“Ave Teresa, donna senza frontiere, fisica erotica isterica epilettica, che ti fai verbo, che ti fai carne, che ti sfai in te fuori di te…”. Le parole di questa preghiera che sostituisce a Maria la carmelitana Teresa, la guerriera d'Avila, scaturiscono sorprendentemente, dalla penna di Julia Kristeva, atea convinta, semiologa, psicanalista, intellettuale, romanziera, bulgaro-francese-europea: fu maoista o per lo meno questo di lei si disse nel '74 quando con il marito Philippe Sollers, con Barthes e alcuni altri compagni di strada, – quando insomma tutti insieme, politicamente impegnati nell'ottica della sovversione rivoluzionaria mirata al linguaggio e alla società, partirono per la Cina. In seguito, delusi dall'esperienza, avrebbero negato (non rinnegato la tentazione cinese), e invece riaffermato la sovversione, che si sarebbe ampiamente riversata in un'esperienza assai più pregnante: un duro lavoro sul piano della ricerca teorica e della pratica psicanalitica, dopo avere seguito i seminari di Lacan.
Tenendo soprattutto presente la lezione di Scoto, anche del femminismo Julia Kristeva denuncia alcuni sbagli. Dopo la trilogia su Colette, Melanie Klein, Hanna Harendt, sostiene con una giornalista che anche il femminismo deve tenere conto della singolarità, altrimenti rischia di degenerare in un altro totalitarismo. Ecco perché, più che parlare delle donne in generale, ha preferito ricordare il genio di alcune grandi personalità, genio che nasce da una singolarità capace sempre di superarsi.
“In loro non v'è nulla dell'eccezionalità del genio romantico. Eppure, di fronte alle difficoltà della loro esistenza, hanno saputo dare il meglio di se stesse, superandosi e fecondando felicemente la cultura del XX secolo. Sono l'illustrazione perfetta del genio femminile”.
E qui ci si chiede: da dove mai spunta fuori non già l'interesse della studiosa, e neppure la curiosità clinica della terapeuta, bensì esplicitamente la passione profonda e totale di Julia per Teresa? Il libro (Teresa, mon amour. L’estasi come un romanzo, Donzelli editore, 2008), di quasi 800 pagine si presenta con l'etichetta del romanzo, s'intitola senza equivoci Thérèse mon amour. Protagonista ne è Sylvia Bataille, psicanalista di mestiere, chiaro alter ego dell'autrice, che, come l'autrice, cade in un tempestoso trasporto per la santa.
Sylvia cura pazienti travolti dai più vari e drammatici mali d'amore – carenze affettive di ordine intimo, sessuale, sociale o politico – e parallelamente scopre una donna che al di là dei secoli le rivela attraverso i suoi scritti la forma d'amore più forte di tutte, quello per Dio dentro di sé: in altre parole, la fede vissuta come autoterapia. In copertina c'è la statua di Santa Teresa del Bernini, la donna trafitta dal dardo dell'angelo in evidente stato di orgasmo totale. È il primo indizio: la stessa copertina figura sul Seminario di Lacan, che tratta del godimento femminile, in particolare di quest'ultimo visto nei suoi rapporti con il Grande Altro. L'unica immagine che Julia Kristeva avesse della santa, prima.
Quando sei anni fa un editore le chiese di scrivere un libro su uno dei grandi maestri della spiritualità occidentale e lei si vide rifiutata la proposta di Anna Comnena, quell'immagine le riaffiorò alla memoria. Ma, primo ostacolo: poteva parlarle una donna tanto lontana e tanto diversa? Ci sono voluti questi sei anni, dal 2002 al mese scorso, per maturare e poi compiere la «svolta». Certo, poteva parlarle perché Santa Teresa è moderna, se non addirittura postmoderna, nel suo approccio al problema del religioso. Leggendone gli scritti, Kristeva ha scoperto una donna capace di interiorizzare la sua fede, di farne una questione profondamente intima, e allo stesso tempo globalmente sensuale. Isterica, aveva detto Freud. Termine scientificamente corretto. Ma in grado di elaborare il suo disturbo attraverso il linguaggio, e di arrivare con il racconto della propria esperienza a sublimare il possesso dell'Amato inglobandolo in sé, e godendone in ogni parte del corpo. Una soluzione, insomma, che portò Santa Teresa a produrre un'opera letteraria di estremo interesse e contemporaneamente ad assumere un ruolo politico nella Chiesa del tempo. Così come la Santa aveva avuto bisogno dell'immaginazione – esta fictión dice nel testo – per raggiungere il suo scopo, allo stesso modo Kristeva si è trovata costretta alla forma «romanzo» per trasmettere a noi il senso di quell'esperienza.
