Fame e cibo
4 Marzo 2016
laFonteTV (3191 articles)
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Fame e cibo

Chiedere gli avanzi di un pasto consumato al ristorante può forse apparire a tanti di noi di cattivo gusto. Questa discutibile abitudine è stata però sdoganata di recente da personaggi autorevoli quali la first lady americana Michelle Obama, o più prosaicamente da una recente sentenza della corte di Cassazione. Stiamo parlando di quella che gli inglesi chiamano doggy bag, un sacchetto o busta (bag appunto) contenente ciò che resta di un pranzo o di una cena, da destinare al proprio cane (dog), se se ne possiede uno.

Lontana dalla cultura dominante in cui siamo immersi, il più delle volte tutta formalità e stucchevole cortesia, l’abitudine di non lasciare indietro quanto si è effettivamente pagato – che è stata prassi in Italia fino al dopoguerra – è invece buona pratica in altri contesti; un esempio per tutti è quello della Cina.

Abbandonando le regole di “buo- na educazione” – o falsa riservatezza – la considerazione cui porta il termine anglofono non è semplicemente quella di esprimere premura per i nostri amici a quattro zampe, quanto piuttosto richiamarci al valore che la cultura occidentale sta riservando al cibo, con buona pace dell’Expo e di quanti nei mesi trascorsi si sono occupati di alimentazione.

C’è chi ritiene indelicato chiedere la doggy bag al ristorante; eppure per tanti essa potrebbe rappresentare il sostentamento per qualche altro giorno, e non il pasto per il cane! Richiederla è quindi un diritto riconosciuto, legittimato e – diciamolo – anche rispettoso!

Tonnellate e tonnellate di alimenti vanno al macero grazie al sistema consumistico occidentale che spesso preferisce la distruzione piuttosto che la vendita a prezzo ridotto: responsabili maggiori le catene di ristorazione e quelle di distribuzione; nel nostro quotidiano, ahimè, non ci si comporta diversamente. Le famiglie di oggi, tutte reduci della fase del benessere economico degli anni ’60, non possono comprendere che cosa abbia significato vivere nella miseria, confrontarsi con la scarsità del cibo o non mangiare affatto. Questa “scuola di vita” manca ancor di più ai giovanissimi, totalmente ignari dell’importanza del cibo, e incuranti degli sprechi.

Da più parti si sono avviate iniziative tese a recuperare quanto più cibo possibile per evitare la discarica! Ci si augura che tali azioni non restino isolate e che cresca la consapevolezza al riguardo.

Alimentazione e cibo difficilmente si coniugano con un’altra parola drammaticamente ancora attuale nel XXI secolo: fame. Uno spettro che il nostro stile di vita succube dei media non riesce a cogliere. Ancora oggi si muore di fame – e non soltanto nelle zone desertiche del pianeta, o a causa di calamità naturali. Si muore di fame per l’assurdità della guerra che occupa vaste aree del mondo.

Il conflitto che sta imperversando in Siria, denominato impropriamente “civile”, non ha creato semplicemente profughi che percorrono le strade d’Europa costringendo i governanti ad approntare misure legislative e di accoglienza nei loro confronti; provoca le vittime maggiori tra i residenti: coloro che non fuggono da quei territori sono assediati e privati della possibilità di procurarsi il cibo. Agghiacciante il racconto di molti di loro su come sia difficile riuscire a sopravvivere nutrendosi solo di foglie e acqua bollita!

Secondo alcuni esponenti di Amnesty International, “affamare le popolazioni civili come strategia bellica è un crimine di guerra”. E le Nazioni Unite stimano che circa 400.000 persone stiano sopravvivendo in assenza di aiuti vitali in diverse località sotto assedio in tutta la Siria.

Ci sentiamo con le mani legate, incapaci di qualsiasi azione: sconforto, delusione, avvilimento. Ma può il nostro rimanere uno stato d’animo senza tradursi in azione concreta? Per farlo dobbiamo fare nostra la considerazione che “se uno di noi, uno qualsiasi di noi esseri umani, sta in questo momento soffrendo come un cane, è malato o ha fame, è cosa che ci riguarda tutti” (Gino Strada).

 

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