stanza al buio e voi mi avete dato una finestra per guardare il sole e fare entrare aria fresca nella mia vita, e una porta per uscire a giocare nel mondo. L’ultima messa che ho fatto con voi è stata la prima volta che ho pianto di felicità.

 Voi mi avete insegnato l’amore per il prossimo, il sorridere ai guai, e non mi conoscevate. Non mi avete chiesto niente, non so cosa darvi in cambio ma vi prometto di cercarmi un lavoro, di formarmi una famiglia e forse avere dei figli. Don Antonio e voi mi avete riaperto una porta che io avevo chiuso da tanto tempo, quella che si affaccia alla vita. Grazie di cuore, care mamme.

Leonardo

 

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