Concordato e costituzione
7 Giugno 2014 Share

Concordato e costituzione

Articolo 7 – Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

La storia

L’art. 7 fu quello più a lungo discusso dall’Assemblea Costituente. La formula del primo comma derivò dall’ unificazione di due proposte, firmate rispettivamente dal vicesegretario della DC G. Dossetti (“Lo Stato si riconosce membro della comunità internazionale e riconosce perciò come originari l’ordinamento giuridico internazionale, gli ordinamenti degli altri Stati e l’ ordinamento della Chiesa”) e dal segretario del PCI P. Togliatti (“Lo Stato è indipendente e sovrano nei confronti di ogni organizzazione religiosa o ecclesiastica. Lo Stato riconosce la sovranità della Chiesa cattolica nei limiti dell’ordinamento giuridico della Chiesa stessa”).

L’Assemblea, approvando la formula unificatrice, accolse come base concettuale la teoria della “pluralità degli ordinamenti giuridici”, proposta da Santi Romano, e con essa il riconoscimento del principio fondamentale della distinzione degli ordinamenti originari (sovrani) e coesistenti decise di tracciare una chiara distinzione tra ordinamenti che coesistono su territori diversi (Stato italiano e altri Stati) e ordinamenti presenti sullo stesso territorio (Stato italiano e Chiesa cattolica). La differenza sta nel fatto che mentre lo Stato è una società giuridicamente e politicamente organizzata su base territoriale, la Chiesa è una società giuridicamente ed eticamente organizzata su base non territoriale; la chiesa ha una sua potestà normativa che non le deriva da uno stato, ma è ad essa propria e originaria quale istituzione organizzata che oltrepassa i confini dello stato.

Sempre dopo una lunga e accesa discussione, l’Assemblea riconfermò, nel secondo comma, la validità dei Patti Lateranensi (firmati l’11 febbraio 1929 tra stato fascista e Santa Sede) e stabilì che eventuali modificazioni dovevano comunque essere regolati da intese concordate. Emerse il timore che l’art. 7 avesse come conseguenza la costituzionalizzazione dei Patti stessi. Alla fine l’ interpretazione della portata del secondo comma fu riassunta dall’onorevole Dossetti: la norma del secondo comma dell’art.7 non è una norma materiale (che disciplina un fatto o un rapporto) ma una norma strumentale e più precisamente, una norma sulla produzione giuridica delle norme … semplicemente stabilisce attraverso quale iter debbano essere prodotte: “non è una norma che abbia per oggetto i molti precetti contenuti nei 23 articoli del Trattato e nei 45 articoli del Concordato… ha per oggetto un precetto solo e precisamente questo: che le eventuali norme dirette a modificare quelle contenute nel Trattato e nel Concordato debbano essere prodotte (ecco le diciamo norme sulla produzione giuridica) attraverso un determinato iter, cioè, l’accordo bilaterale e, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”… – e, d’altra parte – “la modifica unilaterale da parte dello Stato della disciplina esistente non può avvenire che attraverso un procedimento di revisione costituzionale” (A.C. pp 2326-2327).

Commento

Vari giuristi sostengono che l’art. 7 – frutto del compromesso fra i partiti della sinistra e le forze cattoliche – presenta un profilo giuridico alquanto approssimativo. Il primo comma, infatti, utilizza nozioni (indi- pendenza e sovranità) che, presupponendo l’elemento della territorialità, mal si adattano a definire le relazioni della Chiesa con l’ ordinamento statuale. Inoltre, l’art. 7 ha finito per rendere difficoltosa la definizione del principio di laicità dello Stato: secondo la Corte Costituzionale (203/1989) la laicità non implica “indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni”, ma “garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.

Infine, l’articolo stabilisce una differenza giuridicamente rilevante fra l’ ordinamento canonico della Chiesa cattolica (esplicitamente riconosciuto dalla Costituzione) e gli ordinamenti confessionali delle altre religioni (riconosciuti solamente a livello amministrativo o legislativo).

Sul piano politico, altri sostengono che l’impianto dell’art. 7 rende ancora attuale la questione delle ingerenze politiche della Chiesa: alcuni commentatori considerano le prese di posizione delle gerarchie cattoliche in merito a questioni inerenti la vita politica italiana come “interferenze non giuridicamente perseguibili”.

