caro diario   di Mara Mancini
30 Maggio 2012 Share

caro diario di Mara Mancini

 

ho sentito dire che scrivere è taumaturgico: pensa un po’ fino a che punto arriva la fantasia della gente! Io non credo alle cose magiche, io non credo quasi in niente. Non permetto agli altri di vedere i sogni, i segreti, il passato, la verità che custodisco in me, perché sono come dei vestiti senza i quali avrei freddo. Però ho pensato che inserirli tra le righe di un diario, che un giorno forse strapperò, mi possa aiutare. A volte mi capita di sentirmi circondata dalla nebbia: fa male non riuscire a capire, non sapere cosa scegliere, non sapere se muoversi, e soprattutto come.

Quando mi va di stare sola, a volte, raggiungo un muretto lontano da casa da dove si vede il mio paese e mi capita di sentirmi come il Viandante sul mare di nebbia del pittore tedesco Friedrich, dipinto risalente al romanticismo: raffigura un uomo sulle rocce assorto nelle sue meditazioni che contempla l’immensità della natura ai suoi occhi offuscata e nei confronti della quale si sente piccolo, impotente. Avverte il suo senso d’incompletezza, tende all’infinito e si rifiuta di vivere nel mondo odierno corrotto e degradato, antitetico a quello che ha nel cuore.

Nessuno mi conosce veramente, ed è meglio così: se non amo io me stessa, come possono farlo gli altri? Dopo la fatina che la notte mi portava i soldi in cambio del dentino, ho desiderato che qualcuno mi regalasse il manuale Vita: istruzioni per l’uso e si prendesse i miei problemi. Ho sempre cercato di non avere debolezze e finalmente ho trovato il modo di difendermi da questo scorpione velenoso che è la realtà. Odiare è l’unico modo di essere più velenosi dello scorpione. Un odio rapido come il fuoco che divora la carta e la paglia, un odio che brucia tutto ciò che tocca, e più tocca più si esalta. Essere cattivo. Essere solo. Essere fuoco. Essere ferro. Questa è la soluzione. Distruggere e resistere (A. D’Avenia). O si è così, oppure si fa la fine del topo nella trappola. Io sono orgogliosa, testarda, seguo l’istinto, non mi piace non essere rispettata e dover resistere e preferisco non aver nulla da perdere (è l’unica condizione in cui si può lottare per tutto senza giungere a compromessi).

Ho deciso di essere cattiva perché, come Guicciardini nel ‘500, ho visto che i buoni vengono puniti e i malvagi premiati dalla sorte. Ho sperimentato dolorosamente che l’amore ha il potere di rendere schiavo, dipendente, e sono convinta che grazie alla distanza di sicurezza posso evitare di affezionarmi a qualcuno. Non sopporto l’idea che una persona, che magari mi vuole aiutare, scavi nella mia vita: non ho bisogno di essere aiutata, sono abituata a cavarmela da sola! E non vorrei che qualcuno che trascorre del tempo con me impari a conoscermi e capisca quello che io non voglio capire, quello che io fingo di non aver capito: la verità. Non sono ferro, non sono fuoco, non sono nessuno. Ho paura, di tutto: della vita e pure della morte. E quello che c’è dopo la morte mi fa paura. E mi fa ancora più paura se dopo non c’è niente. E mi fa paura Dio, che è onnipotente. E mi fanno paura il male e il dolore. E mi fa paura la malattia. E mi fa paura rimanere da solo (D’Avenia). E mi fa male confermarlo: preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere: completamente vivi (M. Gramellini).

Il significato delle parole è direttamente proporzionale alla persona che le pronuncia: alcune sono profonde, altre superficiali. E devo ammettere che per me “completamente” ha un significato troppo grande… Alcune sono in grado di far cambiare umore e spesso quelle simili hanno significati diversi. Mi fanno paura le domande, e ancor di più le risposte. Mi piacciono i dettagli, le cose scontate, perché penso siano le più importanti. Mi fa paura anche la felicità: illusione seguita da delusione e quindi sofferenza. Mi fa paura il destino, anche se non sono convinta che esista. Mi fa paura il presente, ricordare il passato e pensare al futuro. Mi fanno paura i misteri, che allo stesso tempo mi affascinano. Ma penso che a farmi più paura è il fatto che abbia paura. Non riesco ad affrontare tutto da sola e mi fa rabbia che sia più forte di me preferire l’ennesima sigaretta, che sto per andare a fumare, ad una persona che possa salvarmi, da me stessa. Perché, come diceva il filosofo latino Seneca, ognuno sempre fugge se stesso. Ma a che serve se non sfugge a se stesso?

La verità è che, come sosteneva Pascal, l’uomo non riesce a stare senza far niente, senza divertimento, senza passioni perché altrimenti sentirebbe i suoi limiti, il suo niente, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto interiore ed è per questo che non cerca le cose ma la ricerca delle cose. Inoltre non pensiamo mai al presente, solo l’avvenire è il nostro fine. Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere e, preparandoci sempre ad esser felici, è inevitabile che non siamo mai tali.

Mara Mancini

maramancini94@tiscali.it

 

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