debtocracy        di Antonio De Lellis
28 Febbraio 2012 Share

debtocracy di Antonio De Lellis

 

Ciò che sta accadendo in Grecia e nei paesi dell’Est Europa appartenenti all’Unione è qualcosa che ci fa inorridire, ma che può anche lasciarci semplici spettatori: “tanto noi non siamo la Grecia”! Sembra come quando si giudica dall’esterno una famiglia dove c’è un tossico o qualcuno con problemi o forme di disagio. Ci consoliamo dicendo: “tanto noi non siamo come loro”.

 È una brutta situazione quella greca e mai così difficile. La Chiesa greca ha terminato le scorte di viveri e generi di prima necessità da offrire agli indigenti, sempre più in aumento. Ma è questa la pace economica? Un’austerità senza crescita, anzi con perdite di posti di lavoro e povertà in drastico e drammatico aumento! Ma cosa sta accadendo? All’ inizio del  2012 l'agenzia Fitch dà per certo il default della Grecia e la Germania, paese maggiormente esposto verso il debito greco, si vede respingere la proposta di trasferire la sovranità nazionale del paese ellenico a Bruxelles. In febbraio la crisi si accentua ed il default sembra concretizzarsi in quanto non si trovano subito accordi tra i partiti politici del paese per attuare nuovi tagli alla spesa pubblica che garantirebbero un aiuto economico di 130 miliardi di euro da parte della troika, necessari per rimborsare i bond in scadenza a marzo per quasi 15 miliardi di euro; in quel periodo si discusse di tagliare altri 15.000 dipendenti pubblici. Il 12 Febbraio 2012 il parlamento greco vota un ennesimo piano di austerity per incassare un aiuto di 130 miliardi di euro da parte della troika; dopo l' approvazione sono subito scattate le proteste del popolo greco in piazza Syntagma, si è arrivati ad una vera e propria guerriglia contro la polizia e si è anche dato fuoco a edifici tra cui banche e negozi.  Secondo il popolo greco che scende in piazza il debito pubblico greco non va pagato perché contratto contro gli interessi dei cittadini. E di conseguenza i diktat draconiani del Fmi e della Bce vanno rispediti al mittente senza troppi ringraziamenti.

Ma c’è dell’altro. Siccome una crisi mondiale non è mai un acquazzone imprevedibile, chi ne ha volutamente sottaciuto la portata può a buon conto essere considerato il più grande criminale della storia. E non solo perché la crisi l’ha di fatto arricchito, ma anche perché una tale mistificazione della realtà potrebbe avere ripercussioni apocalittiche. E allora chi sono i mandanti e gli esecutori della crisi globale? E a chi vogliono farla pagare? E perché chi l’aveva prevista non è stato ascoltato?

La crisi greca, e non solo, nasce molto tempo prima. Per capirlo dobbiamo tornare un po’ indietro nel tempo! Nel 1975 i paesi dell’occidente, per rispondere alla crisi energetica dei paesi arabi, adottarono la strategia di liberalizzazione dei capitali, beni e servizi (economia di mercato). In questo modo l’egemonia economica mondiale dell’occidente avrebbe costretto tutti gli altri a tornare verso politiche funzionali allo sviluppo, ovviamente, occidentale. L’imperialismo che si è affermato con la globalizzazione attuale sulla spinta della liberalizzazione dei mercati mondiali è basato su un patto implicito tra il grande capitale dei paesi avanzati ed il grande capitale dei paesi emergenti, in (in particolare i BRIC= Brasile, Russia, India, Cina). Questi ultimi hanno ottenuto l’apertura dei ricchi mercati dei paesi avanzati per la penetrazione delle proprie merci. I primi hanno ottenuto accordi  che proteggono i diritti di proprietà sull’attività intellettuale. Così i paesi emergenti hanno potuto sfruttare il vantaggio assoluto che hanno sul costo del lavoro (precarizzazione). Producono beni di consumo di massa con tecnologia importata, e li esportano nei paesi più sviluppati facendo una concorrenza spietata alle loro imprese, meno dinamiche. Il capitale dei paesi avanzati trae un doppio beneficio dalla globalizzazione: può sfruttare il monopolio sull’attività intellettuale per ridistribuire reddito dal Sud al Nord del mondo; può sfruttare la concorrenza sul mercato del lavoro per ridistribuire reddito dai salari ai profitti attraverso la riduzione dei diritti sindacali e quindi dei salari rispetto al costo della vita, creando utili da distribuire e traslando questa ricchezza verso gli azionisti. La liberalizzazione del commercio mondiale contribuisce a mettere in ginocchio i movimenti operai nei paesi avanzati. Infatti la concorrenza più spietata la subiscono soprattutto i lavoratori. I prodotti standardizzati importati a basso prezzo spiazzano molte imprese locali che non godono di vantaggi monopolistici, costringendole a ridurre l’attività e a licenziare i lavoratori. La semplice concorrenza commerciale fa dunque diminuire la domanda di lavoro nei paesi avanzati. Inoltre molte imprese tendono a reagire alla concorrenza delocalizzando gli investimenti verso i paesi a più basso costo del lavoro.

