elogio della follìa
20 Febbraio 2010 Share

elogio della follìa

Si può fare è una commedia brillante diretta da Giulio Manfredonia, giovane ma già maturo regista romano che, fin da piccolo, nutre una grande passione per il set e passa le giornate di vacanza alle costole dello zio, Luigi Comencini. Vive la sua prima esperienza di assistenza alla regìa nel 1985, con La Storia, tratto dal romanzo di Elsa Morante, e, convinto che il cinema sia un mestiere che non si può improvvisare, fa l’aiuto regista per più di un decennio, finché esordisce nel 1998 con il suo primo cortometraggio, Tanti auguri, che gli vale qualche prestigioso riconoscimento. Nel 2008, dopo altre esperienze, arriva il grande successo di Si può fare, che rientra bene nel genere tipico dei suoi film, che sono solitamente leggeri e fanno anche un po’ ridere, ma hanno tutti un senso profondo e trattano problemi attuali.

Anche Si può fare sfiora appena la drammaticità, con delicatezza, e talvolta risulta comico. È una commedia umana che diverte e, allo stesso tempo, fa riflettere. Racconta dunque la storia di Nello (Claudio Bisio), che nella Milano dei primi anni ’80 si ritrova a dirigere la “Cooperativa 180” (così chiamata dalla famosa Legge 180, o Legge Basaglia, che chiuse i manicomi e, all’epoca del film, era appena stata introdotta in Italia), un’associazione di malati affetti da disturbi psichici, che fino a quel momento sono stati solo imbottiti di farmaci e mai educati alla propria autonomia.

Fiducioso nelle loro capacità, Nello spinge invece ogni socio della cooperativa a imparare un mestiere ma si trova di fronte a molti pregiudizi, compromettendo anche – in alcuni momenti – la serenità del suo legame sentimentale.

Tra momenti euforici e drammatici il gruppo saprà però crescere e, alla fine, riuscirà a dimostrare che anche le persone affette da disagio psichico possono fare una vita “normale”, mettendo in campo le proprie capacità e le proprie scelte.

Il film affronta numerosi temi: l’amicizia (che fra alcuni malati è molto forte e ricca di solidarietà), l’amore, ma soprattutto la discriminazione nei confronti della malattia, e tutto gira intorno al senso della vita e al rapporto con il prossimo, non facile e a volte vittima degli stereotipi.

Il film ha lasciato in noi da un lato uno strano senso di impotenza, ma dall’altro la speranza e la voglia di fare qualcosa per migliorare la condizione di queste persone. Ne consiglieremmo la visione a tutti coloro che trattano questo tipo di malati senza rispetto o considerandoli inferiori, per far loro comprendere che, come pensava Basaglia, la follìa è anzitutto una condizione umana, e si dovrebbe accettare con serenità, considerandola una vera ricchezza.

Donatella Calabrese, Federica Notte,

Elisabetta Picciano, Michela Taddeo

gadelis@libero.it

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