Dalla val susa a termoli
20 Febbraio 2020
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Dalla val susa a termoli

L’arresto di Nicoletta Dosio, ultimo atto dell’indecenza dello Stato in Italia, ci obbliga a riflettere sul limite lecito nella difesa dei diritti; torniamo allora ancora una volta alla forza delle parole: “limite” viene dal latino limes, sentiero che fa da confine.  I Romani dissero limiti le pietre che segnavano i confini, che era delitto rimuovere, in quanto sacre e protette da divinità speciali denominate appunto Limiti.

Andare oltre il confine era dunque delitto; e per Nicoletta lo è stato. Ma il suo delitto sanzionato da una giustizia ingiusta è stato commesso proprio per difendere un confine: quello del suo territorio militarizzato e violentato in nome di un profitto senza etica. Fin dove può arrivare, dunque, la difesa dei propri confini, intesi come limiti sacri dei beni comuni, e oggi soprattutto del territorio che si abita, del diritto a non vederlo solo in termini di profitto e a decidere del suo futuro?

La predazione del suolo è da tempo scelta prioritaria di affaristi, palazzinari e teorici dello “sviluppo”: che siano grandi opere “strategiche” come Tav, Tap e trivelle varie, o più rozzamente lottizzazioni e “riqualificazioni” urbane. L’urbanistica, che nasce come costruzione collettiva per eccellenza, strumento principe della costruzione di comunità, si è trasformata in finanza di progetto ed edilizia contrattata.

Con leggi scellerate come lo Sblocca Italia, il Piano Casa e appunto quella che ha introdotto la finanza di progetto, speculatori e multinazionali hanno potuto agire indisturbati sul territorio, vaneggiando oltretutto di crescita, benefici occupazionali e supremo interesse strategico del paese. In questo le vicende grandi, come quella della lotta No Tav, e quelle piccole, le cementificazioni locali, sono uguali; e pongono appunto la questione del diritto ad opporsi.

“Territorio” viene dal latino territorium, possessore e agente della terra; l’identificazione tra chi abita la terra e chi ha diritti sopra di essa è dunque chiarissimo. Appare evidente che tutto ciò che non è violenza diventa lecito per difendere questo archetipico bene comune.

Come ha fatto e sta facendo Nicoletta, possiamo e dobbiamo aver cura dei luoghi che ci sono stati affidati, difenderne e preservarne la bellezza. Possiamo e dobbiamo con le nostre azioni costruire una narrazione diversa da quella dominante: leggere la nostra realtà con occhi che non siano quelli che oggi legittimano il profitto privato sempre e comunque, dimenticando allegramente l’art. 41 della Costituzione (“L ’iniziativa economica privata…non può svolgersi in contrasto con la pubblica utilità”).

Di attacchi al territorio a Termoli e in Molise ne sappiamo purtroppo molto: basti dire che la Regione non si è ancora dotata di una legge urbanistica, e che il Piano Casa adottato da noi consente abomini anche nei centri storici. La vicenda del tunnel è diventata poi narrazione esemplare della ormai quotidiana trasformazione dei Comuni in maldestre imprese finanziarie, incapaci di rifiutare l’abbraccio mortale del privato e di ritrovare il proprio ruolo di tutela del pubblico.

Se la finanza di progetto viene giustificata con il mantra del “non abbiamo soldi, il privato funziona meglio”, l’iniziativa privata che consuma suolo fino a cancellarlo viene osannata come segno di attivismo imprenditoriale e “sviluppo” del territorio. È per questo che la scelta del consumo di suolo zero è una dichiarazione chiara, come la lotta di Nicoletta, di guerra al sistema neoliberista tout court. E qui ritorna il ruolo dell’urbanistica come antidoto alla privatizzazione dello spazio pubblico e motore di riconversione ecologica del modo di vivere e di produrre.

L’ultimo assalto in vista a Termoli è quello alla bellissima zona di Rio Vivo denominata Punta di Pizzo: ancora una volta si prospetta la distruzione di un’area rimasta incontaminata in nome del solito “sviluppo turistico”. Ma nemmeno nel caso di un progetto che coinvolga proprietà privata, come in questo caso, la regolarità dei permessi, il profitto o il numero dei posti di lavoro possono essere gli unici metri di giudizio. Quando un Comune approva una lottizzazione non ci si può limitare a dire semplicisticamente che se le carte sono a posto non si possono negare i permessi: esiste anche il diritto della comunità alla bellezza, a godere di paesaggi non invasi dal cemento, e il dovere di programmare insieme ai cittadini il futuro volto globale del territorio.

Tornando alla domanda iniziale, fino a quale limite spingersi per difendere i diritti, credo che la risposta sia nella condivisione di un percorso di opposizione basato sulla consapevolezza che il territorio, organismo vivente, bene di tutti, può essere governato e trasformato, tenendo però presente il risultato finale: quello di spazio aperto, pubblico, includente e per tutti accogliente, che non veda distrutti i suoi tratti identitari per il profitto di pochi.

E poi basta rileggere una bellissima canzone di Bennato per capire che dobbiamo andare dritti fino al mattino, essere portatori di visioni e speranze usando la nostra capacità di sollevare conflitti costruttivi per allargare i diritti e realizzare qualcosa che ancora non c’è (l’isola di Bennato), ma che è sicuramente da pazzi non cercare.

“Seconda stella a destra, questo è il cammino

E poi dritto fino al mattino

Non ti puoi sbagliare, perché

Quella è l’isola che non c’è

E ti prendono in giro se continui a cercarla

Ma non darti per vinto, perché

Chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle

Forse è ancora più pazzo di te” (Edoardo Bennato).☺

 

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