Storicamente i concordati nella chiesa coincidono con una propria revisione interna avvenuta con il Codice di diritto canonico del 1917 e con quello del 1983, dopo il Concilio Vaticano II, che al can. 337. 5 recide definitivamente “il diritto o privilegio – delle autorità civili – di  elezione, nomina, presentazione o designazione dei Vescovi”. A questi codici seguono i Concordati del 1929 e la revisione del 1984. I concordati moderni nascono nel contesto dei grandi rivolgimenti politici prodotti dal conflitto del 1914-18, in una visione di “cristianità” e di dialogo problematico tra due “società perfette e sovrane”. A fianco della ripresa concordataria si assiste ad una progressiva politica di presenza della Santa Sede nella scena internazionale: muove i primi passi con Pio XII, si afferma sempre più incisivamente con Paolo VI e Giovanni Paolo II. Nel periodo di Pio XI s’impongono all’attenzione i concordati con gli stati totalitari per garantire alle comunità cristiane un minimo indispensabile di libertà necessaria alla propria missione. L’esperienza narra quanto poco fossero affidabili tali regimi nel rispetto di quanto convenuto perché le ragioni politiche inducevano a ritenere concordati o trattati internazionali semplici pezzi di carta. La nuova stagione, nel dopo concilio, ha spostato l’asse di impostazione dei concordati, stipulati con stati democratici, più sulla linea di patti di libertà e di reciproca cooperazione  al bene delle comunità, distanziandosi dalla prevalente tutela dei propri diritti.

Negli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi di questo i mutamenti non attengono più alla geografia politica; riguardano piuttosto la società civile, nelle sue tavole dei valori, nel suo modo di sentire, nei modelli ideali, nei problemi emergenti posti dall’evoluzione sociale, soprattutto nei paesi di antica cristianità. I mutamenti investono di certo anche la società politica, il suo modo di organizzarsi, lo svolgimento delle sue istituzioni, in particolare il declinare dello Stato moderno, fondato sul noto concetto di sovranità ed il conseguente accentuarsi di una pluralità di centri di organizzazione del potere, l’ampliarsi del ruolo della comunità internazionale. Lo Stato non è più anche per la chiesa l’unico o l’interlocutore privilegiato.

Nel mondo umano sempre più multietnico e multireligioso la tradizione concordataria lascia, forse, in eredità alle democrazie che riconoscono la libertà religiosa e di coscienza (art.8 e art.19 della costituzione) il metodo, solo dai nostri costituenti costituzionalizzato per la chiesa cattolica, del concordare o delle intese bilaterali, perché si riconosca il valore sociale dell’esperienza religiosa, al di fuori dei fondamentalismi religiosi o laici, miranti all’esclusione dell’ altro, e, in ultimo, la laicità degli stati non conduca a “indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni”, ma  sia “garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.

Siamo solo all’inizio del percorso guarniti di strumenti di fatto superati dalla storia in quanto non adeguato al tessuto delle comunità umane odierne.

 

Articolo 8 – Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

La storia

L’articolo fu approvato dopo una complessa discussione. Il problema principale era rappresentato dalla regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica. Mentre la Chiesa cattolica era stata definita indipendente e sovrana (art. 7), le altre confessioni avevano una sovranità limitata in quanto: 1) il loro statuto non doveva contrastare con l’ordinamento giuridico italiano; 2) il loro rapporto con lo Stato veniva regolato non attraverso la Costituzione, ma con legge ordinaria (ciò significava che per modificare il rapporto era sufficiente un normale procedimento legislativo); 3) lo Stato italiano, inoltre, non aveva l’obbligo costituzionale di regolamentare i rapporti con una Chiesa diversa da quella cattolica. Questi problemi furono sanati, in parte, da un nuovo accordo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede (18 febbraio 1984). La nuova intesa abrogò il principio che indicava la religione cattolica come religione di Stato e riconobbe uguale libertà a tutte le confessioni religiose. In questo modo trovò attuazione il principio del pluralismo confessionale stabilito dal primo comma dell’art. 8.

Commento

Dopo l’accordo del 1984, la giurisprudenza ha iniziato a discutere la legittimità della distinzione tra “parità di trattamento” e “uguale libertà” delle confessioni religiose voluta dall’Assemblea Costituente. La disparità di trattamento tra le diverse confessioni religiose è ormai giu- dicata insostenibile: nel 1993, infatti, la Corte Costituzionale ha sostenuto che tutte le confessioni religiose sono “in grado di rappresentare i bisogni religiosi dei propri membri” e, quindi, non possono essere discriminate.

Tuttavia, l’ordinamento italiano non ha ancora eliminato le disparità perché distingue ge- rarchicamente fra la Chiesa cattolica, le confessioni dotate di intesa (Tavola valdese, Unione comunità ebraiche…), le confessioni riconosciute dalla legislazione sui culti ammessi (lo Stato riconosce circa 100 culti quali, per esempio, la Comunità greco orientale ortodossa, la Comunità di fedeli di rito armeno gregoriano, la Chiesa evangelica luterana ecc.) e quelle prive di riconoscimento (Chiese di Cristo, Chiesa cristiana millenarista, Chiesa cattolica apostolica…).

Secondo molti giuristi, per superare l’effettiva disparità di trattamento sarebbe necessaria l’abrogazione della disciplina sui culti ammessi (che risale al biennio 1929-30) e l’approvazione di una legislazione unilaterale sulla libertà religiosa. Fino ad oggi, però, tutti i tentativi fatti sono sempre falliti in quanto un provvedimento simile conferirebbe pieno riconoscimento anche a quelle confessioni che sono contrastate da settori più o meno ampi della società. ☺

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