corresponsabilità
1 Ottobre 2011 Share

corresponsabilità

 

La visione meccanicistica della natura, la riduzione a leggi e rapporti matematici dei fenomeni del creato ha spianato la strada verso un uso delle scienze che avrebbe visto nel mondo fisico un territorio da dominare e manipolare. La natura, proprio mentre se ne scopre la complessità vitale, subisce un processo opposto di devitalizzazione e meccanizzazione: ridotta a cosa, senza vita, e manipolata nella potenza tecnologica con effetti prevalentemente distruttivi.

La saggezza del principio di precauzione attiene e raccoglie l’atteggiamento più sano e perenne delle culture di ogni tempo e luogo: evitare il pericolo, insegnare a riconoscerne i primi segni rivelatori  perché si sono individuate dinamiche certe di sviluppo di esso (il classico antico esempio del cerino e la paglia). Questo cammino che, fino alla scienze moderne, ha vissuto un processo lentissimo di apprendimento e di accumulo dei saperi si è velocizzato senza rispetto di tempo e spazio, come dicevamo nel precedente articolo. Non mancano i saperi nel senso di conoscenze, manca la saggezza nell’antico significato del “sàpere” latino in cui, con il bagaglio delle conoscenze, si attuano decisioni vivibili, vitali, rispettose di sé, degli altri e del mondo, ovvero si assume un atteggiamento sapiente perché l’operare non umilia nessuno e non turba le relazioni, ad ogni livello interumano e sociale, tra umano e il bios degli animali e della terra, tra gli umani delle diverse generazioni.

Un approccio rispettoso, veritiero, non dannoso e quindi cautelare.

Il principio invocato in un primo momento nell’ambito della protezione dell’ambiente marino ha ricevuto la sua consacrazione mondiale nel Summit per la terra tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, attraverso la seguente formulazione: “al fine di proteggere l’ambiente gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il metodo precauzionale. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per rinviare l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”. Classico esempio di procedimento inverso al suddetto impegno assunto è il continuo rinvio del Protocollo di Kyoto sulle emissioni di gas nell’atmosfera. A Rio viene stilato un programma di Azione detto “Agenda 21” la cui reale applicazione è di là da venire. Viene stipulata la convenzione sulla diversità biologica, mentre si assiste alla continua e progressiva scomparsa di ecosistemi e  distruzione di diversità biologiche.

Nel cammino comunitario dell’ Europa, il principio incontra i primi riconoscimenti negli anni ottanta del secolo scorso tramite sentenze della Corte di Giustizia. In virtù delle modifiche del Trattato di Roma intervenute col Trattato di Maastricht (1993) si assume formale riconoscimento del principio precauzionale nell’ambito della politica comunitaria dell’ambiente, suggerendo un procedimento che si muova sulla combinazione concettuale, giuridica ed etica di due concetti: la sostenibilità della crescita economica (art. 2 del trattato di Roma e di Maastricht) e dall’altra il principio di precauzione come fondativi della politiche comunitarie. Anche qui un risvolto equivoco e ambivalente: la normativa relativa all’immissione nel commercio degli organismi geneticamente modificati (OGM) in quanto tali e dei prodotti (soprattutto alimentari) ottenuti da tali organismi. La normativa si ispira alla versione forte del principio richiedendo, per l’autorizzazione preventiva, l’inversione del principio probatorio: non è più il consumatore che deve denunciare il danno già subito (es. mucca pazza) ma il produttore deve fornire prove scientifiche della innocuità del prodotto; non mancano però eventi i cui danni subìti non fermano l’invasione produttiva e commerciale degli OGM.

Occorre assunzione di  corresponsabilità senza esclusivo appalto a qualcuno (delega).

Dal sovrano illuminato (Re/Signore – sostituito dallo Stato ugualmente sovrano illuminato) alle persone e  popoli (“noi popoli delle nazioni unite”) ai nuovi sovrani politici, economici, finanziari e tecno-industriali si continua a spadroneggiare, “concedere”, senza che i popoli, società, comunità ed, ora, anche gli stessi Stati cosiddetti sovrani, in epoca di globalizzazione selvaggia, abbiano rinascimento reale di diritto, parola e potere sul proprio e comune destino.

Occorre staccarsi da questo umanesimo di potere, modello della modernità, ed assumere, come affermava il Vaticano II un nuovo umanesimo della responsabilità. Nel paragrafo “L'uomo artefice della cultura”  della Gaudium et Spes si legge: “Cresce sempre più il numero degli uomini e delle donne di ogni ceto o nazione, coscienti di essere artefici e attori della cultura della propria comunità. In tutto il mondo si sviluppa sempre più il senso dell'autonomia e della responsabilità, cosa che è di somma importanza per la maturità spirituale e morale della umanità. Ciò appare ancor più chiaramente, se teniamo presente l'unificazione del mondo e il compito che ci si impone di costruire un mondo migliore nella verità e nella giustizia. In tal modo siamo testimoni della nascita d'un nuovo umanesimo in cui l'uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia” (GS n.55). Ma questo paragrafo è preceduto al n. 54 da uno che s’intitola “Nuovi stili di vita” alla cui lettura si rinvia. Nel gioco di questi atteggiamenti che sono personali, spirituali e morali, al di là delle credenze proprie, si gioca il distruggere o custodire noi stessi, il mondo e la storia. Su queste due parallele corre la “situazione della cultura nel mondo odierno” titolo della sezione del documento conciliare del 1965. Eravamo nel secolo scorso; oggi dove siamo? Ognuno è artefice della “cultura” in cui vive!    ☺

 

eoc

eoc