Il dono di un dono
2 Ottobre 2016
La Fonte (351 articles)
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Il dono di un dono

Per cogliere i vari aspetti della realtà, secondo il filosofo e musicologo tedesco Theodor Wiesegrund Adorno (1903-1969), la forma letteraria più adatta è l’aforisma. Il suo libro più celebre è pertanto costituito da Minima moralia (1951), una raccolta di aforismi in cui, con mentalità “tragico-savia” (la definizione è di Thomas Mann, che ricorse all’aiuto di Adorno per la parte musicologica del suo Doctor Faust), sono analizzati il comportamento dell’individuo nella società borghese e le sue contraddizioni. Eloquente è già il sottotitolo di Minima moralia: Riflessioni sulla vita danneggiata. Danneggiata appare infatti al filosofo di Francoforte la vita presente, in cui le relazioni umane diventano pura apparenza, la cultura si riduce a “industria culturale” (categoria inventata dallo stesso Adorno), la scienza è asservita al profitto. In questa rigorosa ma brillante critica della società borghese, trova posto tuttavia anche qualche frammento di saggezza contro la disumanizzazione. Come quello, incentrato sull’atto del donare, secondo cui “la vera felicità del dono è tutta nell’immaginazione della felicità del destinatario”.

Esulando da Adorno, ci si può chiedere in quale caso tale felicità del destinatario, e, di conseguenza, del donatore che la immagina, possa essere massima…

vite-incrociate_coverUna risposta è nel libro Vite incrociate di Paolo Montalto, edito da Persiani la scorsa primavera. In una inusuale duplice versione, per cui metà del libro è tutta in italiano, metà tutta in inglese, Montalto, un gastroenterologo formatosi tra Firenze e Londra, racconta la sua vicenda professionale e umana. Le pagine, che, nonostante la commozione del lettore, scorrono veloci una dopo l’altra, rivelano presto che a ruotare intorno all’idea di un incrocio è la struttura stessa del libro. Vi si intrecciano, incrociandosi appunto, come segnalato nei titoli di alcuni capitoli, “parole di medico” e “parole di paziente”, queste ultime consistenti in toccanti testimonianze di trapiantati. Analogamente intersecati, capitoli in cui Montalto ricostruisce la propria formazione, a partire dall’esame di maturità e dalla decisione di fare il medico per “il contatto quotidiano con chi soffre, il rapporto umano, la dedizione verso gli altri”, e intermezzi lirici costituiti da poesie di pazienti e dello stesso autore, o da citazioni di Leopardi e Mahler. E ancora, alternati con sapienti flashbacks, casi clinici e ricordi personali di Montalto. Il tutto sullo sfondo di una Londra indimenticabile, per i suoi quartieri signorili come Hampstead e le sue piazze vibranti come Trafalgar Square, per i suoi musei e i suoi concerti. Ma il titolo, Vite incrociate (o Crossing paths), in parte mutuato da quello di Trapianti – Destini Incrociati, una “fiction documentario che descrive la vita quotidiana del centro trapianti” del Sant’Orsola di Bologna, allude in primo luogo a quel “crudele” incrocio di destini che è sempre, secondo Montalto, un trapianto d’organo. E che trova la sua più efficace, sebbene scherzosa, espressione nella risposta di tre malati di fegato che dall’Italia erano stati sottoposti a trapianto presso il Royal Free Hospital londinese, una volta che furono interrogati sulla loro nazionalità: “Siamo italiani, ma trapiantati a Londra!”. Fino a culminare Postfazione di Beatrice Santucci, che definisce il trapianto “il dono di un dono”, perché “chi muore dona la vita”, che è di per se stessa un dono.

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