Cipputi e l’ombrello
5 Maggio 2015 Share

Cipputi e l’ombrello

Lettera aperta ai lavoratori che ritengono inutile il sindacato

Cipputi, emblematico e suggestivo personaggio uscito dalla matita di Altan, con l’ombrello spesso piantato tra le natiche, esprime al meglio, in modo pittoresco, la situazione drammatica, se non tragica, del lavoratore e non solo.

Come tanti cipputi abitiamo nei paesi terremotati, vittime di una politica regionale prima al limite del delinquenziale, per sprechi incredibili e giochi clientelari, oggi per l’evanescenza dei nuovi amministratori, convinti di stare seduti ancora nei banchi di opposizione e dunque incapaci di decisioni atte a far partire speditamente la ricostruzione. Se ci troviamo, dopo oltre dodici anni, in condizioni semplicemente penose è soprattutto perché le persone effettivamente coinvolte erano una parte minoritaria dei centri interessati e gli amministratori per scelta, incapacità o isolamento non hanno saputo fare effettivamente fronte comune. Dal sindaco di San Giuliano di Puglia che ha curato a meraviglia solo i fatti della sua comunità e perciò è arrivato felicemente e senza opposizione al terzo mandato, in attesa di una proroga a vita – cittadini onorari sono diventati il capo della protezione civile, oggi inquisito per non poche vicende dubbie, e il procuratore della repubblica del tribunale di Larino, che aveva come tesi di fondo l’inconsistenza del terremoto – agli altri sindaci che sgomitavano per il ruolo di sub-commissario: si inventarono poi e concorsero per quattro posti da vice commissario; ognuno andò alla ricerca di un’intesa esclusiva col commissario per simpatia o affinità di partito; avviarono incontri periodici in cui si diceva una cosa e se ne pensava un’altra e pur di avere un contentino lesinarono finanziamenti di opere morte (cioè inutili o inutilizzate). Morale della favola: in pochi, disuniti e senza coordinamento appassionato e unitario, fondato sulla giustizia distributiva e sulle necessità primarie delle persone che hanno perso casa e relazioni, ci ritroviamo a camminare in paesi vuoti e sventrati come Cipputi con l’ombrello infilato là dove la schiena cambia nome.

Perdonate l’accostamento, ma sorte non dissimile dalla nostra vivete voi lavoratori considerati fortunati per avere un’occupazione benché costantemente a rischio di ritrovarvi in mezzo a una strada, in balìa di ricatti che mettono in crisi, non poche volte, la stessa voglia di riscatto. In passato si lottava anzitutto per la qualità del lavoro tanto che si ironizzava con frasi del tipo: i lavoratori non contenti di avere un lavoro, chiedono persino dei diritti, oggi si lotta, spesso gli uni contro gli altri, per accaparrarsi a ribasso un lavoro, anche se misero. A mietere vittime era la mancata sicurezza sul posto di lavoro, oggi è anche l’insicurezza del lavoro. La disperazione porta a compromessi di ogni tipo. Due secoli di lotte operaie per ritrovarsi di nuovo alla mercé del padrone, che intanto ha provveduto a mascherarsi dietro l’amministratore delegato! Come si è potuto arrivare a che un amministratore guadagni fino a 564 volte più di un operaio? E più a monte, che il denaro valga più del sudore di un lavoratore? Chi avrebbe dovuto vegliare e non ha fatto il proprio dovere? Che questa economia uccide c’è per fortuna il papa, purtroppo in beata solitudine, a proclamarlo! I sindacati hanno non poche responsabilità: dall’appiattimento sulle tesi dei datori di lavoro al menefreghismo per gli iscritti, fino a viaggiare a rimorchio di partiti politici. Se per i tanti cipputi l’ombrello, da presenza estranea, è diventato una protesi del corpo che non cercano neppure più di estrarre, i sindacati di tutte le categorie non possono certo incolpare esclusivamente i lavoratori.

Per non cadere definitivamente nelle grinfie di operatori senza scrupoli, per impedire che il sudore sia una merce a ribasso, se si vuole che il lavoratore torni a contare nelle trattative, i sindacati sono indispensabili. È necessario unire le forze e l’impegno, rifondiamoli – perciò seguiamo con interesse il progetto di coalizione sociale di Landini che ha l’obiettivo di riunificare e ricostruire i diritti di cittadinanza delle persone, di ricucire lo strappo che si è creato nel tessuto sociale, di rafforzare la democrazia – ma non gettiamoli a mare, altrimenti per Cipputi aver stabilizzato l’ombrello nelle terga sarà già più del bacio della fortuna. Solo i padroni – multinazionali, mercato, finanza, capitalismo, ecc. – possono volere la guerra tra i poveri per avere mano libera nella gestione delle risorse e del lavoro. Come hanno potuto i cristiani e i socialisti partecipare alle guerre mondiali? Che avevano da spartirsi? Come possono oggi cattolici e lavoratori aderire alla lega o a movimenti xenofobi? Come è possibile vedere nell’immigrato un potenziale nemico, uno che ruba posti di lavoro, che porta droga, prostituzione, violenza?

Persa la solidarietà restano gli sciacalli. I commercianti di persone, gli scafisti sono solo l’altra faccia di coloro che commerciano armi, che producono instabilità tra le nazioni. Se i lavoratori si unissero – l’Internazionale era una grande intuizione – si metterebbe la parola fine alla dittatura del mercato; se i poveri si coalizzassero il Mediterraneo non sarebbe più la tomba dei disperati perché la loro ira ristabilirebbe democrazia nelle loro patrie; se per tutti noi al primo posto ci fossero la dignità della persona umana e il bene comune dove oggi Cipputi continua a tenerci l’ombrello, ricchi e speculatori ci avrebbero una mongolfiera per la quantità di pedate di milioni di lavoratori. Camminare insieme, non correre da soli è politica.☺

 

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