Dinanzi al bambin gesù
7 Dicembre 2019
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Dinanzi al bambin gesù

Esattamente trent’anni fa, sul numero del 27 dicembre 1989 di “Famiglia Cristiana”, apparve una poesia inedita di Giorgio Caproni, dal titolo insolitamente lungo, Dinanzi al Bambin Gesù, pensando ai troppi innocenti che nascono, derelitti, nel mondo:

Nel gelo del disamore…

senza asinello né bue…

Quanti, con le stesse sue

fragili membra, quanti

suoi simili, in tremore,

nascono ogni giorno in questa

Terra guasta!

Soli

e indifesi, non basta

a salvarli il candore

del sorriso.

La Bestia

è spietata. Spietato

l’Erode ch’è in tutti noi.

Vedi tu, che puoi

avere ascolto. Vedi

almeno tu, in nome

del piccolo Salvatore

cui, così ardentemente, credi

d’invocare per loro

un grano di carità.

A che mai serve il pianto

– posticcio – del poeta?

Meno che a nulla. È soltanto

fatuo orpello. È viltà.

Meno di un mese dopo, il 22 gennaio 1990, Caproni moriva. Questi versi, che sono stati poi inseriti nel “Meridiano” a lui dedicato da Mondadori nel 1998, nella sezione Poesie disperse e inedite, costituiscono pertanto le sue ultime parole pubblicate.

Fin dal titolo la poesia è un invito a rivolgere il pensiero a quegli “innocenti” – “troppi” – per i quali nascere significa essere condannati all’abbandono e all’indifferenza in questa “Terra guasta!” (in corsivo perché è il titolo del celebre poema dell’inglese Thomas Stearns Eliot, The Waste Land, la cui migliore traduzione, secondo Caproni, non sarebbe quella tradizionale, La terra desolata, ma, più pessimisticamente, Terra guasta). La strofa centrale è occupata da due immagini: quella della “Bestia”, frequente nella sua poesia per indicare il male, e quella dell’“Erode ch’è in tutti noi”, metafora dell’ odio spietato in nome del quale si massacrano perfino bambini innocenti. Di qui l’appello ripetuto al credente (“Vedi tu […]. Vedi almeno tu”) a seminare nel mondo quel “grano di carità” che sostenga l’immensa folla dei “derelitti”. A nulla serve infatti il pianto del poeta, che è “posticcio”, “fatuo orpello”, anzi “viltà” – termine, quest’ultimo, reso ancor più duro dal fatto di essere in rima proprio con “carità”.

Insieme a queste terribili parole finali di accusa verso se stesso, a rendere particolarmente autentica la poesia riportata è il fatto che Caproni è “il poeta che visse tra i bambini” (per riprendere il titolo di un articolo di Vincenzo Cerami). Era infatti un maestro, oltre che un poeta, e, nonostante i numerosi e prestigiosi riconoscimenti, rimase a insegnare alle scuole elementari dal 1935 al 1973, chiedendo e ottenendo alla fine della sua carriera anche una “classe atipica”, quella dei trovatelli. Al suo sguardo speciale di maestro su bambini “soli e indifesi” si aggiunge poi un altro punto di vista particolare. Com’è noto, Caproni aveva un difficile rapporto con la trascendenza e con la fede. Ma le sue poesie – e questi versi – denotano una forte tensione interiore, al di là del suo presunto ateismo o, meglio, di quella che lui chiamava la sua “a-teologia”. Come nella brevissima Petit Noël, da Res amissa, la sua ultima raccolta: “S’avvicina il Natale./ Gesù, portami via./ La tua è la più bella bugia/ che possa allettare un mortale”. Di fronte all’ipocrisia degli uomini e nell’insofferenza per la banalizzazione del Natale, questa la supplica del poeta: “Gesù, portami via”.

Per aggiungere un altro tassello a questo suo brevissimo ritratto, si può infine ricordare che Caproni partecipò alla Seconda guerra mondiale e alla Resistenza. Per questo, è bello concludere questa pagina natalizia con un diverso e meno noto frammento della sua voce laica. Si tratta del toccante finale della prosa Il Natale diceva Pablo…, dai Racconti di guerra e partigiani ora raccolti nei Racconti scritti per forza (Milano, Garzanti, 2008): “Ma il Natale, pensava ora Athos, che altro mai era il Natale, se non il nome vero di quei compagni morti, e morti proprio anche perché il loro nome, appunto come il Natale, ridiventasse vero sulla terra? Continuavano a cadere, soffici, le zolle di neve agli echi dei mortai, e chi può ricordare, ora, se quella era una notte del ’43 o del ’44? Era una notte, questo è certo: una notte dell’anno e dell’uomo”.☺

 

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