donne braccate
21 Marzo 2010 Share

donne braccate

 

Di un problema drammatico come la violenza contro le donne il nostro periodico si è spesso occupato. Quanto propongo perciò vuole semplicemente invitare alla riflessione su un termine che recentemente è entrato nell’uso linguistico quotidiano, anche grazie all’approvazione di un disegno di legge da parte della Camera dei deputati. Il vocabolo è stalking [pronuncia: stolching].

Allo stesso modo di altri termini inglesi, ormai accolti ed utilizzati in italiano – valga quale esempio mobbing – l’uso di un’unica parola indica nell’idioma anglosassone una serie complessa di comportamenti, in questo caso particolare reati contro la persona.

Il vocabolo stalking è innanzitutto un verbo (espresso qui nella sua forma verbale del gerundio o participio presente), da cui deriva anche il sostantivo stalker [pronuncia: stolcher] che indica colui che compie l’azione espressa dal suddetto verbo.

Al di là della lezioncina di grammatica ciò che merita maggiore attenzione è l’aspetto semantico: qual è il significato di questo verbo? In inglese esso è soprattutto relativo al linguaggio della caccia: “inseguire, fare la posta, pedinare”, azioni queste che prevedono interventi di sorpresa, senza che la vittima/preda si accorga di essere in pericolo e perciò minacciata di essere sopraffatta dal cacciatore.

Un secondo significato è “persegui- tare”; un terzo significato attiene al linguaggio della letteratura “gialla”, sempre in bilico tra l’imprevisto e il minaccioso, atmosfera cui siamo abituati – o forse assuefatti – dal cinema o dalla televisione in cui tale genere viene spesso programmato.

Ripreso dal linguaggio degli studiosi del comportamento, il termine stalking sta ad indicare un fenomeno non del tutto nuovo, ma sicuramente ancora poco conosciuto e tutelato: esso comprende le cosiddette molestie, le intrusioni nella vita privata, gli appostamenti per controllare i movimenti, le telefonate indesiderate e continue, l’invio di messaggi non richiesti, le minacce verbali o scritte, fino a giungere alle aggressioni fisiche e alle violenze. Un vocabolo che racchiude in sé una complessità di situazioni, nelle quali i soggetti meno tutelati della nostra società, ancora oggi le donne, purtroppo, risultano vittime.

Dagli studi effettuati da criminologi e psicologi emerge che gli episodi di stalking riguardano storie sentimentali finite male. Il più delle volte l’aggressore non è una persona estranea, ma quasi sempre un ex-compagno che non si rassegna, tanto da trasformare il proprio affetto in ossessione, e tentare di recuperare, con la forza, il rapporto sentimentale ormai concluso; molto spesso lo stalker agisce per vendetta, perché non corrisposto nei suoi sentimenti.

Ciò che si nasconde dietro azioni di questo genere, che sembrerebbero lontane da forme più note di violenza, è tutt’altro che un atteggiamento giustificabile e comprensibile. Secondo le statistiche la vita diventa impossibile per la vittima, che si trova a vivere in una costante condizione psicologica di ansia e paura.

Pedinare, inseguire, assalire una donna, anche semplicemente con un sms o un bigliettino,  impedirle di vivere la propria vita liberamente è senza dubbio non rispettare la dignità della persona, è chiaramente una violazione dei diritti fondamentali degli esseri umani. Comunque la si voglia chiamare è violenza. E senza nasconderci dietro vocaboli esteri dobbiamo avere il coraggio di descrivere il fenomeno con le parole adatte.

 “La violenza oggi non è soltanto quella fisica, ma anche quella che vediamo alla televisione, di cui ci informano i telegiornali, a cui assistiamo in tanti frangenti della nostra vita quotidiana. Violenza è quella che sanguina ma anche quella che appassisce le passioni, che mortifica i sogni, che spegne gli ideali. Violenza è quella fatta con le parole e con le immagini quando occupano lo spazio e il tempo arbitrariamente, quando veicolano messaggi che manipolano le coscienze, quando alimentano falsi progetti di vita. Violenza è quella delle relazioni familiari, di coppia, di amicizia, quando al posto dell’armonia si sostituisce la passività, l’abitudine, la noncuranza” (Silvia Pettiti, 2005). ☺

dario.carlone@tiscali.it

 

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