consumo ed impazienza
2 Febbraio 2011 Share

consumo ed impazienza

 

Ogni epoca ha espresso un modello superiore a cui conformarsi. Alcuni esempi: il Medioevo era dominato dalla figura del monaco; l’epoca barocca da quella del militare; il xx secolo da quella dell’operaio. Oggi è il regno del consumatore.

Questo spostamento di valori dal produttore – schiavo – servo – operaio – aspirante padrone, al consumatore, si accompagna ad un indebolimento del cosiddetto modello virile. Fino a poco tempo fa, le immagini dominanti erano maschili: il monaco, il guerriero, il bandito, l’eroe, l’operaio produttore; mentre il diversabile/l’handicappato era addirittura “buttato giù dalla rupe”. Ma nel regno del consumo la preminenza, non certamente in modo casuale, spetta alla donna, al fanciullo, all’anziano, al diversabile e non ultimo al signore/signora delle guerre: il fanciullo perché è colmato di regali; la donna perché molto spesso è lei che fa gli acquisti; l’anziano perché ormai fa maggioranza… che consuma; l’handicappato/diversabile perché l’industria farmaceutica e medica è su di loro e con loro che fa affari; il signore e la signora della guerra perché ieri ed oggi costituisce una benefica e pacifica produzione di profitti per i produttori (!) nonché una soluzione ed un sostegno alla logica che “se vuoi la pace devi essere sempre pronto a fare la guerra”!

Queste logiche hanno invaso e pervaso le età dell’educazione. In particolare le stagioni di crescita, per esempio quella codificata adolescenza, ovvero quel meraviglioso periodo di moratoria in cui attraverso una certa privazione e isolamento, l’individuo si roda e diventa adulto, va scomparendo. Negli USA, dicono i sociologi bene informati, il comportamento adulto ha praticamente ricoperto l’adolescenza: le ragazze si imbellettano e si abbigliano come donne ad una età che, dal dopoguerra, è retrocessa da sedici a tredici anni o anche meno ed oggi giocano con le barbie a fare le mamme e le signorine “tutto fare” a due anni! I ragazzi invece vengono allenati in tutte le palestre e giocano ad imparare come sconfiggere l’avversario.

Il dinamismo, cioè, del potere commerciale e di consumo, ovvero del profitto, si è esteso alle idee, ai sogni, alla natura. Si vendono paesaggi, monumenti, storia e persone… con il turismo; si vendono acqua, sole, mare, neve; si vende il riposo. Il tempo libero, ma non liberato, polarizza sempre più la vita quotidiana, e paradossalmente, invece che tempo libero e disponibile, è diventato tempo pieno, anzi sovraccarico: basta vedere la gente la domenica sera, quando rientra dalla gita “fuori porta”, come è stanca e logora… e il consumo e l’impazienza celebrano nozze disorientanti. L’espansione della produzione ha sollecitato la società dei consumi. La frenesia del consumo esprime il bisogno connaturale all’uomo di possedere l’universo, di appoggiarsi alla totalità: “Il consumo è diventato l’utopia più forte della civiltà industriale”, osserva con ironia A. Touraine.

Il predominio del consumo, la necessità del profitto, provoca ed ingenera una svalutazione delle attività pubbliche a beneficio della vita privata e una elefantiasi della burocrazia. La meccanizzazione e l’abbondanza permettono alla maggior parte della famiglia di fare a meno dell’aiuto esterno, è vero, ma scompare quella solidarietà che un tempo si stabiliva a livello di bisogni e si esprimeva con uno scambio di servizi e di oggetti. In questo senso la mentalità borghese fatta di possesso esclusivo, separazione dalla massa, esaltazione della vita, celebrazione di vizi privati, si diffonde nel popolo; scompaiono, però, anche le “buone” pratiche borghesi del risparmio e della trasmissione dei beni di famiglia. Tra gli altri, un fenomeno correlato al consumo, ovvero l’impazienza, assume forme isteriche e brutali: si vuole possedere tutto e subito e per ottenerlo non si indietreggia davanti alla crudeltà dell’egoismo. Quanto più l’io individuale eleva le sue mire di cupidigia, tanto e più tiene in poco conto l’io degli altri. La vita personale e privata è oggetto di un culto senza precedenti, mentre la vita degli altri si presenta sotto forma astratta… e l’uomo diventa un visivo.

L’appropriazione rapida ed istantanea comporta un consumo anzitutto come spettacolo. Attraverso il cinema, la televisione, il talk show ed internet il mondo si srotola rapidamente sotto i nostri occhi: tutto è visibile, tutto viene visto, tutto viene mostrato. È un mondo di immagini e di suoni con i quali non abbiamo un rapporto duraturo: come un paesaggio turistico, non facciamo altro che attraversarlo senza lasciare traccia. L’atteggia- mento essenziale dell’uomo contemporaneo diventa la sua avidità del mondo. L’uomo è “un visivo” e i romanzi contemporanei lo rivelano: abbandonano l’interiorità psichica, a profitto della descrizione fenomenologica. Ma il consumo è diventato distruzione: la molteplicità degli oggetti, ha prodotto, per contropartita, la loro fragilità e “si produce inesorabilmente” uno spreco permanente… che diventerà profitto, per riciclare lo spreco!☺

polsmile@tin.it

 

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