cosa resterà?   di Anonimus
4 Ottobre 2013 Share

cosa resterà? di Anonimus

 

Ora quasi tutto è stato portato a termine a San Giuliano di Puglia: negli spazi pubblici anche gli alberi sono stati piantati con cura e, nelle case private, i vasi di fiori ornano i balconi delle nuove case. Per la festa patronale non c'è più bisogno di posizionare le strutture artificiali per le luminarie: il corso principale è già ornato di suo con due file di alberi “nuovi di zecca” (in garanzia – come è stato spiegato da un amministratore – pronti ad essere sostituiti se non dovessero attecchire correttamente). Ma, ci si potrebbe domandare, perché decidere di estirpare, allora, gli alberi che esistevano precedentemente, alcuni di essi addirittura secolari? Anche per la promessa di istituzione della raccolta differenziata dei rifiuti, già tanto decantata, sembra che ci sia stato un ripensamento, da parte dell’amministrazione comunale: forse perché foriera, nell’immediato, più di dissensi che di apprezzamenti?

Qui dove, oltre dieci anni fa, a causa di un terremoto, morirono, sotto il crollo della scuola elementare, ventisette bambini ed una maestra, la tragicità dell’evento avrebbe richiesto un’opera di ricostruzione attenta e delicata della comunità, “amputata delle proprie gambe” (perché i ventisette bambini rappresentavano le gambe verso il futuro della comunità stessa).

Qui dove, a seguito del processo penale, i familiari dei ventisette bambini sono stati risarciti economicamente e dove, a conclusione di vari processi civili in corso, è forte l’aspettativa per ulteriori risarcimenti. La morte di ventisette bambini, in realtà, ha svegliato, a suo tempo, gli “appetiti” di molte persone, appetiti di vario tipo (economico, sociale, politico). Nella situazione di post-terremoto alcune famiglie vivono, oggi, più agiatamente di prima, ed alcuni appaiono addirittura, aver guadagnato in posizione sociale ma il tutto circoscritto nel perimetro paesano.

Tutto questo è storia: San Giuliano pre- e post- terremoto.

È storia anche il fatto che, a parte qualche piccolissima eccezione, non si è prestata alcuna attenzione a tutte le altre vittime del terremoto, vale a dire a tutti quei bambini che sono sopravvissuti, estratti vivi dalle macerie ma che porteranno per sempre, nella loro vita, i segni indelebili della sofferenza, fisica e psicologica. La comunità, quindi, oltre ad essere stata privata delle gambe dei ventisette bambini, vacilla anche su quelle rimanenti, che dovrebbero rappresentare il futuro. E se qualcuno, nei primi tempi, ha mostrato un sincero interesse, è stato, poi, in qualche modo, costretto a scappar via.

Sono di questi giorni i risultati di uno studio elaborato tra i giovani terremotati dell'Emilia, nel quale sono stati evidenziati i traumi post-terremoto ed i loro effetti. Ne risulta un quadro preoccupante ma, comunque, non irrimediabile, a condizione che vengano presi i giusti provvedimenti e che, ne siamo sicuri, in quel contesto non mancheranno. Qui da noi, invece, iniziative in tal senso non hanno funzionato e, anzi, in alcuni casi, sono state rifiutate. Ciò che l’amministrazione post-terremoto ha privilegiato in modo assoluto è stata la ricostruzione materiale, che avvenisse completamente ed in breve tempo. In realtà tutti sappiamo che, “grazie alla morte dei ventisette bambini”, la ricostruzione ci sarebbe stata sicuramente, in ogni caso, e anche velocemente, data l’ attenzione dell’opinione pubblica. Ma chi ha amministrato è stato invece attento, fin troppo, a far risaltare meriti non propri, sfruttando ogni occasione per apparire in possesso di grandi capacità e trascurando, volutamente, il fatto che chiunque, nella stessa posizione, avrebbe ottenuto gli stessi risultati, forse con tornaconti diversi. Ma il tutto, in ogni caso, grazie unicamente alla "morte dei ventisette bambini".

Invece, proprio le ingenti risorse economiche resesi disponibili a seguito della "morte dei ventisette bambini", se gestite con competenza e responsabilità, avrebbero permesso di mettere le basi per una serie di iniziative per un futuro “più roseo” dell’intera comunità, e non solo per favorire qualche cittadino disponibile a barattare la propria dignità. Un’occasione unica ed irripetibile, ma, purtroppo, mancata. Oggi, come cinquant'anni fa, i giovani sono costretti, per lavorare, ad emigrare all'estero. E se è vero che questo succede anche nel resto d'Italia, qui, a San Giuliano, unica è stata l'occasione, mancata.

Quali, invece, le proposte e le iniziative? Vediamo alcune delle idee più brillanti:

1. Call center. Avrebbe dovuto dare futuro e occupazione ai giovani, ma è già chiuso, dopo un paio d’anni di attività. In questi giorni viaggia la notizia che, forse, verrà riaperto: per quanto tempo, questa volta?

2. L’università. Avrebbe dovuto aprire le porte a centinaia di ragazzi, con corsi universitari unici al mondo: dove sono i corsi? dove i ragazzi?

3. Conversione del Villaggio Temporaneo a centro di ospitalità per i ragazzi di Fukushima. Luogo di soggiorno per un tempo di disintossicazione dalla nube tossica della centrale nucleare danneggiata in Giappone a causa del terremoto/maremoto. Dove sono i ragazzi? Mai visti! Oggi, poi, con gli agglomerati di legno ormai abbandonati al loro destino e diventati oggetto di saccheggio continuo (scomparse le grondaie in rame, vasi e arredi urbani, ecc.)…

In questi giorni, poi, in modo meschino, ci si prende gioco della popolazione, facendo finta di dover ancora riflettere sulla riconversione di tale agglomerato in centro di prima accoglienza, come se non fosse ovvio il fatto che l'unica strada seria percorribile è di realizzare un centro di prima accoglienza direttamente gestito dallo Stato, senza possibilità di scelta su quale tipo di profughi ospitare.

Dopo la morte del padre Paolo, Manfredi Borsellino dichiarò di voler prendere la propria strada indipendentemente dall'evento drammatico che si era trovato a vivere, e di esserne orgoglioso. Mai avrebbe utilizzato questo rapporto di sangue, per “fare carriera” in quanto "figlio di…". L'integrità morale indiscussa del suo papà non avrebbe mai permesso che loro si trasformassero in "familiari superstiti di una vittima di mafia" e che vivessero come "figli, o moglie, di…" e, quindi, realizzati grazie ad una disgrazia e non grazie ai propri meriti.

Questo dovrebbe farci riflettere, a San Giuliano, su chi siamo oggi, cosa facciamo, come viviamo, come vestiamo, cosa mangiamo, che lavoro facciamo o, meglio ancora, se lavoriamo.

E, tutto questo, domandandoci: grazie a chi?

 Anonimus

 

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