democrazia partecipata   di Neòi
29 Settembre 2012 Share

democrazia partecipata di Neòi

 

Non è semplice condividere la definizione di “decrescita felice”, perché la decrescita oggi è l’immagine più cruda della crisi sistemica nella quale si è cacciato il capitalismo occidentale, aggressivo, antidemocratico e prospetticamente anche suicida. La “decrescita” per noi è “infelice”, perché essa registra la sofferenza economica e sociale di quanti vedono non solo il lavoro ma anche la propria vita ridotta a estrema precarietà. Il segno evidente di tale rovina sono le condizioni di vita divenute estremamente precarie per le classi sociali che fino a poco tempo fa erano considerate la middle class, ossia la classe borghese che, appunto, per colpa di tale recessione sta in realtà scomparendo. La decrescita vuole indicare le prospettive che l’economia contadina – agro-pastorale – e quella fondata sulla valorizzazione del paesaggio e del turismo possono riacquistare in quanto basate sul principio dell’autosufficienza e dell’effettiva valorizzazione del territorio. In questo modo supponiamo che trovi un rigido ostacolo il principio dell’utilizzazione illogica e sine die dei beni  che sono in natura e che l’uomo – il capitalismo cioè – presume di utilizzare in aeternum.

Dunque, se “decrescita” è essere costretti a fare una scelta di vita – agra e misera – differente da quello che si pensa(va), allora essa è apertamente antidemocratica, anzi esprime l’attacco più violento alla democrazia. A causa della crisi e delle dolorose misure anti-repressive, così come le sta proponendo il governo delle banche con Monti presidente, il popolo rischia di accettare tutto quello che gli si dice e gli si propone e così la democrazia partecipata va rovinosamente rotolando nelle sabbie mobili di un’acquiescenza supina (la teoria della Shock economy lo sta insegnando molto bene, purtroppo!).

Nello stesso momento, però, proprio a causa della crisi economica determinata e accresciuta dalle banche, l’opinione pubblica, italiana e internazionale, riconosce le condizioni di vita insostenibili nelle quali essa si trova, suo malgrado, e così è sollecitata a riflettere su questo tipo di capitalismo, la cui unica preoccupazione è quella di sfruttare  tutte le risorse del nostro pianeta. Poi, anche alla luce del grave problema dello smaltimento dei rifiuti, per esempio, l’opinione pubblica sta convincendosi che più si produce, più si consuma e più si inquina perché non siamo in condizione di smaltire quanto, in quantità abnorme, noi produciamo. Ecco allora che la scelta della decrescita trae origine da una differente visione relativa allo sfruttamento delle risorse energetiche del pianeta, che prima o poi finiranno.

Inoltre, la filosofia della decrescita suggerisce che la società civile – il popolo – e con essa lo Stato tornino ad essere i veri sovrani del proprio debito pubblico, riacquistando dignitosa autonomia di decisione e, di conseguenza, dandosi differenti forme di partecipazione al fine di fare politica in modo nuovo, mettendo al centro degli obiettivi del “fare politica” i cosiddetti “beni comuni”.

Ma a cosa, invece, abbiamo assistito in questi ultimi anni?

Abbiamo assistito, già a partire dal 2007/08, ad una spietata applicazione del cerimoniale della “punizione” richiesta dalla Germania e cioè al congelamento delle pensioni, all’allungamento dell’età pensionabile (come se la salute che accompagna gli adulti a raggiungere, magari, anche 90 anni e passa sia una iattura o una calamità naturale!), alla riduzione dei fondi per la prevenzione della povertà e dell’esclusione sociale, alla riforma del lavoro (abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e parto di un mostro quale la nuova legge sul lavoro voluta dal governo Monti e dai suoi fedeli sostenitori in Parlamento, Pdl, Pd, Fli). Questo è in estrema sintesi il quadro complessivo nel quale ci muoviamo e nel quale definiamo il senso concettuale e le finalità politiche della cosiddetta “decrescita”.

Ma la “decrescita” è anche la volontà di settori della società civile di dare una risposta da sinistra, quindi anticapitalistica, antiliberistica, ai furori della crisi.

Tale risposta implica la ricerca e l’applicazione di un tenore di vita dignitoso, fondato prevalentemente  sul soddisfacimento delle esigenze  di ciascuno, un tenore di vita  che sia come il risultato di un modello “altro” di sviluppo, sostanziato, appunto, dall’esigenza di rispettare l’habitat, il paesaggio, il territorio e la sua naturale economia (turismo, agricoltura e filiera corta, rivisitazione degli antichi mestieri artigianali, abbandono delle grandi città, tornare ad abitare gli antichi borghi, puntare sull’inclusione degli immigrati, considerandoli come un “valore aggiunto”).

Ecco, quindi, per noi chiaro il significato di “decrescita”: da un lato essa è l’impoverimento di amplissime fasce sociali, da un altro è la volontà di allontanarsi da sinistra dalla concezione di uno sviluppo, fondato sulla utilizzazione delle risorse del pianeta che invece sono limitate e che noi non possiamo sperperare, togliendole alle future generazioni.

Concretizzare questo programma (ritorno alle “mitiche” tradizioni di vita sobria e di economia dello “scambio”) impone di rinunciare ai mega-progetti che sono sul tappeto governativo che dalla guerra vanno alle grandi opere e da queste ad una concezione della politica, abissalmente lontana, da quella che per molti di noi è intesa come “servizio”, come impegno, momentaneamente distolto dalle normali abitudinarie attività professionali, limitato nel tempo ma sempre a favore della collettività. È questo un passaggio obbligato anche per noi nel (del) Molise, dove c’è assoluto bisogno di una nuova classe dirigente, più giovane e sicuramente non collusa con il vecchio corrotto potere ex democristiano e oggi berlusconiano…

Ma vediamoli insieme questi passaggi… ☺

Neòi

 

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