demetra
21 Marzo 2010 Share

demetra

 

Questa volta vi racconto di Demetra, la dea “dalle mani piene di spighe e di papaveri”, forza fecondatrice della natura, dea della vita, capace di assicurare il perpetuarsi dell’esistenza: la madre.

Culture e culture si sono susseguite dalla preistoria sino ad oggi, ma l’idea di maternità, di ventre che accoglie, rimane una di quelle idee comuni senza la quale l’umanità non avrebbe potuto né pensare né vivere.

Non si può intendere infatti che cos’è l’uomo finché non si chiariscono le ragioni di una sessualità doppia. Non si può capire il mondo, né dare un nome ad ogni singola realtà di esso.

L’idea dei due sessi ha talmente affascinato i Greci che già i Pitagorici proposero tavole a doppia colonna, che distinguendo le cose secondo una dualità di forme, ammettevano due categorie interpretative del reale: maschile/secco; femmi- nile/umido; maschile/caldo; femminile/freddo.

Prima di riconoscere il femminile l’uomo viveva sì, ma solo fino alla morte. Dopo di lui, niente. Con la donna al fianco può far sì che la morte non rappresenti più una scomparsa totale. Prima poteva nascondere nella terra il seme del grano, perché potesse germogliare, proteggere sotto la cenere il fuoco affinché non si spegnesse mai, ora può fecondare un ventre per generare uno simile a lui. I Greci vogliono credere che sia così: lo crede Esiodo, lo crede Aristotele quando pensa alla donna come ad una cera su cui il seme dell’uomo si imprime a dare forma.

Il nome antichissimo di Demetra era Dà per Ga, Gea. De-meter o Da-mater significò “terra madre”. I Latini la identificarono con la dea italica Cerere; per gli Egizi era Iside, per i Fenici Astarte, Cibele per i popoli della Frigia. Dea protettrice della fertilità, diventa nell’immaginario il simbolo della coesistenza dei contrari, l’unità dell’uomo con il cosmo, della vita con il vivente, del tutto rispetto alle parti. La dea accoglie del femminile anche l’ambiguità: spazio cavo spalancato all’accoglimento della vita ma anche della morte; terra che riceve il seme, giara, otre, ma anche urna cineraria, sarcofago, tomba.

Demetra era particolarmente venerata nella città di Atene, dove si svolgevano in suo onore solenni cerimonie riservate esclusivamente alle donne, che si rivolgevano alla dea per ottenere da lei la fertilità. Numerose sono le fonti al riguardo.

Nell’area che oggi corrisponde alla cittadina di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), colonia della Magna Grecia particolarmente ricca di scambi mercantili e culturali nel IV secolo a. C., sono venute alla luce nel 1845 grandi statue in tufo databili dal VI al III secolo prima di Cristo.

Raffigurano donne sedute in trono, con uno o più neonati tra le braccia: le Matres Matutae (Madri dell’aurora). Secondo la ricostruzione archeologica esse erano disposte in cerchio all’interno di una vasta area destinata a santuario e a necropoli; una statuaria marginale, rivolta a soggetti deboli, come le donne e i contadini. A queste dee, il cui volto inespressivo mai si rivolge verso la creatura tenuta in grembo, lo sguardo fisso e lontano, la bocca serrata, si recavano le donne per chiedere fertilità e salute. Espressione di un mondo in cui la filiazione umana era solo biologica per cui ai nati non solo non erano riconosciuti diritti, ma era riservato un dominio che non conosceva eguali poiché, diversamente dallo schiavo dinanzi al padrone, dal prigioniero in balia del suo carceriere, il neonato non poteva neppure pensarsi separato dalla madre. La difficile contrapposizione tra energia e materia, contenuto e contenitore, io e altro, trovavano in questo corpo di madre la prima difficile sintesi, quella che la poetessa Gabriella Golzio esprime così:

mater materia misura forma

formula madre magra di dio

dedita lucera lamina fera

avida pavida ruvida giara

foemina trepida rapida piena

lacrima lumen: luce leggera. ☺

annama.mastropietro@tiscali.it

 

eoc

eoc