Cimitero di paese
6 Ottobre 2015 Share

Cimitero di paese

Di tanto in tanto non manco di far visita al cimitero del mio paese natio, sulla costa adriatica molisana. Lì c’è la tomba dei nonni, lì c’è la tomba di mio padre. Mi piacciono la semplicità e l’essenzialità di questo cimitero. Vuoi per la fontanella brunita, manufatto di artigianato povero, posta appena entri e dalla quale chiunque può attingere acqua con cui innaffiare le essenze vegetali presenti sulle tombe; vuoi per la sensazione di fresco, in estate, di cui puoi godere all’ombra degli alti cipressi messi a vigilare ai lati del vialetto centrale (il più antico dei vialetti interni); vuoi per il diffuso silenzio e quel senso di pace che si prova ogni volta che vi si accede.

Personalmente cerco sempre di avvicinarmici a passo lento anche perché, già nel percorrere la stradina esterna che conduce al cancello d’ingresso, l’occhio gioisce nel mentre riesce a cogliere, oltre il lato destro del muro di cinta e ben distinguibili all’orizzonte, le varie tonalità d’azzurro del cielo e del mare sullo sfondo.

L’ultima volta che mi ci recai mi vennero in mente tante cose. Ad esempio, i versi di Ugo Foscolo, i versi assai noti contenuti ne “Le urne dei forti”. Inoltre mi tornarono sulle labbra i dialoghi de “La livella” del grande Totò. Sicché, nel cercare di far fronte a pensieri di tal fatta, mi andavo chiedendo che cosa ci stessi a fare proprio io, persona comune, in cotale specifico paesaggio urbano che da tempo immemore ispira menti ben più fini della mia. Non riesco, tuttora, a trovare risposte a domanda così complesse.

Mi sforzo, non di meno, di comprendere che cosa mi motiva a visitare siffatti luoghi. Intanto – è una boutade, ma sempre verità – perché l’ingresso è gratis, mentre, dovunque vai a questo mondo, trovi sempre qualcuno che ti chiede conto dei tempi di sosta e ti fa pagare un balzello, benché minimo, per il solo fatto di trovarti lì dove la Vita in quel momento ti fa stare. Se, ad esempio, sei fuori casa e ti scappa di far pipì, entri veloce nel primo bar che trovi, e anche lì ti tocca, comunque, consumare almeno un caffè … Invece, puoi far pipì nel bagno dei cimiteri (ancora, per fortuna) gratis. Poi, per il fatto che nei cimiteri – per tornare al Principe de Curtis – sia i ricchi, sia i poveri, una volta finiti sotto terra o all’interno di un loculo, alto o basso che sia, non hanno più né curricula né medaglie da ostentare. Sì, i cimiteri sono, credo, l’unica dimensione anche fisica della vita terrena dove non contano titoli, né gradi, né referenze: al di là dei fregi marmorei, se e laddove presenti, vige assoluto il principio di uguaglianza. Per dirla con Totò: “Sti pagliacciate ‘e fanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie … appartenimmo a’ morte!”.

Il cimitero del mio paesello m’ispira serenità. Lo trovo pulito e ordinato. A mio parere, non mostra quella sorta di diffusa mestizia rinvenibile in altri camposanti. Vi accedo non meno di 3, 4 volte l’anno. Talvolta canticchio i primi versi di “Una giornata uggiosa” di Lucio Battisti: “Sogno un cimitero di campagna, ed io là / all’ombra d’ un ciliegio in fiore senza età / per riposare un poco, 2 o 300 anni / giusto per capir di più e placar gli affanni …”. Ed io là: sì, perché questo ho in animo, di farmi tumulare là sotto, quando la campana suonerà per me.

Inevitabilmente, davanti a quelle tombe, finisco per rivedere, nella memoria, la precisa, rassicurante, amorevole figura di nonno Felice, il papà di mia madre. Confortato da tali reminiscenze e riflessioni, mi son chiesto più d’una volta se non siamo più fortunati noi occidentali che usiamo inumare i nostri defunti, rispetto a quanti – e non soltanto le popolazioni dell’India – preferiscono cremare i propri cari. Mi rendo conto che la questione è complessa e non può certo essere affrontata in così brevi righe.

In ogni caso, gioisco in cuor mio di poter entrare in quel luogo ogni volta che mi piaccia di farlo, per versare un bricco d’acqua sulle piccole piante grasse lasciate lì, due metri al disopra di ciò che resta di quei defunti. E di poter ripulire quegli steli e quelle foglioline, quando ce ne fosse bisogno, dei rametti rinsecchiti e dei fili d’erbe parassite che nascono e s’infilano ovunque, perfino nei terricci, benché poveri di nutrienti, su cui vediamo abbarbicarsi quelle modeste, pur tenaci, essenze botaniche che non disdegnano d’ingentilire ed onorare anche la più umile delle sepolture.☺

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