cuore batti-cuore
30 Maggio 2011 Share

cuore batti-cuore

 

Nel 1874, De Amicis si lascia andare ad una severissima autocritica, che sembra preannunciare con singolare lucidità molti dei difetti tradizionalmente imputati alla sua opera più famosa: “Un manzonismo annacquato, senza coraggiose affermazioni; […] un tirar sempre al cuore a tradimento, quando si dovrebbe tirare alla testa”. Interessante  soprattutto questa contrapposizione tra cuore e testa: il primo luogo degli affetti più facili e immediati, contrapposto ad una razionalità rigorosa e impegnata a comprendere e interagire in modo responsabile con il mondo. Eppure, singolarmente, dodici anni dopo queste dichiarazioni tanto severe, sarà proprio su questa medesima contrapposizione che De Amicis costruirà Cuore, e fin dal titolo si evince chiaramente quale delle due parti prenda il sopravvento. E non si può certo dire che il successo di Cuore fosse un risultato inaspettato: giornalista esperto, accorto conoscitore dei meccanismi sottesi alla realtà sociale del suo tempo, De Amicis era del tutto consapevole della funzione che il suo libro avrebbe avuto.

L’autore sa che, a venticinque anni dalla nascita del Regno d’Italia (il romanzo di De Amicis risale infatti al 1886), un’impresa di unificazione nazionale attraverso un’opera letteraria, con la ricerca di un linguaggio accessibile a tutti e di un sistema di valori comune, facilmente assimilabile ma nello stesso tempo in grado di farsi carico di quella carica ideale necessaria al costituirsi di una nuova nazione, sarebbe stata un’operazione vincente.

Un’operazione che, con il suo esito straordinariamente positivo, potrebbe essere paragonata al ruolo avuto dalla televisione nell’Italia del secondo dopoguerra.

Ma al di là dello sviluppo narrativo (un romanzo sotto forma di diario, interrotto da lettere dei genitori o delle sorelle, nove racconti dettati dal maestro mensilmente ad edificazione della scolaresca),  tutto vive  in superficie, i piccoli protagonisti rimangono statici e perennemente uguali a se stessi, al ruolo particolare che a ciascuno di essi è stato affidato. Enrico, quieto eroe della medietas borghese; Garrone, incarnazione della bontà semplice e sincera del popolo; Franti, il reietto, il peccatore, che solo l’altrui generosità potrà salvare; si muovono in un teatrino di piccoli modelli di vita, incarnano l’ideologia e i valori della borghesia umbertina. È facile sottolineare i limiti e le ingenuità ideologiche che segnano quest’opera: come si è visto, lo stesso De Amicis ne era consapevole e, d’altronde, egli diede prova altrove di ben altre doti letterarie: si pensi ai suoi numerosi reportage di viaggi, o a uno scritto come Sull’oceano (1899), forte denuncia delle terribili condizioni di vita degli emigranti, che testimonia chiaramente le convinzioni socialiste maturate dallo scrittore. A ben guardare, anche il registro patetico sentimentale adottato in Cuore nasceva dalla volontà di agire sulla realtà, di cambiarla in meglio: anche se l’assunto di partenza era che il popolo semplice poteva lavorare solo di sentimento, e non di intelletto. Come Perboni alla sua scolaresca il primo giorno di scuola, così pure De Amicis pareva esortare i lettori: “Mostratemi che siete ragazzi di cuore”.

 Quindi, parlare male di Cuore di Edmondo De Amicis è fin troppo facile: alcuni esempi?

La scuola 28, venerdì

Sì, caro Enrico, lo studio ti è duro, come ti dice tua madre, non ti vedo ancora andare alla scuola con quell'animo risoluto e con quel viso ridente, ch'io vorrei. Tu fai ancora il restìo. Ma senti: pensa un po' che misera, spregevole cosa sarebbe la tua giornata se tu non andassi a scuola! A mani giunte, a capo a una settimana, domanderesti di ritornarci, roso dalla noia e dalla vergogna, stomacato dei tuoi trastulli e della tua esistenza. Tutti, tutti studiano.

La piccola vedetta lombarda. Racconto mensile 26, sabato

Dare la vita per il proprio paese, come il ragazzo lombardo, è una grande virtù, ma tu non trascurare le virtù piccole, figliuolo. Questa mattina, camminando davanti a me quando tornavamo dalla scuola, passasti accanto a una povera, che teneva fra le ginocchia un bambino stentato e smorto, e che ti domandò l'elemosina. Tu la guardasti e non le desti nulla, e pure ci avevi dei soldi in tasca. Senti, figliuolo. Non abituarti a passare indifferente davanti alla miseria che tende la mano, e tanto meno davanti a una madre che chiede un soldo per il suo bambino. Pensa che forse quel bambino aveva fame! pensa allo strazio di quella povera donna.

Il piccolo scrivano fiorentino. Racconto mensile. Gratitudine 31, sabato

Il tuo compagno Stardi non si lamenta mai del suo maestro, ne son certo. – Il maestro era di malumore, era impaziente; – tu lo dici in tono di risentimento. Pensa un po' quante volte fai degli atti d'impazienza tu, e con chi? con tuo padre e con tua madre, coi quali la tua impazienza è un delitto. Ha ben ragione il tuo maestro di essere qualche volta impaziente!

E se ci tornasse qualche dubbio sull’opera- zione de amicisiana e sulla fin troppo nota rivalsa di “diario minimo” di Eco con il suo elogio sui “franti” darei da regista innamorata del neo realismo rosselliniano (e non solo) tre fotogrammi: 1) da “Roma città aperta” dove Anna Magnani viene uccisa davanti al figlio; 2) da “ladri di biciclette” di De Sica dove il bambino salva il padre maltrattato dopo il furto della bicicletta; e soprattutto 3) da Germania anno zero dove il volto drammatico, reale e quasi snaturato del piccolo protagonista che dell’angoscia vera, senza cuore in mano, prima di compiere il tragico volo, si guarda intorno con sperduto male di vivere.

Vi prego parliamo ricordandoci delle lezioni di questi maestri, di quei bambini di ieri che anche oggi si sporgono ai davanzali delle nostre menti senza stereotipi di sorta, con un male di vivere che ci impone non la melassa a tradimento del libro Cuore che ci ha fatto piangere e sentire colpevoli ma la contrattazione cuore-testa che il libro Cuore non ha. ☺

 ninive@aliceposta.it

 

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