“Davvero mi domando se sono io Teresa, che parlo, il cammino è sofferenza. Nulla di Tutto, questo tutto è niente, fate quel che è in voi, ma con allegria siate felici, figlie mie… un neonato o se preferite una neonata attaccata al seno dell’Altro, matrimonio mistico o matrimonio spirituale…soprattutto nei monasteri Dio ci ama giocose figlie mie, credetemi, Gesù amava le donne, sì scaccomatto ai dottori, anche a Dio si, sì, Teresa… alla fine non sento più niente… si defluisce non si fa che godere, gli animi che amano vedono gli atomi, ma sì per un’anima come la mia tutto è sì, essa vede fino agli atomi infiniti che sono atomi d’amore, i filosofi neppure lo sospettano, diventano letterati. Temono le vostre sensazioni, i migliori diventano matematici… ma sì metafore trasmutate in metamorfosi, a meno che non avvenga il contrario, ma sì,Teresa, sì, sorella mia, invisibile estatica, eccentrica, fuori di te in te, fuori di me in me,Teresa amore mio, sì” (pag.71). ☺
ninive@alicepost
“Ave Teresa, donna senza frontiere, fisica erotica isterica epilettica, che ti fai verbo, che ti fai carne, che ti sfai in te fuori di te…”. Le parole di questa preghiera che sostituisce a Maria la carmelitana Teresa, la guerriera d'Avila, scaturiscono sorprendentemente, dalla penna di Julia Kristeva, atea convinta, semiologa, psicanalista, intellettuale, romanziera, bulgaro-francese-europea: fu maoista o per lo meno questo di lei si disse nel '74 quando con il marito Philippe Sollers, con Barthes e alcuni altri compagni di strada, – quando insomma tutti insieme, politicamente impegnati nell'ottica della sovversione rivoluzionaria mirata al linguaggio e alla società, partirono per la Cina. In seguito, delusi dall'esperienza, avrebbero negato (non rinnegato la tentazione cinese), e invece riaffermato la sovversione, che si sarebbe ampiamente riversata in un'esperienza assai più pregnante: un duro lavoro sul piano della ricerca teorica e della pratica psicanalitica, dopo avere seguito i seminari di Lacan.
Tenendo soprattutto presente la lezione di Scoto, anche del femminismo Julia Kristeva denuncia alcuni sbagli. Dopo la trilogia su Colette, Melanie Klein, Hanna Harendt, sostiene con una giornalista che anche il femminismo deve tenere conto della singolarità, altrimenti rischia di degenerare in un altro totalitarismo. Ecco perché, più che parlare delle donne in generale, ha preferito ricordare il genio di alcune grandi personalità, genio che nasce da una singolarità capace sempre di superarsi.
“In loro non v'è nulla dell'eccezionalità del genio romantico. Eppure, di fronte alle difficoltà della loro esistenza, hanno saputo dare il meglio di se stesse, superandosi e fecondando felicemente la cultura del XX secolo. Sono l'illustrazione perfetta del genio femminile”.
E qui ci si chiede: da dove mai spunta fuori non già l'interesse della studiosa, e neppure la curiosità clinica della terapeuta, bensì esplicitamente la passione profonda e totale di Julia per Teresa? Il libro (Teresa, mon amour. L’estasi come un romanzo, Donzelli editore, 2008), di quasi 800 pagine si presenta con l'etichetta del romanzo, s'intitola senza equivoci Thérèse mon amour. Protagonista ne è Sylvia Bataille, psicanalista di mestiere, chiaro alter ego dell'autrice, che, come l'autrice, cade in un tempestoso trasporto per la santa.
Sylvia cura pazienti travolti dai più vari e drammatici mali d'amore – carenze affettive di ordine intimo, sessuale, sociale o politico – e parallelamente scopre una donna che al di là dei secoli le rivela attraverso i suoi scritti la forma d'amore più forte di tutte, quello per Dio dentro di sé: in altre parole, la fede vissuta come autoterapia. In copertina c'è la statua di Santa Teresa del Bernini, la donna trafitta dal dardo dell'angelo in evidente stato di orgasmo totale. È il primo indizio: la stessa copertina figura sul Seminario di Lacan, che tratta del godimento femminile, in particolare di quest'ultimo visto nei suoi rapporti con il Grande Altro. L'unica immagine che Julia Kristeva avesse della santa, prima.
