Contadini nella pittura
17 Maggio 2020
laFonteTV (3152 articles)
Share

Contadini nella pittura

Il mondo rurale ha sempre interessato in vario modo gli l’arte pittorica. L’agricoltura, del resto, è pur sempre la cosiddetta attività “primaria”, ed Elio Vittorini, in un saggio su Il Menabò nel 1964 sosteneva che nonostante l’evoluzione dei tempi, molti dei nostri comportamenti odierni sono riconducibili ai tempi remoti, quando tutti erano contadini.
Non è per tale ragione che mi occupo di questo argomento; lo storico dell’ arte Ernst Gombrich, viennese, raccomandava agli inesperti di non rinunciare a capire un quadro, perché qualsiasi sia il grado di complessità, è sempre il fruitore che, seguendo alcuni consigli, deve decifrare l’eventuale arcano e dare un senso all’opera che gli sta di fronte.
In questa prospettiva mi occuperò de L’Angelus, Il Riposo, La Messe, Quarto Stato, opere collegate da un comune progetto artistico: il lavoro del contadino. Il percorso artistico va dal realismo di metà Ottocento, ai macchiaioli, al verismo naturalista, al divisionismo, ma ci incuriosisce anche il contesto sociale in cui le opere sono maturate e che seguono in qualche modo le tappe dell’evoluzione del mondo contadino.
Jean Francois Millet
Nato il 4 ottobre 1814 a Gruchy, un piccolo gruppo di case sulla riva del mare di Normandia, è considerato uno dei più importanti pittori del realismo francese del secondo Ottocento. Studia a Cherbourg come allievo di Cross fino al 1837, quando, grazie ad una borsa di studio può frequentare i corsi di Paul Delaroche all’Accademia delle Belle Arti di Parigi. Tornato a Cherbourg nell’inverno 1840-1841, vi incontra Pauline Virginie Ono, la sposa, con la quale si trasferisce a Parigi. Dopo tre anni rimane vedovo, allora sposa Catherine Lemaire; dai suoi matrimoni avrà nove figli. Nei primi anni quaranta Millet esordisce nella ritrattistica, genere che nella piccola città di Cherbourg, poteva garantirgli delle commissioni. Presto, dai ritratti, seguendo il gusto di allora, il pittore si dedica alle scene pastorali, all’idillio classico e ai nudi femminili, in una “maniera fiorita” come fu definita dai contemporanei. La sua attività giovanile, iniziata nell’ambito del romanticismo, conserva una intonazione lirica che spesso manca agli altri interpreti del realismo. I soggetti dei suoi quadri sono sempre contadini, presentati con accento poetico privo di polemica sociale. Millet fu un lavoratore formidabile: nei suoi cinquantun anni di vita produsse circa cinquecento quadri e tremila tra pastelli, disegni e acquerelli; con Degas è certamente il più grande interprete della tecnica del pastello dell’intero XIX secolo.
La religiosità contadina
Con queste parole Millet descrive la sua opera: “L’Angelus è un quadro che ho fatto pensando a quando, lavorando nei campi, mia nonna non mancava, sentendo suonare la campana, di farci fermare il lavoro per dire L’Angelus per i poveri morti, molto devotamente e col cappello in mano”.
L’Angelus è l’antica preghiera che ricorda l’Annunciazione a Maria, devozione per i contadini sempre molto sentita. La campana è l’altro elemento tipico del mondo rurale. Scriveva Ada Negri: “Un campanile è amico degli uomini, un amico che scandisce i tempi della giornata in ambienti che non potevano permettersi orologi, anche perché avvezzi a regolare il tempo col ciclo delle stagioni, e la luce del sole”. L’Angelus è una preghiera devota, non semplice occasione per farfugliare qualcosa tra i denti e tirare un po’ di fiato. La religiosità contadina è profonda, sentita, ancorata alla terra e Millet non dimentica di accompagnare le parole con un gesto di umiltà con il cappello in mano. Poesia virgiliana e insieme biblica in forma pittorica; il tramonto del sole incendia il cielo all’orizzonte, in primo piano due figure con il capo chino fanno la loro professione di fede umile, il quadro ripropone una categoria mite, che accetta con pazienza e rassegnazione il destino di un duro lavoro. Ovviamente l’opera non poteva non essere accolta con favore dalla critica: nel 1848 era stato pubblicato il Manifesto dei comunisti e la condizione contadina e operaia cominciava a diventare un problema sociale. Secondo lo storico dell’arte Argan questa opera pare aver tradito i temi del realismo pittorico che si andava affermando in quegli anni, per tornare, con le sue paretiche metafore, al naturalismo romantico. L’opera è certamente segnata da un accorato autobiografismo, sentimentale e un po’ patetico: il suo messaggio è proponibile nel nostro tempo?☺

laFonteTV

laFonteTV