Energia e aree interne
11 Aprile 2022
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Energia e aree interne

Com’è sempre inesorabilmente avvenuto nella storia dell’uomo, sono stati i fatti più eclatanti, il più delle volte del tutto imprevisti e/o imprevedibili, che hanno messo a nudo e capovolto la realtà vissuta ovvero quella che, fino ad allora, seppur ricoperta da un sottile velo, si era evitato di prendere consapevolmente in considerazione.

Le due abnormi vicende che stiamo vivendo, la pandemia e la guerra scoppiata nel cuore dell’Europa, stanno ridisegnando, come non mai, i contorni delle nostre esistenze, sia personali che collettive. Tutto quanto ruotava, infatti, ad esempio, intorno al dibattito relativo alle cause, alle conseguenze e ai rimedi ovvero agli atteggiamenti da porre in atto per contrastare o quantomeno limitare i derivanti effetti dei cambiamenti climatici, ha subìto e continua ad essere oggetto di nuove applicazioni comportamentali, per lo più da realizzare in tempi quanto mai brevi. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, in particolare, ha preso il via quel lento, inesorabile esodo migratorio di larga parte di popolazione, in prevalenza del nostro sud, dapprima verso le Americhe e l’Australia e in un secondo  momento, in direzione dei Paesi nordeuropei e i centri industriali dell’Italia settentrionale.

Il motore propulsivo maggiormente capace di sostenere le produzioni industriali, sia delle comuni manifatture, che dell’ industria pesante, faceva affidamento sulle risorse energetiche, rinnovabili e non, largamente presenti e disponibili nelle relative aree contermini. A far girare le macchine a vapore dell’ industria nordeuropea, c’erano le miniere di carbone in corrispondenza della fascia, ex equatoriale, comprendente l’Inghilterra, la Francia settentrionale, il Benelux, fino ai territori tedeschi e polacchi posti alle medesime latitudini. Diversamente, con non meno efficacia ed efficienza, a sostenere le richieste di energia necessarie all’industria operante nella pianura Padana, furono i numerosi impianti idroelettrici, annessi al naturale seppur limitato numero di dighe di sbarramento realizzabili nelle valli intermontane alpine.

Conseguentemente, la crescente a dismisura richiesta di energia, negli anni del boom economico italiano, non poteva che rivolgersi alle fonti fossili, carbone e petrolio, di cui il nostro Paese era e continua ad essere, per sua natura, scarsamente dotato. I quantitativi necessari lasciarono campo libero alla produzione termoelettrica, tanto da superare in breve tempo quella di origine idroelettrica, fino a stravolgere radicalmente i presupposti su cui si era, inizialmente sviluppato e quindi attestato l’intero sistema economico del nostro Paese. Di essi, tra i più rilevanti e caratterizzanti, è in particolare quello legato all’ interscambio merceologico, energia compresa, tra i maggiori centri urbani e le aree collinari dell’ Appennino.  L’energia idromeccanica e idroelettrica disponibile nelle aree interne, infatti, nel rendere possibile basilari lavorazioni, quali molitura e pastificazione, permetteva alle merci di fluire da monte a valle, ovvero verso i centri urbani maggiorente popolati.

I combustibili fossili, carbone e petrolio, giungendo, invece, per la massima parte dall’estero, quindi scaricati nei porti, rendevano conveniente localizzare negli stessi luoghi i relativi impianti di raffinazione. La conseguente larga disponibilità della frazione residuale di lavorazione del combustibile, nel permettere il conveniente insediamento dei nuovi centri produttivi di energia e l’affermarsi delle monoculture agroindustriali di pianura, determinò radicalmente l’inversione del flusso direzionale di merci ed energie. Da cui, il ben conosciuto, progressivo, pressoché, inarrestabile declino di gran parte delle civiltà di collina, quelle che per secoli, indiscutibilmente, avevano recitato ruoli di primo piano in tutte le attività umane, che lo scorrere del tempo aveva ampiamente certificato.

Ancora una volta, però, come la storia insegna, ogni supremazia, anche quella manifestamente più solida e duratura, giunge inevitabilmente a fine corso. Da qui, nello specifico produttivo, l’impellente necessità di cercare fonti di energia, del tutto diverse da quelle finora maggiormente utilizzate. È, perciò, ormai chiaro e inderogabile abbandonare, nel più breve tempo possibile, l’uso delle fonti fossili, responsabili dell’immissione in atmosfera dei famigerati gas serra e quindi del riscaldamento del clima del nostro pianeta, come d’altronde riconosciuto, quasi unanimemente, dalla comunità scientifica internazionale.

Il dover/poter ricorrere inevitabilmente alle energie rinnovabili sarà l’occasione per riconsegnare, proprio alle aree interne, l’arciconveniente possibilità di disporre di consistenti volumi di energia a costi verosimilmente non lungi dallo zero. E, dunque, la conseguente crescita delle locali piccole economie agricole, artigianali, ma anche culturali e turistiche, potrà finalmente veicolare a tanti, quel disponibile bagaglio di specifiche, esclusive risorse, le sole capaci di supportare più alti livelli di vita universalmente anelati.☺

 

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