chi garantisce cosa? di Dario Carlone | La Fonte TV
La riconquista di credibilità dell’Italia in campo internazionale ha coinciso con il diffondersi – forse spropositato – dell’uso di vocaboli stranieri tanto nelle dichiarazioni ufficiali quanto sulla stampa. Endorsement [pronuncia: indors’ment] ne è un esempio.
Il termine inglese ha soppiantato nel parlare comune i suoi traducenti italiani: “approvazione” e “garanzia”, afferenti all’identica area semantica, sembrano stonare in un bel discorso pubblico, in una intervista rilasciata ad una prestigiosa testata, in una trasmissione televisiva. Forse perché ricorrere al corrispettivo anglofono rende l’eloquio o la trattazione più eleganti, forbiti, da competenti?
A mio parere la moda di trasferire, spesso acriticamente, le parole della lingua inglese all’italiano risulta fine a se stessa ed a volte anche immotivata. Ne è prova il termine cui mi sto riferendo: abbinato al “fascino” un po’ troppo britannico del nostro primo ministro “tecnico”, esso si è rivelato la parola d’ordine per ridare visibilità al nostro paese e per riportare l’Italia in una posizione non marginale sulla scena mondiale. Una carta di presentazione veicolata dalla parola inglese, non neutra!
Endorsement, sostantivo derivante dal verbo endorse [pronuncia: indors], appartiene al linguaggio specifico dell’ economia; indica infatti quegli elementi basilari ed imprescindibili di qualsiasi operazione commerciale: garanzia, avallo, convalida. Semplice coincidenza?
In una società come l’attuale, in cui per esistere è necessario essere visti, individuati, notati, sia per i successi, sia per le fragilità, paradossalmente e a dispetto di qualsiasi considerazione della vergogna, si ricerca e si ha bisogno di garanzie, di approvazioni, di riconoscimenti.
Oggi che la garanzia ha assunto il nome inglese di endorsement, viene da chiedersi: ma chi deve “approvare”, “convalidare”? E in base a quali parametri? E quando si tratta di personaggi di rilievo, esponenti del mondo politico, amministratori, persone con incarichi di responsabilità collettiva, a chi è demandata la funzione di esprimere apprezzamento per quanto svolto?
Gli endorsement del Presidente del Consiglio uscente, riportati da numerosi organi di stampa ed anche comunicati a livello ufficiale, provengono dal mondo della finanza: i “mercati” apprezzano la persona e le competenze messe in campo; le banche si dichiarano soddisfatte delle politiche economiche avviate; la Borsa, con le sue chiusure in attivo, avalla le scelte effettuate!
E i candidati alle imminenti elezioni, sia politiche che regionali? Chi fornisce “garanzie” per loro? In base a quali parametri sono “indicati” e quale organo “democratico” affida loro la fiducia degli elettori?
La società, i cittadini, i veri “animali politici” – per dirla con Aristotele – sono relegati ai margini, sembrano non rappresentare più gli attori delle relazioni e delle decisioni per il “governo” della cosa pubblica. Dov’è oggi quel progetto di Stato condiviso, fondato su regole uguali per tutti, senza che a prevalere siano rapporti di forza, rapporti che avvantaggiano questo o quello, come nelle parole di Giancarlo Caselli?
Quella “democrazia emancipante”, che la Costituzione assumeva come obiettivo, anche oggi alla vigilia di una nuova consultazione elettorale, sta perdendo senso e vitalità. L’endorsement di cui abbiamo bisogno è invece quello di una democrazia dove lo status dei cittadini comprenda non soltanto il diritto-dovere di andare a votare, ma anche il diritto a condizioni di vita decorose e civili.
E a fornirci l’endorsement non saranno certo i “mercati”!☺
dario.carlone@tiscali.it
La riconquista di credibilità dell’Italia in campo internazionale ha coinciso con il diffondersi – forse spropositato – dell’uso di vocaboli stranieri tanto nelle dichiarazioni ufficiali quanto sulla stampa. Endorsement [pronuncia: indors’ment] ne è un esempio.
Il termine inglese ha soppiantato nel parlare comune i suoi traducenti italiani: “approvazione” e “garanzia”, afferenti all’identica area semantica, sembrano stonare in un bel discorso pubblico, in una intervista rilasciata ad una prestigiosa testata, in una trasmissione televisiva. Forse perché ricorrere al corrispettivo anglofono rende l’eloquio o la trattazione più eleganti, forbiti, da competenti?
A mio parere la moda di trasferire, spesso acriticamente, le parole della lingua inglese all’italiano risulta fine a se stessa ed a volte anche immotivata. Ne è prova il termine cui mi sto riferendo: abbinato al “fascino” un po’ troppo britannico del nostro primo ministro “tecnico”, esso si è rivelato la parola d’ordine per ridare visibilità al nostro paese e per riportare l’Italia in una posizione non marginale sulla scena mondiale. Una carta di presentazione veicolata dalla parola inglese, non neutra!
Endorsement, sostantivo derivante dal verbo endorse [pronuncia: indors], appartiene al linguaggio specifico dell’ economia; indica infatti quegli elementi basilari ed imprescindibili di qualsiasi operazione commerciale: garanzia, avallo, convalida. Semplice coincidenza?
In una società come l’attuale, in cui per esistere è necessario essere visti, individuati, notati, sia per i successi, sia per le fragilità, paradossalmente e a dispetto di qualsiasi considerazione della vergogna, si ricerca e si ha bisogno di garanzie, di approvazioni, di riconoscimenti.