Quando sei anni fa un editore le chiese di scrivere un libro su uno dei grandi maestri della spiritualità occidentale e lei si vide rifiutata la proposta di Anna Comnena, quell'immagine le riaffiorò alla memoria. Ma, primo ostacolo: poteva parlarle una donna tanto lontana e tanto diversa? Ci sono voluti questi sei anni, dal 2002 al mese scorso, per maturare e poi compiere la «svolta». Certo, poteva parlarle perché Santa Teresa è moderna, se non addirittura postmoderna, nel suo approccio al problema del religioso. Leggendone gli scritti, Kristeva ha scoperto una donna capace di interiorizzare la sua fede, di farne una questione profondamente intima, e allo stesso tempo globalmente sensuale. Isterica, aveva detto Freud. Termine scientificamente corretto. Ma in grado di elaborare il suo disturbo attraverso il linguaggio, e di arrivare con il racconto della propria esperienza a sublimare il possesso dell'Amato inglobandolo in sé, e godendone in ogni parte del corpo. Una soluzione, insomma, che portò Santa Teresa a produrre un'opera letteraria di estremo interesse e contemporaneamente ad assumere un ruolo politico nella Chiesa del tempo. Così come la Santa aveva avuto bisogno dell'immaginazione – esta fictión dice nel testo – per raggiungere il suo scopo, allo stesso modo Kristeva si è trovata costretta alla forma «romanzo» per trasmettere a noi il senso di quell'esperienza.
“Davvero mi domando se sono io Teresa, che parlo, il cammino è sofferenza. Nulla di Tutto, questo tutto è niente, fate quel che è in voi, ma con allegria siate felici, figlie mie… un neonato o se preferite una neonata attaccata al seno dell’Altro, matrimonio mistico o matrimonio spirituale…soprattutto nei monasteri Dio ci ama giocose figlie mie, credetemi, Gesù amava le donne, sì scaccomatto ai dottori, anche a Dio si, sì, Teresa… alla fine non sento più niente… si defluisce non si fa che godere, gli animi che amano vedono gli atomi, ma sì per un’anima come la mia tutto è sì, essa vede fino agli atomi infiniti che sono atomi d’amore, i filosofi neppure lo sospettano, diventano letterati. Temono le vostre sensazioni, i migliori diventano matematici… ma sì metafore trasmutate in metamorfosi, a meno che non avvenga il contrario, ma sì,Teresa, sì, sorella mia, invisibile estatica, eccentrica, fuori di te in te, fuori di me in me,Teresa amore mio, sì” (pag.71). ☺
“Ave Teresa, donna senza frontiere, fisica erotica isterica epilettica, che ti fai verbo, che ti fai carne, che ti sfai in te fuori di te…”. Le parole di questa preghiera che sostituisce a Maria la carmelitana Teresa, la guerriera d'Avila, scaturiscono sorprendentemente, dalla penna di Julia Kristeva, atea convinta, semiologa, psicanalista, intellettuale, romanziera, bulgaro-francese-europea: fu maoista o per lo meno questo di lei si disse nel '74 quando con il marito Philippe Sollers, con Barthes e alcuni altri compagni di strada, – quando insomma tutti insieme, politicamente impegnati nell'ottica della sovversione rivoluzionaria mirata al linguaggio e alla società, partirono per la Cina. In seguito, delusi dall'esperienza, avrebbero negato (non rinnegato la tentazione cinese), e invece riaffermato la sovversione, che si sarebbe ampiamente riversata in un'esperienza assai più pregnante: un duro lavoro sul piano della ricerca teorica e della pratica psicanalitica, dopo avere seguito i seminari di Lacan.
Tenendo soprattutto presente la lezione di Scoto, anche del femminismo Julia Kristeva denuncia alcuni sbagli. Dopo la trilogia su Colette, Melanie Klein, Hanna Harendt, sostiene con una giornalista che anche il femminismo deve tenere conto della singolarità, altrimenti rischia di degenerare in un altro totalitarismo. Ecco perché, più che parlare delle donne in generale, ha preferito ricordare il genio di alcune grandi personalità, genio che nasce da una singolarità capace sempre di superarsi.
