di poesia si muore  di Loredana Alberti
4 Luglio 2013 Share

di poesia si muore di Loredana Alberti

 

La maggiore associazione di scrittrici e letterate, in Afghanistan, si chiama Mirman Baheer ed è la versione contemporanea dell’associazione Ago d’Oro dell’ epoca talebana in cui le donne di Herat, fingendo di cucire, si riunivano per discutere di letteratura. A Kabul, l’associazione odierna non ha bisogno di nascondersi: ne fanno parte insegnanti universitarie, parlamentari, giornaliste, intellettuali che hanno una vita pubblica e le facce scoperte. Ma per le restanti 300 socie delle province Mirman Baheer funziona come una setta segreta. Al telefono dell’associazione c’è sempre una donna, Ogai Amail, che aspetta in orari concordati le loro chiamate: le socie le recitano le poesie che non è loro permesso creare e la volontaria, anch’ella poeta, le trascrive verso dopo verso.

Zarmina (che firmava le sue poesie con lo pseudonimo “Rahila”) viveva a Gereshk, a circa 600 chilometri da Kabul. Si mise in contatto con il gruppo dopo aver ascoltato alcune sue socie recitare poesie alla radio. A Zarmina, adolescente, non era permesso uscire di casa. La radio era il suo solo tramite per il mondo esterno e le telefonate doveva farle di nascosto. “Era giovanissima, ma il suo lavoro era già impressionante per ricercatezza, originalità e coraggio”, ricorda Ogai Amail, “e la sua urgenza di creare era assoluta. Ad esempio, non sopportava i ritardi o le dilazioni nei nostri colloqui telefonici e a volte mi rimproverava con un landai di questo tipo: Io sto gridando ma tu non rispondi. / Un giorno mi cercherai ed io me ne sarò andata da questo mondo.”

Due anni orsono, Zarmina stava leggendo al telefono le sue poesie d’amore quando la cognata la sorprese. “Quanti amanti hai?”, le chiese sprezzante. L’intera famiglia sposò questa tesi. Dall’altra parte del filo doveva esserci sicuramente un giovanotto. I fratelli si produssero in un regolare pestaggio della ragazza e fecero a pezzi tutti i suoi quaderni di poesie. Due settimane più tardi, Zarmina si diede fuoco e morì all’ospedale di Kandahar dopo sette lunghi giorni d’agonia. Non aveva che 17 anni.

Nadia Anjuman, artista afgana, morì nel 2005 del brutale pestaggio di suo marito. Aveva 25 anni. Le sue “colpe” erano l’aver pubblicato le sue poesie ed essere diventata famosa in ragione di ciò.

In Afghanistan si può morire di errori umanitari, di armi intelligentissime, di matrimonio, di parto, di religione, di etnia, di papaveri da oppio, persino di scuola. La scelta è così vasta, ma soprattutto è orribile che si muoia di poesia.

Il Landays è una forma di poesia brevissima adottata dalle donne afgane come protesta contro le vessazioni del maschio. Un Landay ha solo alcune proprietà formali. Ognuno ha ventidue sillabe: nove il primo verso, tredici nel secondo. Il poema si conclude con il suono "ma" o "na". A volte è in rima, ma più spesso no. In Pashto, hanno cadenza interna come in una sorta di ninna nanna che però contrasta con l'acutezza del loro contenuto, che si distingue non solo per la sua bellezza, licenziosità, e arguzia, ma anche per la capacità penetrante di articolare un comune verità sulla guerra, la separazione, la patria, il dolore, o l'amore.

Landai significa “piccolo serpente velenoso” in lingua Pashto: si tratta di poesie popolari, composte da due versi, che perdono la loro origine non appena vengono recitate. Un landai non appartiene neppure a chi lo crea, le persone dicono di “ripeterlo” o di “condividerlo” anche quando è nato nella loro mente. Gli uomini possono inventare e recitare queste poesie che però, quasi esclusivamente, hanno per voce narrante una donna. “I landai appartengono alle donne”, dice Safia Siqqidi, poeta ed ex parlamentare afgana, “Nel nostro paese, la poesia è il movimento delle donne dall’interno”. La poesia pashtun ha una lunga storia come forma di ribellione delle donne afgane. E i landai sono di solito micidiali proprio come il morso di un serpente velenoso: diretti, sboccati, concreti, arrabbiati, sensuali, buffi, tragici, vanno diritti al cuore della questione che affrontano. I matrimoni imposti, odiati e derisi tramite dettagli grafici, sono un bersaglio frequente di questo tipo di poesia. Durante le due settimane trascorse fra il pestaggio e il suicidio, Zarmina non disse ad Amail quanto era disperata. Le recitò però un altro landai: O giorno del giudizio, dirò a voce alta / Vengo dal mondo con il cuore pieno di speranza. “Stupida, le risposi, non dire così. Sei troppo giovane per morire”, ricorda ancora Ogai Amail, “Zarmina è solo la più recente delle poete-martiri afgane. Ce ne sono centinaia come lei. Tutte le giovani artiste che ci chiamano al telefono sono in una posizione molto pericolosa. Sono tenute dietro alte mura, sotto lo stretto controllo degli uomini. Io sono la nuova Rahila, mi ha detto di recente una di loro, Registra la mia voce, così quando verrò uccisa ti resterà qualcosa di me”. Amail l’ha ovviamente rimproverata, ma pensa che sarebbe bello avere un registratore, averlo avuto quando Zarmina-Rahila recitava le sue poesie ed ora poterla riascoltare. La nuova Rahila ha scelto come pseudonimo Meena Muska (Sorriso d’Amore, in Pashto). Non sa quanti anni ha, perché è una femmina e nessuno si è preso la briga di registrare la sua data di nascita. Se le chiedete la sua età (dovrebbe avere circa 17 anni) lei vi risponderà poeticamente: Sono un tulipano nel deserto. Muoio prima di sbocciare, e le onde della brezza del deserto soffiano via i miei petali.☺

ninive@aliceposta.it

 

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