Oggi che la garanzia ha assunto il nome inglese di endorsement, viene da chiedersi: ma chi deve “approvare”, “convalidare”? E in base a quali parametri? E quando si tratta di personaggi di rilievo, esponenti del mondo politico, amministratori, persone con incarichi di responsabilità collettiva, a chi è demandata la funzione di esprimere apprezzamento per quanto svolto?
Gli endorsement del Presidente del Consiglio uscente, riportati da numerosi organi di stampa ed anche comunicati a livello ufficiale, provengono dal mondo della finanza: i “mercati” apprezzano la persona e le competenze messe in campo; le banche si dichiarano soddisfatte delle politiche economiche avviate; la Borsa, con le sue chiusure in attivo, avalla le scelte effettuate!
E i candidati alle imminenti elezioni, sia politiche che regionali? Chi fornisce “garanzie” per loro? In base a quali parametri sono “indicati” e quale organo “democratico” affida loro la fiducia degli elettori?
La società, i cittadini, i veri “animali politici” – per dirla con Aristotele – sono relegati ai margini, sembrano non rappresentare più gli attori delle relazioni e delle decisioni per il “governo” della cosa pubblica. Dov’è oggi quel progetto di Stato condiviso, fondato su regole uguali per tutti, senza che a prevalere siano rapporti di forza, rapporti che avvantaggiano questo o quello, come nelle parole di Giancarlo Caselli?
Quella “democrazia emancipante”, che la Costituzione assumeva come obiettivo, anche oggi alla vigilia di una nuova consultazione elettorale, sta perdendo senso e vitalità. L’endorsement di cui abbiamo bisogno è invece quello di una democrazia dove lo status dei cittadini comprenda non soltanto il diritto-dovere di andare a votare, ma anche il diritto a condizioni di vita decorose e civili.
E a fornirci l’endorsement non saranno certo i “mercati”!☺
La riconquista di credibilità dell’Italia in campo internazionale ha coinciso con il diffondersi – forse spropositato – dell’uso di vocaboli stranieri tanto nelle dichiarazioni ufficiali quanto sulla stampa. Endorsement [pronuncia: indors’ment] ne è un esempio.
Il termine inglese ha soppiantato nel parlare comune i suoi traducenti italiani: “approvazione” e “garanzia”, afferenti all’identica area semantica, sembrano stonare in un bel discorso pubblico, in una intervista rilasciata ad una prestigiosa testata, in una trasmissione televisiva. Forse perché ricorrere al corrispettivo anglofono rende l’eloquio o la trattazione più eleganti, forbiti, da competenti?
A mio parere la moda di trasferire, spesso acriticamente, le parole della lingua inglese all’italiano risulta fine a se stessa ed a volte anche immotivata. Ne è prova il termine cui mi sto riferendo: abbinato al “fascino” un po’ troppo britannico del nostro primo ministro “tecnico”, esso si è rivelato la parola d’ordine per ridare visibilità al nostro paese e per riportare l’Italia in una posizione non marginale sulla scena mondiale. Una carta di presentazione veicolata dalla parola inglese, non neutra!
Endorsement, sostantivo derivante dal verbo endorse [pronuncia: indors], appartiene al linguaggio specifico dell’ economia; indica infatti quegli elementi basilari ed imprescindibili di qualsiasi operazione commerciale: garanzia, avallo, convalida. Semplice coincidenza?
In una società come l’attuale, in cui per esistere è necessario essere visti, individuati, notati, sia per i successi, sia per le fragilità, paradossalmente e a dispetto di qualsiasi considerazione della vergogna, si ricerca e si ha bisogno di garanzie, di approvazioni, di riconoscimenti.
Oggi che la garanzia ha assunto il nome inglese di endorsement, viene da chiedersi: ma chi deve “approvare”, “convalidare”? E in base a quali parametri? E quando si tratta di personaggi di rilievo, esponenti del mondo politico, amministratori, persone con incarichi di responsabilità collettiva, a chi è demandata la funzione di esprimere apprezzamento per quanto svolto?
Gli endorsement del Presidente del Consiglio uscente, riportati da numerosi organi di stampa ed anche comunicati a livello ufficiale, provengono dal mondo della finanza: i “mercati” apprezzano la persona e le competenze messe in campo; le banche si dichiarano soddisfatte delle politiche economiche avviate; la Borsa, con le sue chiusure in attivo, avalla le scelte effettuate!
E i candidati alle imminenti elezioni, sia politiche che regionali? Chi fornisce “garanzie” per loro? In base a quali parametri sono “indicati” e quale organo “democratico” affida loro la fiducia degli elettori?
La società, i cittadini, i veri “animali politici” – per dirla con Aristotele – sono relegati ai margini, sembrano non rappresentare più gli attori delle relazioni e delle decisioni per il “governo” della cosa pubblica. Dov’è oggi quel progetto di Stato condiviso, fondato su regole uguali per tutti, senza che a prevalere siano rapporti di forza, rapporti che avvantaggiano questo o quello, come nelle parole di Giancarlo Caselli?
Quella “democrazia emancipante”, che la Costituzione assumeva come obiettivo, anche oggi alla vigilia di una nuova consultazione elettorale, sta perdendo senso e vitalità. L’endorsement di cui abbiamo bisogno è invece quello di una democrazia dove lo status dei cittadini comprenda non soltanto il diritto-dovere di andare a votare, ma anche il diritto a condizioni di vita decorose e civili.
E a fornirci l’endorsement non saranno certo i “mercati”!☺
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