Costituzione incompiuta
31 Gennaio 2014 Share

Costituzione incompiuta

“… Molta parte del popolo italiano avrebbe voluto dall’Assemblea Costituente qualcos’altro ancora. … noi sappiamo di avere posto, nella Costituzione, altre parole che impegnano inderogabilmente la Repubblica a non ignorare più quelle attese, ad applicarsi risolutamente all’apprestamento degli strumenti giuridici atti a soddisfarle. La Costituzione postula, senza equivoci, le riforme che il popolo italiano, in composta fiducia, rivendica. Mancare all’impegno sarebbe nello stesso tempo violare la Costituzione e compromettere, forse definitivamente, l’avvenire della Nazione italiana”. (U. Terracini, discorso conclusivo dopo la proclamazione del voto finale).

Articolo 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Durante i lavori dell’Assembla costituente, la discussione di questo articolo si concentrò sull’aggettivo con cui definire i diritti dell’uomo. Fra quelli proposti vi furono: fondamentali, incancellabili, essenziali, eterni, sacri, originari, imprescrittibili, insopprimibili, irrinunciabili, naturali e inviolabili! La scelta cadde su inviolabili poiché l’aggettivo sottintendeva un significato non soltanto giuridico, ma anche storico e filosofico: l’espressione diritti inviolabili stava ad indicare quelli espressamente indicati negli articoli della Carta, nonché quelli naturali e preesistenti alla formazione dello Stato (per esempio, il diritto di vivere, di parlare, di procreare…). Fu deciso, inoltre, di inserire un esplicito richiamo ai doveri inderogabili in quanto – poiché ogni singolo individuo è inserito all’interno di una comunità (il quartiere, la città, lo Stato…) – senza il loro rispetto non sarebbe possibile alcuna convivenza civile.

Il secondo articolo afferma il principio personalista che, come ha stabilito la Corte Costituzionale (167/1999), “pone come fine ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana”. La tutela dei diritti dell’uomo, quindi, rappresenta un tratto essenziale del carattere democratico della Repubblica. La giurisprudenza sembra ormai concordare con l’opinione secondo cui il concetto di inviolabilità non riguarda solamente la protezione dei cittadini dalle illecite intromissioni delle autorità nella loro sfera privata, ma costituisce un invito effettivo affinché le istituzioni si adoperino per soddisfare le esigenze primarie dei singoli individui. L’articolo, inoltre, stabilisce altri due principi di grande importanza: quello pluralista (la tutela dei diritti si estende anche a quelle formazioni sociali – famiglia, scuola, partiti politici, associazioni… – in cui si realizza la personalità dei singoli individui) e quello solidarista (la Costituzione impone ai cittadini il rispetto di una serie di doveri quali, ad esempio, il pagamento delle tasse, ecc…).

Articolo 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

L’Assemblea costituente inserì questo articolo – dal contenuto essenzialmente programmatico – fra i diritti fondamentali convinta che il principio di uguaglianza rappresentasse il cuore della Carta costituzionale e uno dei criteri fondamentali sui quali fondare l’ordinamento giuridico dello Stato italiano. La finalità era quella di affermare con forza e con chiarezza uno degli obiettivi principali della Costituzione: quello, cioè, di eliminare gli ostacoli che fino ad allora avevano impedito  “di fatto” (aggiunta dal dibattito assembleare) a tutti i cittadini di godere di una pari dignità sociale. Si vollero indicare già nel primo comma alcuni impedimenti (diversità di sesso, razza, lingua, religione e opinioni politiche) e inserire l’espressione condizioni personali, che rimarcava la volontà di evitare discriminazioni basate sulle caratteristiche del singolo cittadino (per esempio, si fece riferimento alla cecità; questa non doveva generare discriminazione).

L’art. 3 introduce i principi di uguaglianza formale (pari dignità di fronte alla legge) e di uguaglianza sostanziale (l’ uguaglianza sociale effettiva fra i cittadini). Poiché nella realtà quotidiana esistono fattori di disuguaglianza, l’art. 3 affida alla Repubblica il compito di ridurre le disparità sociali tra i cittadini. In sostanza, per uguaglianza si deve intendere anche l’equa distribuzione dei diritti: devono avere uguale valore per ciascuno a prescindere dalla posizione sociale. Secondo la giurisprudenza più recente, alla luce dei principi costituzionali, l’uguaglianza deve essere intesa non solamente come uguale distribuzione di beni, ma anche come uguale possibilità di acquisirli. Nel corso degli anni, inoltre, si è andata affermando un’interpretazione dell’ art. 3 secondo cui la pari dignità della persona va intesa come un principio che impedisce qualsiasi forma di discriminazione.

“L’Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui essa lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. E noi stessi, onorevoli deputati, colleghi cari e fedeli di lunghe e degne fatiche, conclusa la nostra maggiore opera, dopo avere fatta la legge, diveniamone i più fedeli e rigidi servitori. (Approvazioni). Cittadini fra i cittadini, sia pure per breve tempo, traduciamo nelle nostre azioni, le maggiori e le più modeste, quegli ideali che, interpretando il voto delle larghe masse popolari e lavoratrici, abbiamo voluto incidere nella legge fondamentale della Repubblica. Con voi m’inchino reverente alla memoria di quelli che, cadendo nella lotta contro il fascismo e contro i tedeschi, pagarono per tutto il popolo italiano il tragico e generoso prezzo di sangue per la nostra libertà e per la nostra indipendenza; con voi inneggio ai tempi nuovi cui, col nostro voto, abbiamo aperto la strada per un loro legittimo affermarsi». (U. Terracini, discorso citato)

Stravolgere la costituzione per lasciare mano libera ai potentati economico-politico-finanziari, oppure obbligarci a compierla come tutela dei diritti riconosciuti, promozione di quelli che le mutate condizioni personali richiedono, rimuovendo gli ostacoli che si frappongono? La consapevolezza e l’intento dei costituenti sono chiari e con prospettiva promettente e impegnata rispetto al futuro. Ma noi, eredi, cosa abbiamo nel cuore? Siamo in mezzo al guado: compiere ”l’incompiuta” – come la definì Calamandrei nella commemorazione del decennale – o stravolgerla? Il popolo italiano “cui essa lo affida (il patto di amicizia e fraternità) se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore”. ☺

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