Dibattito sulla scuola
13 Aprile 2015 Share

Dibattito sulla scuola

L’articolo, scritto nel marzo 1998 a ridosso del ddl del ministro Luigi Berlinguer è stato pubblicato su un quotidiano molisano. Lo ripropongo quale personale partecipazione al dibattito che in questi ultimi mesi la prof.ssa Gabriella de Lisio ha avviato sulle pagine de la fonte con un’analisi chiara della “reductio in vincla” nella quale la scuola pubblica italiana sta scivolando irrimediabilmente.

Stop al finanziamento delle scuole private.

La prima domenica di marzo (1998) per le vie di Roma c’è stata una nutrita e rumorosa manifestazione del mondo della scuola, professori, ATA, studenti, che hanno espresso la propria ostilità alle linee progettuali del ministro P.I. Luigi Berlinguer, che con il suo ddl del 18 luglio 1997 ha in effetti aperto la strada al finanziamento delle scuole private.

Il ddl di Berlinguer è noto con il titolo “Disposizioni per il diritto allo studio, per l’espansione, la diversificazione e l’integrazione dell’offerta formativa nel sistema pubblico dell’istruzione e della formazione” e sotto un titolo così lungo nasconde le intenzioni reali di affrettare l’applicazione di un sistema integrato pubblico-privato che non solo in questo modo raggiri l’art.33 della Costituzione, ma anche introduca in Italia una tipologia di scuola americana fondata sul principio liberistico della concorrenza fra una scuola pubblica ed una privata, e su quello molto pericoloso della differenziazione reddituale, etnica, ideologica delle istituzioni scolastiche. Si darebbe così alle scuole private, confessionali o laiche che siano, la possibilità di inserirsi nel sistema pubblico della formazione  grazie al fatto che il progetto educativo e le finalità pedagogiche di una scuola privata potrebbero rientrare nell’ambito del processo educativo delle scuole statali.

Ciò è grave perché  cospicui finanziamenti pubblici sarebbero dirottati dall’area statale al settore privato attraverso la richiesta di finanziamento pubblico che la scuola privata avanzerebbe, allineandosi alle istanze di educazione standard nazionale, al Ministero della Pubblica Istruzione e attraverso la rivendicazione di defiscalizzazione delle rette mensili. Nei giorni scorsi in commissione P.I. del Senato il vicepresidente, sen. Biscardi, rappresentante dell’Ulivo per il Molise, ha espresso l’ostilità di un’ampia area di docenti al ddl di Berlinguer, e quindi il sostegno e la preservazione della scuola pubblica.

La linea dell’autonomia, didattica e forse economica, così come è concepita con il criterio basilare dell’azienda, vedrebbe una riduzione verticale della partecipazione dei docenti alla vita interna dell’istituto, e quindi un impoverimento della democrazia nelle scuole di ogni ordine e grado. Infatti, la eventuale e probabile scelta dei collaboratori del preside fatta dal preside stesso, il controllo ragionieristico da parte del manager-preside dei docenti attraverso la “fedeltà” alle linee programmatiche della scuola-azienda sono elementi che potrebbero presagire non solo una riduzione degli spazi di democrazia , ma anche un elemento molto pericoloso di “imprigionamento” dell’insegnante. Questi, in effetti, si vedrebbe sbalzato a 25 anni fa quando era costretto al giuramento di fedeltà allo Stato, giuramento, peraltro, eliminato in virtù delle lotte sindacali degli anni Settanta. Se tale giuramento fosse riesumato, determinerebbe nuovamente uno status di sudditanza del lavoratore rispetto al datore di lavoro – in questo caso rispetto allo stato datore di lavoro collettivo. Per adesso, stando al ddl di Berlinguer del luglio 97, tale sudditanza sembrerebbe riguardare i docenti delle scuole private, ma ci vuole poco a capire in quanto breve tempo siffatta impostazione di rapporto di lavoro  dipendente possa “insinuarsi” nellestrutture delle scuole statali.

Il preside manager, gli spazi di democrazia ridotti dal processo autonomistico aziendalistico, il limitato e modesto dinamismo del collegio dei docenti, il rigonfiamento della cultura del salario accessorio, la riduzione a zero degli aumenti salariali universalisticamente attribuibili a tutti, gli scarsi investimenti, la ridotta democrazia per opera di leggi riduttive delle libertà sindacali, tutto questo ed altro ancora (…) ribadiscono il difficile momento del  settore scolastico in Italia.

Ma cosa significherebbe lo status di obbedienza ai progetti educativi di un istituto, pur privato che sia (prima o poi tale situazione si riverserebbe anche nel settore pubblico dell’istruzione) da parte del docente?

Tale condizione avrebbe il significato di tenere “sotto regime” un lavoratore dipendente, il quale non solo avrebbe l’obbligo di fare gli interessi della scuola – azienda – presso la quale lavora, ma “sub specie” vivrebbe, per la prima volta dall’età dello Statuto dei Lavoratori, la coercizione della propria personalità e del proprio ruolo di lavoratore dipendente legato alla ditta azienda-scuola privata-pubblica. Non solo il diritto allo studio ma anche la stessa centralità dell’istruzione rischierebbero di esulare dagli obiettivi primari ed inderogabili di una comunità nazionale.

Questa non è un’analisi visionaria e fatalistica, ma è la consapevolezza  dell’emarginazione del ceto intellettuale, la cui magistrale professionalità non interessa più alla controparte ministeriale abbagliata dal modello scolastico americano e anche dalle dottrine economiche del liberismo galoppante. Ai professori non viene richiesta più una doviziosa e pertinente preparazione culturale, ma una elementare conoscenza para-professionale dei nuovi strumenti tele-informatici.

Vada (pure) per le magnifiche sorti e progressive!☺

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