Dicembre
4 Maggio 2017
La Fonte (351 articles)
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Dicembre

L’inafferrabile fiato di nebbia, l’aria di un impercettibile odore di foglie marcite, il baluginio di un lampione che si specchia in una pozzanghera mi danno una sensazione di malinconia, di rimpianto, di lentezza che mi fa sentire parte sommessa, crepuscolare della realtà, della natura sonnolenta, delle giornate brevi e buie che precipitano verso il solstizio d’inverno. Eppure tutto ciò porta con sé un’eco antica che affida ai sensi prima ancora che al cuore, canti di memoria e nostalgia che sanno di nonne, di natale, di infanzia, di disimparate felicità.

Il natale, mito dove si danno convegno le attese, i sogni e tutti i giorni del calendario dei bambini, è anche per gli adulti conchiglia luminosa che racchiude i ricordi più teneri.

I natali della fanciullezza si assomigliano tutti, i miei però li considero speciali perché era mio padre a costruire con le sue mani di artista i pupazzetti del presepe e ad allestirlo.

All’inizio di dicembre mi portava con sé alla “pinciara” a prendere la creta che copriva con un panno bagnato per mantenerla umida e poterla modellare. Aiutato da alcuni ragazzi che teneva a bottega, la nostra grande cucina dalla volta a botte, diventava un laboratorio artigianale. Io mi divertivo a indovinare che personaggio sarebbe uscito dalle figure appena abbozzate che presto diventavano pastori, pecore, galline, lavandaie, bambinelli… Le statuine venivano cotte al forno del paese per far sì che la creta essiccata si trasformasse in terracotta e fosse più resistente. Da ultimo si dipingevano con tinte preparate con terre colorate e colla. La mia casa in quei giorni era molto movimentata, visitata da donne e bambini che venivano a comprare i pupazzetti del presepe per pochi soldi… Muschio, pietre, sassolini, scatole di cartone… erano i tasselli di un mosaico fatto di monti, torrenti, casette e castelli; nell’ineguagliabile scenario, ogni personaggio trovava la sua giusta ambientazione: la lavandaia vicino al fiumicello, il vinaio presso la locanda, il pastore con le pecore sui monti, le guardie con le lance a vigilare il castello…

Nitide come foto ben riuscite mi tornano in mente scene della mia casa nel periodo festivo: il ciocco nel camino schioccava faville che si rincorrevano per il fondo nero di fuliggine; le bucce di arance e mandarini messe a seccare sulla mensola spandevano attorno il loro aroma solare, mediterraneo; rivedo, abbandonato a terra, un libro di favole aperto sull’immagine di un orco panciuto e senza denti e cartoline di auguri infilate negli angoli dei vetri della credenza… In quest’atmosfera semplice e calda, sin dalla vigilia, prendevano il via i preparativi per il pranzo natalizio: sulla stufa a legna, in un turbinio di vapore e borbottii, bollivano le carni scelte per lo stufato; noi piccoli disegnavamo faccine sorridenti sui vetri appannati dal fumo grasso che si alzava dalla grande pentola di coccio; sedute intorno a un tagliere innevato di farina, mia madre e mia nonna con mani abili tiravano sfoglie sottili e raccontavano storie di famiglia: di guerre senza natali, di ragazzi andati al fronte e mai più tornati, di cibo scarso, di dispense vuote… ma non erano storie tristi perché, collocandosi in un tempo lontano, sembravano fiabe con guerrieri ed eroi o poveri bambini affamati e scalzi…

Nella messa di mezzanotte, vertice misterioso e profondo del Natale, mentre una folla assiepata e commossa intonava “Tu scendi dalle stelle”, tra effluvi d’incenso, veniva portato all’altare il Bambinello.

Quando si usciva dalla chiesa, accaldati e un po’assonnati, quasi sempre il cielo, prima freddo e stellato, ci regalava fiocchi di neve affinché nulla mancasse alla convenzionale e dolce iconografia natalizia …

Fragranze, gusti, sapori rassicuranti della mia infanzia!… se chiudo gli occhi li risento e insieme ad essi prendono forma, come usciti dal cappello a cilindro di un mago, cose e volti di persone che ho amato e che non ci sono più. ☺

 

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