cercemaggiore: opere nel santuario   di Gaetano Jacobucci
27 Aprile 2012 Share

cercemaggiore: opere nel santuario di Gaetano Jacobucci

 

Il chiostro, come elemento architettonico non espressamente menzionato dalla regola benedettina, è ben descritto invece dalla regola cistercense che a tale proposito afferma: “possibilmente il monastero deve essere costruito in modo da potervi trovare quanto necessario, cioè, l’acqua, un mulino, un orto e reparti per le varie attività, così che i monaci non debbano girovagare fuori: ciò infatti non reca alcun vantaggio alle loro anime”. Attorno al chiostro si dispongono tutti gli elementi costitutivi del convento: la chiesa, il refettorio, la sala capitolare. I primi esempi di chiostri li troviamo in edifici benedettini o loro derivazioni ed in particolare presso i monaci cistercensi che sono derivazione della famiglia benedettina. Con il termine latino Claustrun, serratura, per indicare la separazione dei monaci dal secolo, si definiva uno spazio a cielo aperto, generalmente quadrato o rettangolare, circondato da più lati da corridoi coperti, che si aprono sullo spazio centrale con una serie di arcate. Nonostante le analogie in pianta il tipo architettonico del chiostro si differenzia nettamente da quello del quadriportico molto diffuso nell’architettura cristiana e paleocristiana.

Il chiostro di S. Domenico

Al chiostro cinquecentesco del convento della Madonna della Libera, denominato di S. Domenico, si accede mediante due porte che immettono in brevi corridoi; su di esso si aprono gli ingressi al convento, e quello che immette alla chiesa dall’atrio della sacrestia. L’architettura del complesso è caratterizzata da una serie di quattro eleganti pilastri in pietra bianca per lato con basanti e capitelli aggettanti e sagomati, sormontati da archi. I corridoi sono a copertura a crociera. Al centro del chiostro è situato il pozzo, il cui rivestimento è recente.

Lavabo

Nell’atrio tra i due refettori si trova murato un lavabo di pregevole fattura. Collocato su un piedistallo con base sagomata, presenta una vasca rettangolare, decorata da sbaccellature. Sulla vasca un riquadro quadrato diviso in due scomparti sovrapposti. Una conchiglia a rilievo sovrasta la parte superiore, motivi vegetali ornano gli angoli; sul fronte della vasca due mascheroni, con bocchette per l’acqua, collegati tra loro da un festone sormontato da una croce. Poiché è posto tra i due refettori e non in sacrestia, esso  aveva funzione di lavabo per i frati prima di recarsi a consumare i pasti comuni.

Acquasantiera

La Chiesa ha da sempre usato l’acqua benedetta quale sacramentale, azione che prevede sia l’aspersione di oggetti e persone, sia bagnare la mano nell’acqua benedetta posta in un’acquasantiera sul lato interno del portale e segnarsi nell’entrare in chiesa con la croce. Nelle chiese molisane vi è una discreta quantità di acquasantiere che hanno la particolarità di presentare all’interno del catino indifferentemente il simbolo del demonio, la biscia o quello di Cristo il pesce. Nel Santuario della Madonna della Libera due acquasantiere di pregevole fattura si trovano collocate all’interno, quella di sinistra, secondo Stefano Vannozzi, databile al Cinquecento, risulta composta di elementi disomogenei e più antichi. La vasca è decorata all’esterno con ovuli mentre l’interno presenta due serpenti e tre pesci, simbolo del  male che invano insidia il bene. Quella posta a destra è una bella vasca con teste di leoni datata 1555 e accompagnata dall’iscrizione del priore del tempo: Giovanni De Cammis di Gaeta. A causa  della presenza di bocche di sfiato, studi recenti,  fanno supporre che la collocazione originaria fosse all’esterno, per cui si tratterebbe di una fontana collocata dentro una vasca più grande.☺

jacobuccig@gmail.com

 

 

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