“In loro non v'è nulla dell'eccezionalità del genio romantico. Eppure, di fronte alle difficoltà della loro esistenza, hanno saputo dare il meglio di se stesse, superandosi e fecondando felicemente la cultura del XX secolo. Sono l'illustrazione perfetta del genio femminile”.
E qui ci si chiede: da dove mai spunta fuori non già l'interesse della studiosa, e neppure la curiosità clinica della terapeuta, bensì esplicitamente la passione profonda e totale di Julia per Teresa? Il libro (Teresa, mon amour. L’estasi come un romanzo, Donzelli editore, 2008), di quasi 800 pagine si presenta con l'etichetta del romanzo, s'intitola senza equivoci Thérèse mon amour. Protagonista ne è Sylvia Bataille, psicanalista di mestiere, chiaro alter ego dell'autrice, che, come l'autrice, cade in un tempestoso trasporto per la santa.
Sylvia cura pazienti travolti dai più vari e drammatici mali d'amore – carenze affettive di ordine intimo, sessuale, sociale o politico – e parallelamente scopre una donna che al di là dei secoli le rivela attraverso i suoi scritti la forma d'amore più forte di tutte, quello per Dio dentro di sé: in altre parole, la fede vissuta come autoterapia. In copertina c'è la statua di Santa Teresa del Bernini, la donna trafitta dal dardo dell'angelo in evidente stato di orgasmo totale. È il primo indizio: la stessa copertina figura sul Seminario di Lacan, che tratta del godimento femminile, in particolare di quest'ultimo visto nei suoi rapporti con il Grande Altro. L'unica immagine che Julia Kristeva avesse della santa, prima.
Quando sei anni fa un editore le chiese di scrivere un libro su uno dei grandi maestri della spiritualità occidentale e lei si vide rifiutata la proposta di Anna Comnena, quell'immagine le riaffiorò alla memoria. Ma, primo ostacolo: poteva parlarle una donna tanto lontana e tanto diversa? Ci sono voluti questi sei anni, dal 2002 al mese scorso, per maturare e poi compiere la «svolta». Certo, poteva parlarle perché Santa Teresa è moderna, se non addirittura postmoderna, nel suo approccio al problema del religioso. Leggendone gli scritti, Kristeva ha scoperto una donna capace di interiorizzare la sua fede, di farne una questione profondamente intima, e allo stesso tempo globalmente sensuale. Isterica, aveva detto Freud. Termine scientificamente corretto. Ma in grado di elaborare il suo disturbo attraverso il linguaggio, e di arrivare con il racconto della propria esperienza a sublimare il possesso dell'Amato inglobandolo in sé, e godendone in ogni parte del corpo. Una soluzione, insomma, che portò Santa Teresa a produrre un'opera letteraria di estremo interesse e contemporaneamente ad assumere un ruolo politico nella Chiesa del tempo. Così come la Santa aveva avuto bisogno dell'immaginazione – esta fictión dice nel testo – per raggiungere il suo scopo, allo stesso modo Kristeva si è trovata costretta alla forma «romanzo» per trasmettere a noi il senso di quell'esperienza.
“Davvero mi domando se sono io Teresa, che parlo, il cammino è sofferenza. Nulla di Tutto, questo tutto è niente, fate quel che è in voi, ma con allegria siate felici, figlie mie… un neonato o se preferite una neonata attaccata al seno dell’Altro, matrimonio mistico o matrimonio spirituale…soprattutto nei monasteri Dio ci ama giocose figlie mie, credetemi, Gesù amava le donne, sì scaccomatto ai dottori, anche a Dio si, sì, Teresa… alla fine non sento più niente… si defluisce non si fa che godere, gli animi che amano vedono gli atomi, ma sì per un’anima come la mia tutto è sì, essa vede fino agli atomi infiniti che sono atomi d’amore, i filosofi neppure lo sospettano, diventano letterati. Temono le vostre sensazioni, i migliori diventano matematici… ma sì metafore trasmutate in metamorfosi, a meno che non avvenga il contrario, ma sì,Teresa, sì, sorella mia, invisibile estatica, eccentrica, fuori di te in te, fuori di me in me,Teresa amore mio, sì” (pag.71). ☺
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