Ciò comporta un rallentamento degli investimenti interni nei paesi sviluppati. Ne deriva un’ulteriore spinta alla riduzione della domanda di lavoro. Infine c’è la concorrenza diretta dei lavoratori immigrati, l’emigrazione dai paesi del Sud è spinta dalla crescita demografica e dai processi di destrutturazione delle culture e delle economie tradizionali attivati dalla penetrazione capitalistica. Così nei paesi avanzati o in via di sviluppo si verifica un aumento dell’offerta di lavoro proprio mentre la domanda rallenta. Come conseguenza di tutto ciò le condizioni di lavoro e i salari peggiorano nei paesi avanzati, e anche i consumi di massa ristagnano. Così, rallentando sia gli investimenti che i consumi, le economie dei paesi avanzati tenderebbero alla depressione. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, per finanziare le successive guerre, si espande il deficit e come risposta si estende ulteriormente la spinta alla crescita drogata del PIL, necessaria per aumentare le entrate e colmare il deficit di bilancio da spese militari, sempre attraverso un forsennato consumo da indebitamento privato che alimenta una bolla che scoppierà nel 2008. Questa sì è propagata rapidamente in tutti i paesi avanzati. Sostanzialmente gli Stati Uniti, con il loro ruolo di locomotiva economica, banchiere e sceriffo del mondo, hanno causato la più grande crisi finanziaria ed economica che ci sta conducendo alla 3° guerra mondiale. Una guerra prettamente economica e finanziaria, ma che si alimenta di vecchi e nuovi conflitti o guerre locali permanenti che hanno come obiettivo quello di consentire all’imperialismo statunitense di sfondare in mercati recalcitranti ad una sfrenata liberalizzazione in stampo occidentale che ancora una volta avrà bisogno di spese militari, quindi di incrementi del PIL ormai difficili con una desindacalizzazione (causata anche da un sindacato che non ha valorizzato il suo ruolo internazionale) che riduce sempre più i diritti, il reddito e la spesa familiare necessaria ad una vita dignitosa ed essenziale.

Come uscirne? Debtocracy, un documentario sulla crisi e la situazione greca, uscito a novembre del 2011, ci prova proponendo di non pagare il debito, ma è su questo punto che il documentario alimenta dubbi e dibattiti. Perché il concetto di “debito odioso” è di difficile applicazione. È considerato “odioso” quel debito contratto all’insaputa e contro i cittadini, che il diritto internazionale prevede possa non essere mai pagato. Si vorrebbe applicare questa misura al caso greco, come è capitato all’Iraq post Saddam e all’Ecuador con Correa (che dopo aver cacciato l’Fmi ha istituito una commissione e provato l’illegittimità del debito).

Come far passare questa misura? Sappiamo che il Diritto internazionale si basa su un pacta sunt servanda i cui organi repressivi sono gli stati più forti. Infatti il debito odioso è sempre stato applicato quando faceva comodo a loro. E poi questo creerebbe un precedente, tanto che un giorno le nuove generazioni potrebbero rifiutarsi di pagare il debito contratto a loro insaputa da nonni spendaccioni. Come fare, dunque, per far pagare la crisi a chi ne ha beneficiato senza mandare in frantumi il mondo? Qualunque sarà la soluzione spero che questa passi attraverso un’Autorità Pubblica e Partecipata Mondiale (come ipotizzato nella recente Nota della Consiglio Pontificio Justitia et Pax, sulla riforma del sistema finanziario e monetario mondiale) purché eletta democraticamente e rappresentativa della società civile universale che abbia al centro il Bene Comune dei Popoli e dell’unica famiglia umana. Percorso lungo ed impegnativo che spero ci veda, come minoranza profetica, tra i fondatori di un nuovo cammino per una nuova ed autentica umanità ispirata ad una Pace duratura, estesa e giusta.☺

adelellis@virgilio.it

 

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