cultura e verità
30 Giugno 2010 Share

cultura e verità

 

“La neve è bianca”

se e solo se la neve è bianca.

(Alfred Tarsky)

Nel passaggio da Castiglione al Della Sala analizzato nella scorsa puntata, c’è tutta la mutazione dall’intellettuale genuinamente cortigiano alla figura di intellettuale interamente “organico” all’istituzione di cui fa parte e i cui valori (e normative) vuole propagandare.

Culmine di questa parabola è – a mio avviso – la poco nota figura di Torquato Accetto, segretario dei duchi Carafa, che, nel 1641, pubblica un breve trattato intitolato Della dissimulazione onesta. L’autore, riflettendo sui conformismi e sull’ipocrisia della sua società (la dominazione spagnola a Napoli), arriva a concludere che la dissimulazione intesa – nelle parole di Claudio Magris – come velo sulla verità per proteggerla da fraintendimenti e deformazioni in modo tale da consentirne la maniera più opportuna (relativamente alla circostanze) di manifestarsi, non è qualcosa di disdicevole per l’uomo onesto, anzi, proprio perché l’uomo onesto è intimamente prudente (virtù eminentemente politica), dev’essere una delle sue prerogative. Accetto, sulla base della sua esperienza di intellettuale al servizio dei duchi, è ben consapevole dello svilimento della sua professione in un’ottica di totale asservimento al potere: la sua unica àncora di “salvezza” sono i segreti di cui è a conoscenza e solo la maniera in cui riuscirà a rivestirli di “presentabilità”, rendendoli spendibili, gli potrà garantire un’esistenza tranquilla e dignitosa. Al fondo vi è la convinzione che l’esistenza – ancora Magris – sia milizia contro la malizia e che, come insegna il Vangelo, sia necessario essere “astuti come serpenti e candidi come le colombe”: non a caso uno dei motti della diplomazia (Walter Russell Mead), l’incarico che Accetto deteneva.

Al termine di questo excursus storico ritengo sia possibile trarre alcune conclusioni a proposito della figura dell’intellettuale. Nel suo lavoro di produzione e diffusione di cultura, di idee e di valori, nel suo compito ideazionale, l’intellettuale instaura un rapporto con la verità. Questo rapporto è tale da configurarsi in maniera mediativa: l’intellettuale si frappone tra questa verità e il pubblico cui la vuole consegnare, determinando mappature simboliche tra l’una e l’altro. La verità, quindi, si vela (e l’intellettuale la ri-vela), in modo tale che, oltre ad avere un suo contenuto (o sostanza), da cui deriva poi il suo valore di verità, appunto, ha anche una sua forma appropriata e tarata sulle circostanze e sui destinatari.

 Come già aveva notato Alcibiade nel Simposio platonico (poi ripreso da Erasmo e Bruno), spesso il vero è simile alle statue dei Sileni, brutte nell’aspetto esteriore, ma contenenti splendidi tesori. Questa asimmetria estetica della verità sta a simboleggiare il rapporto non biunivoco, ma dialettico tra la sua forma e il suo contenuto: per comunicare una verità, bisogna darle una sua specifica forma (mai definitiva, né onnivalente), le cui potenzialità determinano le possibilità di diffusione della stessa. Il talento dell’intellettuale sta proprio in questo: riuscire a trovare la forma “ideale” adatta per comunicare e diffondere cultura e verità. Lo strumento che egli adopera è, così, la parola, sia in forma scritta che, più “primigeniamente”, orale.

 La parola, a sua volta, va considerata nella sua duplice dinamica di parola parlata – significante cristallizzato in significato tradizionale e consuetudinario – e di parola parlante – parola considerata nella sua originale e originaria espressività, quando l’atto prende forma, ancor prima che significato. La parola è poi sempre situata sia in una “situazione esistenziale” ben precisa che in una soggettività concreta che la proferisce: una soggettività che, in quanto situata, è inscritta a sua volta in un campo di forze e potenzialità intenzionali determinate dalla modalità di esistenza, ma che, in quanto soggettività, è essa stessa nodo e hub delle relazioni intenzionali apertesi nella situazione esistenziale. Ciascuno di questi elementi (verità, forma – parola, pubblico di riferimento) vive dinamicamente in costante funzione degli altri e, qualora ciò non avvenisse, ci si troverebbe, come il pedante bruniano, vittime di uno scollamento schizofrenico fra parole e cose in una (penosa) deriva logologica. ☺

edoardo.lamedica@gmail.com

 

 

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