Il casone di casacalenda: accoglienza, cura e controllo
25 Giugno 2017
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Il casone di casacalenda: accoglienza, cura e controllo

La decisa virata verso il terzo settore, lo smembramento scientifico e colpevole dell’agricoltura e dell’industria in Italia configurano una particolare situazione sociale, che vede sempre più ampio l’interesse ad investire in servizi. I migranti sono l’ultima frontiera del business.

La questione, certamente complessa e che si presta a diverse possibili letture, è collegata da una parte alla dimensione strutturale, economica, dall’altra all’esigenza di controllo.

La prima vede nei flussi migratori, ma anche nei servizi offerti alla persona (di cura e sostegno), uno strumento che presenta una gamma di possibili declinazioni. Ovviamente, in prima istanza non è possibile negare la necessaria centralità di un apparato di cura, presa in carico e gestione della “marginalità”, vero e proprio contenitore di organizzazione di un ventaglio di problemi di gruppi sociali e individui che altrimenti rischierebbero di essere tagliati definitivamente fuori dal contesto della società civile. È d’obbligo, poi, sganciarsi da una lettura semplicistica, tentando di individuare i dispositivi, i sintomi, i mandati impliciti che investono simili apparati: controllo, segmentazione sociale, reclusione di fatto. Così come l’epidemiologia e la demografia nascono per quantificare e definire il corpo sociale, ma anche con finalità di controllo e indirizzo politico, anche il lavoro sociale che si estende dalle istituzioni territoriali fino alle comunità terapeutiche, ai centri di accoglienza per i migranti, alle case di riposo, è momento di pianificazione non solo con obiettivi di cura e integrazione, ma anche di continua e costante analisi del territorio e delle dinamiche sociali.

Non è scorretto sottolineare quanto l’impreparazione, lo spontaneismo, l’ improvvisazione che caratterizzano una parte del lavoro di accoglienza e cura non sia un caso, una svista, un errore del sistema, quanto piuttosto la necessaria falla nel cuore del sistema stesso, che ne permette la duplicazione e la continuità: il lavoro di segmentazione del corpo sociale non mira alla integrazione, alla presa in carico, alla consapevolezza ed all’azione politica, ma alla stasi, al blocco; tutto resta com’è, nei centri di recupero, di smistamento, di cura si assiste allora alla riproduzione di inerzie, funzionali alla produzione economica, che non ha come obiettivo quello di forgiare sempre più pezzi, ma di mantenere pieni i posti letto, di risparmiare sui servizi offerti. Personale impreparato, o organici scarni, non sufficienti, armati solo di buona volontà, sono il portato naturale di un dispositivo che deve garantire profitto e controllo. Le polemiche contro gli immigrati, i loro pocket money, i loro abiti alla moda e cellulari ultra-moderni manca completamente il centro del problema: non si tratta di privilegi accordati ad una minoranza, ma della ripetizione di meccanismi già noti alla società occidentale (pensiamo ai manicomi), ma che ancora una volta non riusciamo a cogliere in tutta la loro portata. Anche quelle polemiche, dunque, fanno parte del gioco sterile e retorico che si muove sulla superficie di logiche ben più complesse; senza una teoria di riferimento ed una politica all’altezza, sarà sempre più complesso coglierne i movimenti.

 

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