Dario il combattente
5 Luglio 2014 Share

Dario il combattente

Nell’ultimo numero de la fonte ho promesso di parlare di Dario, il combattente, il rivoluzionario. Ho cercato su Youtube le canzoni di Mikis Theodorakis, il musicista e compositore greco che Dario ed io ammiravamo. Per lui, Theodorakis era anche il compagno di sofferenze, il compagno di prigione e di torture.

Dario non ha mai raccontato della sua prigione in Brasile, delle torture sofferte, e neanche della sua attività come combattente contro la dittatura brasiliana. Le cose che so su quella fase della sua vita, le so perché ho parlato, dopo la sua morte, con i suoi compagni di lotta.

Nei 25 anni di lavoro di traduttrice ed interprete di spagnolo, ho conosciuto molti combattenti latinoamericani da Cuba, Nicaragua, El Salvador, Guatemala, Argentina o Uruguay. Molti di loro avevano conosciuto la tortura e la prigione, e parecchi sentivano il bisogno di parlare di quello che avevano vissuto. Dario  invece non raccontava nulla, non  parlava mai di se stesso, parlava sempre degli altri, di quelli che soffrivano in qualsiasi parte del mondo.

Da giovane Dario avrebbe voluto andare missionario in Africa o in America Latina, ma dopo una negativa esperienza ad un campeggio estivo si allontanò dalla chiesa e si unì ai giovani delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare che lottavano contro il sistema capitalistico in Italia. Quando i militari brasiliani, nel 1964, eliminarono con un colpo di stato il governo democraticamente eletto, Dario, che era di madre brasiliana, si recò in brasile dove ottenne l’incarico di  responsabile della stampa clandestina del partito comunista. Dormiva sotto le macchine della tipografia, e di notte andava con altri compagni ad incollare manifesti vicino alle fabbriche ed alle scuole. Fu arrestato, torturato per qualche tempo, recluso in un posto sconosciuto, – un desaparecido! Rimpatriato tentò varie strade per ritornare in Brasile. Nella Parigi del maggio 1968, una pietra gli ruppe il naso, e mentre i compagni partivano per Cuba, Dario era costretto a curarsi nel ospedale. Di quei compagni partiti per Cuba, nessuno è sopravissuto, e Dario trovò il modo di ritornare in America Latina, nel Cile di Salvador Allende. A Santiago, insieme ad altri compagni brasiliani, fabbricò passaporti falsi per permettere ad altri compagni di ritornare clandestinamente in Brasile. Aveva optato per un altro metodo di lotta, ri-organizzare gli operai in sindacati che difendessero gli interessi dei lavoratori, e nella periferia di San Paolo cominciò a lavorare fra i metalmeccanici  – compito che anni dopo sarebbe stato portato a termine da Lula!

Dopo la “caduta” della dittatura brasiliana, molti compagni di Dario esiliati tornarono in patria. Alla proposta del  partito comunista brasiliano di ricoprire un incarico la sua risposta fu negativa: non poteva immaginare una vita nel governo, in un’istituzione, in un organismo del partito… Fece richiesta di essere mandato in Africa, in Angola o Mozambico, per alfabetizzare i combattenti per l’indipendenza. La richiesta fu respinta, nuovamente a causa delle sue condizioni fisiche.

Ernesto “Che” Guevara ha detto una volta, che un rivoluzionario è quello che, quando in qualsiasi parte del mondo regna l’ingiustizia, sente forte il bisogno di andare in quel paese per combattere l’ingiustizia. È in questo senso che Dario è stato un vero rivoluzionario. Ed anche nel senso che è stato capace di chiedersi costantemente se un metodo di lotta scelto in un determinato momento era valido per sempre, o se si doveva cambiare metodo, facendo anche autocritica.

Che altro posso dire? La convivenza di ogni giorno con un rivoluzionario non è tanto diversa da altre convivenze, tranne il fatto che Dario, per esempio, non aveva nessun bisogno. Mangiava il minimo necessario, non beveva, non fumava, non amava le feste. Amava discutere di quello che succedeva nel mondo, ma diventò sempre meno tollerante con i dirigenti dei partiti comunisti o dei paesi socialisti. Credo che l’unico dirigente che si salvava ai suoi occhi fu Ho Chi Minh. E l’unica cosa che lo commuoveva visibilmente era la musica di Mikis Theodorakis.

Ho rivisto, su Youtube, un concerto di Theodorakis del 1974. C’è una canzone con testo di Pablo Neruda, “America insurrecta”. Ascoltando questa canzone, mi vengono le lacrime, e penso che, se ci sono persone nel mondo che scaricano su Youtube questa musica, che la valorizzano questa musica e cercano di farla conoscere ad altri, in particolare ai giovani, il sacrificio di nessun rivoluzionario di ieri è stato vano.☺

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