Carla Lonzi
18 Maggio 2019
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Carla Lonzi

Le preziose: con questo titolo apro articoli che parlano di donne di ieri, l’altro ieri, oggi che, come le preziose del settecento hanno agito o vissuto per lasciare il testimone alle altre.

 

“Il femminismo mi si è presentato come lo sbocco tra le alternative simboliche e della condizione femminile, la prostituzione e la clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo. Ritrovare una completezza, un’identità contro una civiltà maschile che l’aveva resa irraggiungibile”.

Quando si laureò con il prestigioso storico d’arte Alberto Longhi, negli anni ’50, che le propose la carriera accademica, Carla Lonzi si rifiutò, dichiarando già da allora una certa indipendenza e rifiuto dell’inquadramento in categorie.

Già da piccola aveva dimostrato un certo carattere: a nove anni aveva espresso il desiderio di andare a studiare da sola, i genitori, conoscendola, ubbidirono anche se la ragazzina ritornerà dopo tre anni per cause familiari. Alunna modello al liceo, studia a Parigi e Roma e poi a Firenze. Il suo amore per l’arte la porta a intervistare una serie di artisti famosi e scriverne (Jannis Kounellis, Giorgio Fontana) e lei ne scrive raccogliendole in un volume, che chiama Autoritratto, e anche qui mostra la sua  intolleranza ai codici. Avrebbe voluto inserire in copertina una foto di santa Teresa de Lisieux che lei amava perché vi si identificava in pieno. L’interiorizzazione della introspettiva, l’amore per la conoscenza profonda del sé la uniscono alla santa e non ci si deve meravigliare, perché nei monasteri avveniva la separatezza e la conoscenza. Quello che Carla cercava. In una foto del 1968 Carla si mostra circondata da un’aureola, quasi nelle vesti di una santa, seppur evidentemente dei giorni nostri: sorridente e felice, sullo sfondo una costruzione luminosa che, appunto, le incorona la testa come una Madonna di un dipinto medievale. Il sorriso, però, non ha niente di quello delle figure ieratiche e distaccate dal mondo delle sante e vergini che la tradizione pittorica ci ha consegnato. È l’espressione di una donna che, come dirà lei qualche anno dopo parlando di se stessa, ha la capacità di dominare gli avvenimenti e costituire la propria storia.

I suoi scritti, Sputiamo su Hegel del 1970 e La donna clitoridea e la donna vaginale del 1971, ci regalano una nuova dimensione, appassionata ed estrema, del suo pensiero. Sono gli anni della contestazione, della ribellione e del rifiuto per quella società che vede la donna ancora sottomessa al modello maschile.

Il Manifesto di Rivolta femminile è redatto nel luglio del 1970 con la collaborazione di Carla Accardi e Elvira Banotti. In questo scritto sono raccolte le frasi più significative che l’idea del femminismo aveva portato al gruppo di Rivolta Femminile. Il bisogno di esprimersi che queste donne sperimentano nei loro primi incontri è accolto, lo dice la Lonzi, come sinonimo stesso di liberazione. Liberarsi, per la Lonzi, non vuole dire accettare la stessa vita dell’uomo ma significa esprimere il proprio senso dell’esistenza. Il Manifesto di Rivolta Femminile diventa proprio il mezzo adatto attraverso cui questo gruppo di donne ha la possibilità portare sulla carta le proprie idee relative al loro ingresso nel femminismo. Ciò che in quest’occasione si cerca di porre in luce è la necessità di fornire voce e sostanza all’identità femminile individuando gli elementi contro cui ci si ribellava. Carla Lonzi afferma infatti come la donna, ponendosi come soggetto, rifiuti il ruolo assoluto e autoritario che è svolto dall’uomo. Ogni valore costituito dalla società è stato sfruttato a discapito della donna la quale non ha la libertà di decidere ma viene inglobata dentro i vincoli sociali. Il matrimonio, come anche la regolamentazione della vita sessuale, sono necessità del potere che non lascia libertà di decisione. Questa situazione di imparità era anche appoggiata, agli occhi della Lonzi, dalle teorie elaborate dai grandi sistematici del pensiero. Essi avevano mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo legato alla sfera privata. Infatti, discipline tanto diverse quali la psicoanalisi, il cattolicesimo e il marxismo, hanno un punto ideologico in comune: la considerazione della donna come un essere sussidiario e complementare. La presa di coscienza di una simile situazione porta la Lonzi a riflettere su ciò che era stato scritto dai grandi filosofi del passato confutando i princìpi patriarcali che reggevano i loro scritti. In Sputiamo su Hegel, scritto nell’estate del 1970, Carla Lonzi afferma: “Abbandonare era niente, rispetto al dolore di tradire me stessa. E questa facilità a lasciare appena si richiedesse da me qualcosa che non si accordava con la mia coscienza, è stato l’elemento che più di tutto mi ha impedito di perdermi nella emancipazione e nelle riuscite apparenti”.

Ma che cosa può offrire ancora Carla Lonzi alle più giovani, a quelle che sono cresciute nell’epoca dell’emancipazione (più o meno) compiuta? Leggere Carla Lonzi può insegnare che il riferimento femminile al proprio genere crea lo spazio in cui le donne intrecciano le relazioni in grado di far venire al mondo la libertà che sembra a rischio; e la libertà femminile riconosce le differenze (e prima ancora la differenza, quella tra i sessi) e sa che l’alterità è ciò che costituisce la soggettività.

“Adesso esisto: questa certezza mi giustifica e mi conferisce quella libertà in cui ho creduto da sola. Tutte le distinzioni, le categorie che esprimevano appunto il costituirsi della mia identità a partire dal dissenso – non vedevo altra via in quanto donna – non mi appartengono più: faccio ciò che voglio. Questo è il contenuto che mi appare in ogni circostanza, non aderisco a altro che a questo. Capisco quanto posso avere lasciato cadere nel percorso fatto finora, ma capisco che niente mi avrebbe dissuaso dal rivolgermi all’essenziale. Ora il superfluo attira tutta la mia attenzione e i miei desideri”.☺

 

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