convertito da una straniera
1 Ottobre 2010 Share

convertito da una straniera

 

Ci sono episodi, nel Vangelo, che presentano un Gesù che non ci si aspetta, come  quando, preso dalla rabbia, caccia i mercanti dal tempio, oppure quando esprime angoscia prima di morire. Anche nei racconti di miracoli c’è un episodio imbarazzante: quello di una donna straniera che chiede a Gesù la guarigione della figlia ma che si scontra con la sua indifferenza. L’evangelista Matteo, in particolare, sottolinea la durezza della reazione di Gesù: “Una donna cananèa, si mise a gridare: ‘Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio’. Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono implorando: ‘Esaudiscila, vedi come ci grida dietro’.  Ma egli rispose: ‘Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele’. Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: ‘Signore, aiutami!’. Ed egli rispose: ‘Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini’” (Mt 15,22-26). Per chi apparteneva alla cultura giudaica del tempo di Gesù, la situazione è chiara: una donna, per di più straniera, rivolge la parola a un uomo ebreo molto religioso. La prima reazione di Gesù, di non rispondere alla donna, è perfettamente comprensibile perché fa quello che ci si aspetta da un ebreo nella sua posizione. La richiesta dei discepoli di darle retta, poi, non è dettata dall’interesse per il caso umano, ma piuttosto dal fastidio. La risposta di Gesù è da manuale del bravo maestro giudeo: la sua missione è guarire gli appartenenti al popolo, non i pagani (che da molti giudei di quel tempo erano “affettuosamente” chiamati “cani”).

Gesù mostra di essere un figlio del suo tempo, con la testa piena dei pregiudizi dettati dal credere che Dio si preoccupi solo di un popolo eletto, mentre il resto dell’umanità è senza speranza. Se l’incontro con quella donna fosse terminato così, non avremmo neppure un cristianesimo, perché Gesù sarebbe stato semplicemente uno dei tanti predicatori del suo tempo, attenti ad annunciare il giudizio di Dio contro l’umanità e a chiamare alla conversione solo i propri connazionali, la cui salvezza consisteva anche nel tenere lontani gli stranieri, per non esserne contaminati. Ma l’episodio ha un’altra conclusione, che inizia con un’affermazione coraggiosa di quella donna: “‘È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni’. Allora Gesù le replicò: ‘Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri’. E da quell’istante sua figlia fu guarita” (Mt 15,27-28). Se ci fosse stato un pagano di fronte a Gesù, probabilmente avrebbe messo su una discussione su chi fosse migliore tra i due; ma c’era una donna, che non aveva nessun privilegio, non solo di fronte a Gesù, ma neppure di fronte agli uomini del suo popolo: era disprezzata da quello straniero quanto lo era dai suoi connazionali, come capita molto spesso alle donne straniere che incontriamo sulla nostra strada. A lei sta a cuore solo la guarigione della figlia, non ha altre mire; si fa ancora più piccola di fronte a Gesù e fa sua la sprezzante definizione del suo interlocutore, non reagisce con la violenza, ma semplicemente rivendica il diritto alla sua esistenza, comunque gli altri la vogliono etichettare.

Nel silenzio che intercorre tra la frase accorata di quella donna e la risposta meravigliata di Gesù che riconosce in lei una grande fede, nasce il cristianesimo, cioè quel modo di rapportarsi a Dio che implica necessariamente l’accoglienza universale degli uomini, che non sono più nemici ma fratelli. Se Gesù non avesse incontrato quella donna forse sarebbe morto comunque sulla croce, ma come zelante difensore del Dio unico che ha scelto un solo popolo a scapito degli altri. Molti, prima di Gesù e dopo di lui, ferventi difensori della loro religione o della loro ideologia, hanno dato la vita per esse, ma solo Gesù ha consapevolmente dato la vita per tutti, non ha invocato la maledizione sui suoi uccisori, ma il perdono, manifestando pienamente il volto di quel Dio che ama tutti senza distinzione. Se dimentichiamo questa verità di fede, il cristianesimo si riduce, come in effetti spesso si è ridotto, a una gara per accaparrarsi la benevolenza di Dio, non più per appartenenza a un popolo, ma ad una congrega in cui si entra con qualche rito propiziatorio.

È proprio questo cristianesimo da privilegiati che oggi rende ancora possibile giustificare, anche in nome di Cristo, l’esclusione dell’altro perché straniero o perché considerato diverso e quindi inferiore. Non è l’indifferenza religiosa o la concorrenza di altre fedi che mette in  pericolo il cristianesimo, ma l’aver dimenticato, da parte nostra, che esso è nato dalla conversione di Gesù quando ha incontrato quella donna straniera, doppiamente emarginata, comprendendo, grazie a lei, che Dio, per essere veramente tale, deve essere Padre di tutti. Cosicché chi rifiuta anche un solo uomo, rinnega Dio stesso.☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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